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Kiev. La rivolta dei battaglioni punitivi: “la guerra è persa”

Si è risolto in un nulla di fatto l’incontro di ieri tra la delegazione del regime di Kiev e quelle delle Repubbliche Popolari del Donbass. Dopo quattro ore di accuse e controaccuse la riunione si è conclusa senza alcun accordo. Teoricamente i colloqui, cui hanno partecipato anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) e la Russia, avevano l’obiettivo di fermare l’ennesima escalation militare che ormai da settimane ha reso carta straccia la tregua firmata a settembre dell’anno scorso nella capitale bielorussa.
L’Osce ha dichiarato che un «documento che impegna a un cessate-il-fuoco immediato e il ritiro delle armi dalla linea di contatto, potrebbe essere firmato nell’ambito di queste discussioni». Il presidente russo Vladimir Putin, nel frattempo, ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel, nel corso del quale i tre leader hanno esortato le fazioni in lotta in Ucraina a concordare con urgenza un cessate il fuoco. «È stata espressa la speranza che le questioni relative ad un urgente cessate il fuoco e al ritiro delle armi pesanti occuperanno un posto centrale nell’agenda» dei colloqui di pace di Minsk, ha fatto sapere il Cremlino in un comunicato.
Da parte loro i delegati delle repubbliche hanno affermato che considerano insufficienti le dichiarazioni dell’Osce e hanno chiesto come condizione per l’inizio del negoziato la proclamazione da parte di Kiev di un immediato cessate il fuoco. “Al termine della riunione di Minsk di ieri, l’Osce ha affermato che siamo incapaci di negoziare. Consideriamo questo giudizio come minimo inadeguato. Siamo noi quelli che siamo venuti due volte a Minsk aspettando invano i rappresentanti ucraini che non si sono presentati, giustificando la loro assenza con dei pretesti” hanno affermato i delegati di Donetsk e Lugansk, aggiungendo che “il cessate il fuoco deve essere confermato da un ordine ufficiale del presidente Poroshenko, che obblighi Esercito e Guardia Nazionale a cessare le ostilità. E l’ordine deve essere pubblicato su un sito web ufficiale del presidente della repubblica”. “Siamo pronti per il dialogo ma non ad accettare gli ultimatum di Kiev visti gli incessanti bombardamenti sul Donbass da parte dell’esercito” ha tuonato l’emissario della Repubblica di Donetsk, Denis Pushilin.
Intanto sul campo i combattimenti infuriano violentissimi e continuano ad arrivare notizie di morti e feriti, in particolare all’interno e ai margini della sacca di Debaltsevo, cittadina di circa 30 mila abitanti dove da alcuni giorni alcune migliaia di soldati ucraini – tra i 7 e i 10 mila – sono intrappolati e accerchiati da un numero eguale o forse anche superiore di combattenti delle Repubbliche Popolari. Le artiglierie dei due schieramenti continuano a martellare le posizioni degli avversari mentre la popolazione civile tenta di lasciare con mezzi di fortuna la cittadina assediata e i suoi dintorni, a metà strada tra Donetsk e Lugansk, dove oggi sono entrate le prime avanguardie di miliziani ribelli. Il grosso delle truppe ucraine si sarebbe concentrato in alcune postazioni fortificate realizzate all’interno dell’abitato di Debaltsevo, già finite sotto i fitti bombardamenti degli assedianti. Stepan Poltorak, ministro della Difesa ucraino, ha dovuto ammettere che la città è ormai «parzialmente controllata» da quelli che la giunta di Kiev definisce “terroristi”. 
Sono sempre più numerose le voci che parlano di una situazione militare davvero tragica per il regime ucraino, nonostante la mobilitazione generale decretata nelle scorse settimane con l’obiettivo di infoltire le file dell’esercito e della Guardia Nazionale falciate dalle sempre più numerose perdite (morti, feriti, prigionieri) e dalle diserzioni di massa. 
Sul piede di guerra ci sono di nuovo anche alcune delle milizie complementari formate da militanti di estrema destra e da sbandati in cerca di gloria e salario. Tra queste il battaglione Azov, integrato nella Guardia Nazionale, il cui capo Andrei Biletsky (deputato alla Rada) ha parlato nel corso di una intervista al sito “Fakti” di una imminente disfatta militare di Kiev. “Tutto lascia pensare a una sconfitta militare del nostro paese e alla successiva firma di una qualche sorta di capitolazione” ha affermato Biletsky, secondo cui è ormai inevitabile che il governo di Kiev riconosca le Repubbliche di Donetsk e Lugansk come repubbliche indipendenti. Biletsky dà la colpa non tanto alla disorganizzazione delle forze armate e alla scarsa motivazione dei soldati obbligati ad andare al fronte, quanto ai negoziati che secondo il leader fascista “demoralizzerebbero” i battaglioni in prima linea. Secondo il capo del Battaglione Azov inoltre l’occidente, nonostante le promesse roboanti, alla fine non sarà determinante nel fornire aiuti concreti a Kiev. “Possiamo accordare una nuova tregua, attendere due o tre mesi, dopodiché saremmo colpiti e ci infliggerebbero molte perdite strategiche, sconfitte e sottrazione di territori” ha tuonato un apocalittico Biletsky. In generale l’estrema destra, a capo di numerosi battaglioni punitivi, è impegnata da tempo in un’opera di proselitismo nelle forze armate, allo scopo di denunciare e strumentalizzare l’oggettiva incapacità dei vertici militari e civili e perorare quindi la necessità che siano “le forze che realmente incarnano la rivoluzione di Majdan” a prendere il potere. Mentre venerdì alcune centinaia di miliziani del battaglione Ajdar – altra formazione egemonizzata dai neonazisti – ha assediato il ministero della Difesa nella capitale ucraina annunciando nuove mobilitazioni, oggi circa 500 “volontari” della Guardia Nazionale si sono riuniti in piazza dell’Indipendenza, nel centro di Kiev, chiedendo tra le altre cose le dimissioni del presidente Petro Poroshenko, considerato dall’estrema destra – con lo zampino del primo ministro, il falco Arsenij Jatsenjuk – un traditore e un incapace. Non è comunque la prima volta che i reduci dal fronte o soldati che abbandonano la propria posizione manifestano a Kiev denunciando la mancanza di coordinamento, la scarsità di rifornimenti e armamenti. “Facciamo appello a tutti i comandanti a ribellarsi e a iniziare a destituire le autorità” ha gridato durante l’assemblea un miliziano invitando i suoi commilitoni ad un vero e proprio colpo di stato militare.

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