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Kiev: scontro aperto tra i golpisti di Majdan, giovedì arriva Kerry

Mentre a Kiev si ammette ufficialmente, per la prima volta – la dichiarazione, quattro giorni fa, è stata rilasciata dal capo di Stato maggiore ucraino, generale Viktor Muzhenko – che nel sudest ucraino, a fianco delle milizie, combattono solamente volontari provenienti dalla Federazione Russa e non reparti inviati dall’esercito russo, l’amministrazione statunitense prende in considerazione la possibilità di fornire a Kiev armamento “letale”, oltre ai rifornimenti in materiale non letale, per 300 milioni di dollari, forniti finora. Anche se è molto improbabile che l’ammissione di Muzhenko possa servire a far ritornare sui propri passi – cioè a ritirare le sanzioni – le capitali europee, sin qui convinte del proprio operato dalle “assicurazioni” di Poroshenko e di Obama sulla presenza nel Donbass di “9000 soldati dell’esercito russo”, essa serve quantomeno a irridere la pochezza della politica estera dell’Unione Europea. Molto improbabile anche che Bruxelles interrompa i rifornimenti in mezzi blindati e carri armati – ufficialmente solo apparecchi radio, visori notturni, medicamenti, ma niente armi – triangolati dai paesi est europei dell’ex Patto di Varsavia divenuti punta di lancia dell’espansione ad est della Nato. Molto improbabile anche che la Rada di Kiev riveda la propria risoluzione – adottata nemmeno una settimana fa – che definisce la Russia “Stato aggressore”. Ma, in ogni caso, si tratta di un’altra conferma del fatto che Kiev segue sempre con diligenza le istruzioni che vengono da Washington. Perché, se come scrive la Komsomolskaja Pravda, siamo di fronte a un nuovo episodio del metodo seguito dagli USA per attaccare l’Irak – le assicurazioni, completamente infondate, sulla presenza di armi chimiche – è vero che in contemporanea con le dichiarazioni di Muzhenko, Barack Obama ha apertamente riconosciuto che il colpo di stato con cui fu rovesciato il Presidente ucraino Janukovic, fu portato a termine con la attiva partecipazione statunitense.

Mosca ha sempre apertamente dichiarato che cittadini russi, civili e militari, combattono nel Donbass a fianco delle milizie; a varie riprese, ai più alti livelli, da Vladimir Putin al Ministro degli esteri Sergej Lavrov, non è mai stata negata la presenza di volontari russi (ma non solo russi) nel sudest dell’Ucraina; ma nessun documento (se fosse esistita la più piccola prova, Kiev non l’avrebbe certo tenuta per sé) è stato mai presentato a supporto di una “aggressione” russa all’Ucraina o di una “invasione” di uomini e mezzi russi. Così come nessuna prova, che non fossero le declamazioni di Poroshenko, è stata mai presentata, sulle responsabilità delle milizie per l’abbattimento, nel luglio scorso, del Boeing civile malese; nessuna prova per il bombardamento dell’autobus a Volnovakha; nessuna prova per la strage, il 24 gennaio scorso, al mercato di Mariupol: tutte stragi di civili usate da Kiev per chiedere nuovi aiuti (soprattutto finanziari) e sostegni a occidente. Al contrario, le indicazioni (quando non addirittura le immagini) mostrano proprio la responsabilità delle truppe ucraine o dei battaglioni neonazisti. E, anche se questo non impedirà a Bruxelles e a Washington di continuare nella guerra di propaganda – qualcuno ha mai parlato di sanzioni contro Kiev per le bombe a grappolo, proibite dalle leggi internazionali e il cui uso sulle città del Donbass è stato documentato dagli stessi osservatori Osce? – contro le Repubbliche popolari, vale la pena di ricordare il Consiglio comunale di Mariupol, pur sottostando al potere centrale, ha dovuto riconoscere che i colpi di mortaio o di artiglieria che uccisero 30 persone, non provenivano dall’area controllata dalle milizie degli insorti.

Ma intanto nel Donbass continua la guerra vera. Il Presidente della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharcenko ha annunciato oggi che tra undici giorni verrà avviata la mobilitazione generale, che consentirà di portare gli effettivi delle Repubbliche di Donetsk e di Lugansk a oltre centomila uomini e di effettuare una forte controffensiva nei prossimi mesi. Zakharcenko ha anche escluso la possibilità di nuovi colloqui a Minsk, fintanto che Kiev non nominerà un proprio rappresentante ufficiale, dato che l’ex Presidente ucraino Leonid Kuchma agisce al momento in qualità di “privato cittadino”. Riguardo a futuri scambi di prigionieri, Zakharcenko ha detto che d’ora in poi verranno operati solo sulla base di “elenchi di soldati, che saranno scambiati con altri soldati. Nessun attivista, solo soldati”.

In quanto alle mobilitazioni, sembra che Kiev possa contare su non più del 20% dei richiamati. Il Ministro della difesa Stepan Poltorak avrebbe quantificato così il numero di uomini ucraini in età di richiamo disposti ad andare a combattere nel Donbass. Un esempio: fonti ucraine testimoniano che, a fronte di 5.000 cartoline precetto recapitate nel distretto militare di Kalush, (regione di Ivano-Frankovsk), solo 350 uomini si sarebbero presentati al distretto, di cui solo 40 arrivati senza un certificato che in qualche modo li esonerasse dall’arruolamento. Evidentemente, a poco servono anche gli aumenti di stipendio decretati dal premier Jatsenjuk ai singoli soldati e ai reparti e i premi in denaro per ogni mezzo (carri armati o aerei) nemico distrutto o miliziani uccisi.

D’altronde, se i cittadini cercano nei modi più disparati di evitare la mobilitazione, pare che ora anche i battaglioni punitivi trovino più proficuo combattere lontano dal fronte e farsi valere a Kiev. Prosegue ad esempio la semirivolta del battaglione “Ajdar” di fronte al Ministero della difesa a Kiev: oltre allo scarso equipaggiamento, il battaglione, con l’inquadramento nei ranghi dell’esercito, si lamenterebbe del nuovo comandante, Evghenij Ptashnik, che non prende parte alle azioni e si rintana nelle retrovie. Oggi, come era accaduto anche venerdì scorso, alcune centinaia di miliziani di estrema destra hanno assediato l’ingresso del ministero incendiando pneumatici e bloccando gli ingressi, e alcuni di loro sono addirittura riusciti a penetrare all’interno dell’edificio. 
Accanto ad “Ajdar”, sembra che il leader di “Pravij sektor”, ora deputato in parlamento Dmitrij Jarosh, stia organizzando una sorta di “Stato maggiore parallelo”, che dovrebbe riunire sia i battaglioni “volontari”, sia una parte dell’esercito più incline ai metodi dei battaglioni neonazisti. Da tempo è in atto un conflitto, ora, a quanto sembra, sempre più aperto, all’interno dei poteri ucraini: la parte più favorevole alle misure forti critica lo stesso Poroshenko che manifesterebbe eccessiva tendenza al compromesso. Non pochi osservatori pronosticano una probabile trasformazione di tale conflitto in aperta guerra civile tra le diverse tendenze dei golpisti di Majdan.

Fino ad oggi nessuna visita di rappresentanti USA a Kiev è rimasta senza conseguenze immediate sull’andamento del conflitto o sulle scelte governative. Dopo la visita di John Kerry del 5 febbraio, è probabile che già le prossime settimane siano decisive per far pendere l’ago delle decisioni statunitensi verso una parte precisa dell’oligarchia ucraina.

(Nella foto, un gruppo di ‘volontari’ del Battaglione Azov in posa con uno dei loro idoli)

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