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Yemen. Ultimatum degli sciiti ai partiti politici, scontri con Al Qaeda

La milizia sciita di Ansar Allah (meglio conosciuta come Houthi) ha fissato un ultimatum di tre giorni per tutte le forze politiche dello Yemen affinché trovino una via d’uscita concordata e pacifica dalla crisi politica che si protrarre ormai da mesi, aggravata nei giorni scorsi dalle dimissioni dell’esecutivo e del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi provocata proprio dall’assedio delle forze sciite ai palazzi del potere di Sana’a. Se l’accordo non sarà raggiunto – ha avvertito Ansar Allah – saranno gli Houthis stessi a decidere il futuro dello Yemen.

Provenienti dal nord, gli Houthis sono entrati a Sanaa alla fine dello scorso settembre per poi estendere la loro influenza anche al centro e all’ovest dello Yemen, a maggioranza sunnita. Il 20 gennaio si sono impadroniti dei palazzi governativi spingendo in pochi giorni alle dimissioni il presidente e il suo governo.

Al termine di una riunione di tre giorni nella capitale Sanaa, che ha registrato la partecipazione del partito dell’ex presidente Ali Abdallah Saleh – destituito pochi anni fa da una rivolta popolare – ma che è stata boicottata dalle grandi formazioni politiche sunnite (controllate dall’Arabia Saudita), i miliziani hanno emesso una nota letta di fronte a una platea di migliaia di persone, inclusi numerosi combattenti e capi tribali. Il documento non precisa in dettaglio quali misure saranno adottate nel caso in cui la classe politica del paese non raggiungesse un accordo.

Il capo dei miliziani, Abdel Malek al-Houthi, ha convocato l’incontro di Sanaa per discutere con tutte le forze politiche ma è riuscito ad ottenere solo la partecipazione del Congresso popolare generale (Cpg) di Saleh, spinto alla rinuncia nel 2012 delle proteste popolari e oggi accusato di sostenere la milizia sciita seppur strumentalmente. Assenti invece i principali protagonisti della crisi, fra cui l’influente movimento sunnita Al Islah e il Partito socialista yemenita (Psy).

In uno scenario di estrema incertezza, l’inviato dell’Onu Jamal Benomar ha avvertito che in qualsiasi momento potrebbero scoppiare nuove, massicce violenze. Inoltre, se gli Houthi dovessero compiere ulteriori passi nella gestione diretta del potere, le province del sud a maggioranza sunnita – dove opera anche Al Qaeda, forte di centinaia di combattenti –potrebbero di fatto dichiarare una sorta di secessione dal resto del paese.

Negli ultimi quattro giorni almeno 10 persone sarebbero state uccise nel corso di attacchi di Al Qaeda contro l’esercito yemenita e le milizie Houthi nel centro-sud del paese. Ieri il gruppo Ansar al-Sharia ha affermato di aver ucciso Abu Abdullah al-Ayadi, un comandante delle milizie sciite Houthi nella città di Ibb, nello Yemen Centrale. Sabato invece i gruppi legati al Al Qaeda hanno preso di mira alcuni checkpoint nella località meridionale di Abyan uccidendo due soldati e ferendone altri due mentre un ufficiale sarebbe morto negli scontri con le milizie jihadiste nella località meridionale di Lahj venerdì scorso. Altri tre miliziani sciiti sarebbero stati invece uccisi giovedì in scontri armati verificatisi nella provincia centrale di al-Bayda.

Dopo le dimissioni del presidente e del governo, controllati da Riad e alleati con gli Stati Uniti, nei giorni scorsi l’amministrazione statunitense aveva ridotto il proprio personale nelle sedi diplomatiche dislocate nel paese ed aveva anche sospeso le operazioni militari – compiute per lo più tramite l’uso di droni e delle forze speciali – contro le bande di Al Qaeda. Una misura che da molti analisti è stata letta come un via libera agli attacchi dei jihadisti contro le forze sciite, attacchi che sono puntualmente ripresi dopo alcune settimane di relativa calma.

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