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Obama dice “guerra”, Merkel “diplomazia”. Con Mosca è scontro duro

La tensione, potremmo banalizzare, si taglia con il coltello, ed è con il coltello tra i denti che l’amministrazione statunitense guidata dal Nobel per la Pace Obama sta affrontando una situazione che, a detta dell’inquilino dell’Eliseo, rischia di scatenare la guerra. Non la guerra per procura che si combatte da quasi un anno in Donbass, ma la Guerra con la g maiuscola, che investirebbe in pieno l’Unione Europea. Che all’interno della stanza dei bottoni europea l’escalation provocata da Washington abbia acceso tutte le sirene d’allarme lo dimostrano l’improvviso attivismo dei due boss dell’Unione, Hollande e Merkel, impegnati in questi giorni in un inedito giro di colloqui con il presidente statunitense e quello russo.
“La Russia ha violato ogni impegno sull’Ucraina” aveva detto Obama minacciando di nuovo un intervento diretto contro Mosca nonostante la posizione risolutamente contraria di Angela Merkel volata a Washington per perorare la causa della soluzione diplomatica nel conflitto con Mosca. Non che la Germania, insieme alla Francia, non siano della partita che mira a espandere ad est i confini geopolitici dell’occidente – e dell’Ue in particolare – utilizzando anche sanzioni ed altre forme di pressione violenta per rimettere a posto la Russia. Ma ormai i generali Usa parlano esplicitamente di guerra, una ‘evoluzione’ del contenzioso con Mosca che preoccupa non poco l’establishment continentale preoccupato delle conseguenze catastrofiche che il muro contro muro potrebbe generare. Dopo il colloquio con Merkel, accompagnato nello Studio Ovale dal vicepresidente Joe Biden, dal segretario di Stato John Kerry e dalla responsabile per la sicurezza nazionale Susan Rice, Obama ha utilizzato toni leggermente più concilianti rispetto alla vigilia dell’incontro con la premier tedesca, non fosse altro che per una questione di etichetta. Ribadendo in realtà che gli Stati Uniti non intendono rinunciare ad armare Kiev e a un intervento militare diretto in suolo ucraino, il che obbligherebbe Mosca ad una reazione altrettanto drastica, come già annunciato dal Cremlino. “Le sanzioni resteranno fino a quando la Russia non darà segni di cambiamento. Tuttavia vogliamo incoraggiare risoluzione diplomatica. […] Dobbiamo proteggere confini d’Europa, aumenteremo nostra presenza in Europa orientale” ha affermato Barack Obama. “Non c’è una deadline, il discorso è cosa possiamo fare per dissuadere la Russia dallo sconfinare ancora nel territorio ucraino. Noi speriamo che la Russia sia un partner, non vogliamo che fallisca, ma purtroppo ha preso una decisione sbagliata per il mondo e noi dobbiamo far vedere che c’è un costo per questa aggressione” ha poi aggiunto Obama.
Agli aut aut dell’inquilino della Casa Bianca Frau Merkel ha risposto con un laconico “Continueremo a portare avanti la soluzione diplomatica, non vedo una soluzione militare a questo conflitto in Ucraina”. Con l’attuale conflitto in Ucraina è in gioco “la pace in Europa” ha avvertito senza mezzi termini la cancelliera tedesca.
“Una soluzione militare (…) è molto improbabile per l’Ucraina” aveva affermato Obama. Una formulazione ambigua che lascia aperta ogni soluzione, è evidente. Tant’è che lo stesso presidente Usa ha avvertito di non avere ancora preso una decisione definitiva sul possibile rifornimento di armi alle forze governative Ucraine, decisione che scatterà – ha minacciato Obama – se la Russia accetterà di sottostare ai diktat che i paesi occidentali nel corso di una riunione che domani a Minsk dovrebbe vedere confrontarsi i rappresentanti di Mosca, Berlino, Parigi e Kiev. Un tentativo di resuscitare la tregua già dichiarata a settembre e poi poche settimane fa dopo lunghe e difficili trattative ma che le forze estremiste ucraine, sobillate dall’amministrazione Obama, hanno fatto saltare sistematicamente, pensando di riuscire con dei blitz a risolvere militarmente il contenzioso con le forze ribelli del Donbass. Ma in cinque mesi – e ormai lo ammettono anche i media governativi ucraini – i ribelli hanno conquistato circa 500 chilometri quadrati.
Ora che l’esercito governativo di Kiev è in rotta di fronte alla controffensiva delle milizie della Nuova Russia i ribelli, sostenuti seppur tiepidamente dalla Russia, chiedono che la nuova potenziale tregua riconosca non solo un’ampia autonomia per le regioni insorte dopo il golpe di febbraio e dichiaratesi indipendenti, ma anche il riconoscimento della netta avanzata territoriale da parte degli eserciti delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk. Una condizione che le controparti europee potrebbero in qualche modo accettare pur di disinnescare il muro contro muro con Mosca, ma contro la quale Kiev e Washington stanno facendo le barricate. Le posizioni tra i contendenti sono così lontane che a un giorno di distanza non è ancora neanche sicuro che domani a Minsk i rappresentanti di Germania, Francia, Russia e Ucraina si incontreranno davvero, o che la riunione, se effettivamente ci sarà, sia in qualche modo fruttuosa e non serva a rinfocolare le tensioni.
Anche perché di fronte alla proposta russa – sulla quale Parigi e Berlino potrebbero essere possibiliste – di una forza internazionale di interposizione che divida fisicamente i due eserciti posizionandosi all’interno di una fascia di sicurezza larga alcune decine di chilometri a cavallo dell’attuale fronte nell’Ucraina orientale, il no del regime di Kiev e della Casa Bianca sembra irremovibile. Anche perché una parte delle truppe da schierare potrebbero venire proprio da Mosca, che ieri si è offerta di collaborare all’operazione.
Da parte sua anche l’atteggiamento dell’Unione Europea per ora non sembra deciso quanto la grave situazione richiederebbe, in conseguenza anche di una spaccatura rispetto all’atteggiamento da utilizzare nei confronti dell’escalation promosso da Washington. Alla proposta di armare l’esercito di Kiev e di inviare addirittura truppe Usa o Nato in territorio ucraino il no di Francia, Germania, Italia e altri paesi è stato netto, ma non altrettanto si può dire della risposta dei paesi della cosiddetta ‘Nuova Europa’, Lituania e Polonia in testa, che sono assai più possibilisti rispetto alle minacce di Washington e si propongono di fatto come prima linea di un’operazione di aggressione militare contro Mosca dalla conseguenze imprevedibili. E alla fine il nucleo dell’Ue è costretto a mediare, non solo mantenendo le sanzioni già comminate contro la Russia e che stanno generando un disastroso effetto boomerang sulle economie europee, ma addirittura varandone di nuove contro le istituzioni e alcuni personaggi in vista tra gli insorti del Donbass, anche se decidendo per ora di sospenderne la messa in pratica sulla base dei risultati delle conversazioni previste in Bielorussia.
Che, come detto, potrebbero anche non essere affatto risolutive. Secondo l’inviato all’ONU della Russia, Vitaly Churkin, ci sono “grandi speranze sulla prossima riunione di Minsk che si tiene mercoledì”. Ma Churkin ha avvertito che “se l’incontro non riuscisse, il passo successivo potrebbe essere un’escalation del conflitto”. Parlando al canale TV Russia 24 Churkin ha aggiunto che “l’escalation entrerà in tale fase irrazionale, quando non ci si potrà aspettare più nulla” di buono.
Nonostante gli obbligati richiami all’unità da parte dei rispettivi rappresentanti diplomatici, già nel corso del fine settimana la conferenza per la Sicurezza di Monaco ha mostrato al mondo quanto siano lontane le strategie e gli interessi delle due sponde dell’Atlantico, con i “falchi” di Washington e le “colombe” di Parigi e Berlino divisi praticamente su tutto. Non è passata inosservata, almeno all’estero, la dichiarazione del ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, per la quale la Germania è finalmente pronta ad assumere la leadership nelle missioni militari internazionali superando la tradizionale subalternità nei confronti di Washington su questo fronte. D’altronde la vicenda delle intercettazioni e del sistematico spionaggio statunitensi ai danni dei leader europei e in particolar modo della classe dirigente politica, economica e militare tedesca continua a pesare come un macigno nei rapporti tra Berlino e Washington.

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