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La Nato vuole lo scontro militare con Mosca, l’Ue in allarme

Com’era prevedibile, gli ‘apprendisti stregoni’ dell’imperialismo statunitense e di quello dell’Unione europea – a rimorchio di Washington nella destabilizzazione dell’Ucraina e nel conseguente colpo di stato – hanno indotto una escalation che da quanto sembra non solo ha prodotto una guerra civile che ha provocato decine di migliaia di morti, ma che ora rischia di coinvolgere direttamente potenze militari di livello globale che finora si erano confrontate per interposta persona. 

A imporre un nuovo impulso all’escalation è stata, come fin qui avvenuto, di nuovo un’iniziativa provocatoria degli Stati uniti che, di fronte ai continui rovesci militari delle truppe di Kiev, hanno pensato bene di intervenire più o meno direttamente a fianco del regime fantoccio Poroshenko-Jatsenjiuk. In corrispondenza con la visita di John Kerry a Kiev la Nato ha ribadito il proprio interventismo nel contesto ucraino. In ballo, dopo che i militari e le milizie di estrema destra maidanisti hanno già ricevuto fondi, attrezzature e armi da Usa, Nato e alcuni paesi europei, anche se tramite triangolazioni, c’è l’invio in territorio ucraino di truppe occidentali e di un grande quantitativo di armi sofisticate che faccia pendere la bilancia dalla parte di truppe sbandate e demotivate.
In un intervento volutamente provocatorio, l’alleanza atlantica ha ribadito la propria intenzione di adoperare in quel teatro la nuova versione potenziata della “forza di reazione rapida” scaturita dallo storico vertice di Newport, forte di 5 mila soldati pesantemente armati che dovrebbero presto diventare ben 30 mila.
Dopo la riunione dei ministri della Difesa dei Paesi membri a Bruxelles, il segretario generale Nato Jens Stoltenberg ha spiegato che questa spearhead («punta di lancia») avrà il sostegno «delle forze aeree, marittime e speciali» ma soprattutto «sarà pronta all’azione in 48 ore» con il supporto di aviazione, marina e forze speciali.
La novità non è solo la conferma della scelta aggressiva sancita nel vertice del Galles, ma l’accelerazione di un processo di militarizzazione del fianco est della Nato che prevede, ha chiarito il segretario dell’Alleanza Atlantica, di installare «immediatamente» i primi sei gruppi di comando e controllo che faranno da base logistica nell’Est europeo: in Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia, Bulgaria e Romania.
Nel complesso la capacità della Forza “di risposta” della Nato, attualmente composta da 13.000 soldati sarà rafforzata entro il 2016 «per rispondere a tutte le minacce, tanto a est quanto a sud», Medio Oriente compreso, e sarà composta complessivamente da 30mila soldati. I paesi che parteciperanno alla forza come «framework nation», a rotazione, sono Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito. Tre “nazioni quadro” avranno l’incarico di coordinare l’azione. Un paese, detto in “stand-by” assicurerà per un anno la disponibilità delle sue truppe con brevissimo preavviso: da due giorni per i primi elementi a una settimana per gli altri. Le due altre nazioni quadro dovranno garantire di potersi unire in un periodo da quattro a sei settimane. La Gran Bretagna ha annunciato che prenderà il comando di questa forza nel 2017, mettendo a disposizione un migliaio di uomini e tre caccia Typhoon. La Francia e la Germania saranno le prime altre nazioni quadro, secondo fonti Nato. 
Stoltenberg ha chiarito che si tratterà del principale rafforzamento della “difesa collettiva” dell’Alleanza Atlantica dalla fine della Guerra Fredda.
Che l’obiettivo di un tale volume di fuoco sia la Russia era chiaro a settembre e lo è diventato ancor di più negli ultimi tempi. E a dimostrarlo è anche una dichiarazione resa dall’ex segretario della Nato, Rasmussen, resa al quotidiano britannico Daily Telegraph, nella quale accusa Mosca di fare ciò che in realtà sta facendo il fronte occidentale. “Occorre guardare oltre l’Ucraina – ha affermato Rasmussen – Putin vuole ridare alla Russia il suo status di grande potenza e ci sono forti probabilità che intervenga nel Baltico per mettere alla prova l’articolo 5 della Nato”, che prevede che un attacco armato contro uno dei Paesi membri “sia considerato come un attacco diretto contro tutti gli stati membri”.

Tanto per cambiare, l’Italia ha dato immediatamente la propria disponibilità a partecipare al nuovo piano d’azione della Nato anche se qualche giorno fa l’esecutivo Renzi aveva chiarito la propria indisponibilità a inviare armi all’esercito ucraino, naturalmente in scia con quanto già dichiarato da Berlino e Parigi. «Abbiamo aperto alla disponibilità di essere framework nation nel 2018, con un discorso da chiudere a giugno, quando verranno prese le decisioni» ha affermato il ministro della Difesa Roberta Pinotti al termine della riunione dei suoi omologhi della Nato.
Come stupirsi della reazione stizzita della Russia accerchiata? La risposta di Mosca non ha tardato ad arrivare.
I Paesi baltici potrebbero diventare una regione di «confronto militare» tra Russia e Nato, ha avvertito l’inviato della Federazione Russa presso l’Alleanza, Alexander Grushko, secondo il quale la decisione della Nato di istituire centri di comando supplementari in 6 Paesi ai confini russi costringerà Mosca a misure “adeguate”, uguali e contrarie. «L’apertura di ulteriore potenziale militare lungo le nostre frontiere non è altro che un tentativo di esercitare pressioni sulla Russia», ha detto Grushko.
Già ieri il leader del Cremlino, Vladimir Putin, ha firmato un decreto per mobilitare per due mesi i riservisti dell’esercito russo. Si tratta di una prassi ordinaria annuale, sottolineano gli esperti. Ma che in un quadro simile potrebbe assumere un significato assai diverso rispetto al passato.
Mentre Washington e le sue pedine della “Nuova Europa” – interne all’Ue – sembrano mirare al muro contro muro, non sfugge al nucleo del polo europeo il rischio che questa escalation comporta. Non è un caso che proprio ieri, con una iniziativa inedita, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande hanno informato di un viaggio urgente a Mosca, nel tentativo di sganciarsi dalla trappola di Washington che potrebbe trascinare Bruxelles in uno scontro dal quale l’Europa ha tutto da perdere. L’obiettivo dei due boss dell’Ue, ha chiarito senza mezzi termini il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, è lanciare con Putin una mediazione “prima che il conflitto finisca fuori controllo”. A quanto pare è stato il capo del Cremlino a lanciare l’amo ai leader di Parigi e Berlino, proponendo elementi di trattativa per ora non ancora resi pubblici. E mentre vari esponenti dell’establishment statunitense insistono sulla necessità e sull’urgenza di inviare armi ai governativi ucraini, il ministro della Difesa tedesco, Ursula van der Leyen, ha definito quello proposto da Washington «un passo sbagliato».
Intanto tra le ipotesi in ballo c’è anche quella di uno schieramento di un contingente di caschi blu dell’Onu in Donbass. Secondo un portavoce del ministero degli Esteri russo sarà uno degli argomenti di discussione durante l’incontro di oggi tra Putin, Merkel e Hollande. E da Donetsk, uno dei negoziatori delle repubbliche popolari ha sostenuto che i ribelli non si opporrebbero.

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