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Turchia ‘stato di polizia’: botte e denunce per insegnanti e oppositori

Cinque parlamentari dell’opposizione turca sono rimasti feriti durante la notte a causa di una aggressione nei loro confronti che ha preceduto la prevista apertura del dibattito sul contestatissimo progetto di legge del governo liberal-islamista che prevede il rafforzamento dei poteri della polizia e della magistratura e che inasprisce il già restrittivo regime di arresti, perquisizioni e intercettazioni telefoniche al di fuori del controllo della magistratura.
Due deputati hanno riportato ferite alla testa provocate addirittura da colpi di martello, strumento tradizionalmente utilizzato dal presidente dell’Assemblea per aprire e chiudere le sedute. A usarlo contro gli oppositori sono stati alcuni deputati del Partito Giustizia e Sviluppo (l’Akp del premier Davutoglu e del presidente Erdogan).
L’opposizione ha fatto ostruzionismo per impedire l’apertura delle discussioni sul progetto legislativo, ma l’Akp ha ottenuto – grazie alla sua ampia maggioranza – che l’esame iniziasse. Secondo le opposizioni la nuova legge trasformerà il paese in uno ‘Stato di Polizia”.
Ma la Turchia è già da tempo uno paese sottoposto ad un regime autoritario, nella versione islamista ora e in quella laicista e nazionalista prima che iniziasse l’era Erdogan.
Nei giorni scorsi sono quattro le persone fermate dalla polizia e denunciate con l’accusa d’aver “diffamato” il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. I fermi sono stati realizzati nel corso delle manifestazioni che si sono tenute venerdì scorso in diverse città della Turchia organizzate per denunciare i corsi di religione obbligatoria imposti agli allievi delle scuole pubbliche da un provvedimento governativo. Tra i casi più emblematici, quella di Onur Kilic, 25 anni, leader del Partito Libertà e Solidarietà e organizzatore della protesta a Smirne. Il giovane è stato arrestato per aver urlato in piazza: “Erdogan ladro, assassino”, ha riferito l’agenzia di stampa Dogan. “Io non ho insultato nessuno, io ho detto la verità” s’è difeso il giovane che però ora dovrà affrontare un processo. Un altro manifestante che era sceso in piazza sempre a Smirne – terza città del paese – è stato arrestato per aver intonato lo stesso slogan. Altri due sono stati arrestati a Istanbul. Tutti rischiano fino a quattro anni di prigione.
E’ andata anche peggio ai partecipanti ai cortei indetti nell’ambito della cosiddetta ‘giornata del boicottaggio della scuola’ organizzati venerdì scorso in altre città del paese. Già alla vigilia, giovedì, una ventina di organizzatori della mobilitazione erano stati fermati dalla polizia a Smirne, Artvin ed Edirne. Giovedì sera l’esecutivo, timoroso che l’ondata di proteste potesse allargarsi ad altri settori della società sempre più insofferenti anche dal punto di vista economico, aveva invitato tutti i governatori provinciali a tenere le forze dell’ordine pronte a disperdere ogni tipo di manifestazione. “E’ un dovere dello stato – aveva dichiarato il governatore di Smirne Mustafa Toprak – impedire ai cittadini di commettere crimini. Abbiamo sentito che i dimostranti avrebbero impedito a chiunque l’ingresso nelle scuole: hanno annunciato pubblicamente i loro piani sui siti web” (!).
Decine di insegnanti, studenti e attivisti di sindacati e organizzazioni di sinistra sono stati arrestati dalla polizia che ha attaccato i cortei con i cannoni ad acqua e i gas lacrimogeni. La protesta contro l’introduzione dei corsi obbligatori di islamismo nella scuola pubblica è stata lanciata dal Movimento unito di Giugno (BHH) assieme al sindacato degli insegnanti di sinistra Egitim-Sen e ad alcune associazioni alevite (comunità islamica di derivazione sciita e di orientamento laicista e progressista). Sono decine di migliaia le persone – insegnanti, studenti, genitori, attivisti – scese in strada come detto a Smirne, ma anche a Istanbul, Ankara, Edirne, Antalya, Denizli, Eskisehir  e altre città al grido di “educazione laica, scientifica e in lingua madre”, riferimento quest’ultimo alla richiesta della comunità curda di poter formare i propri figli nella propria lingua. I manifestanti non si oppongono soltanto alla rimozione delle leggi che impediscono l’islamizzazione dell’insegnamento nel sistema pubblico, ma anche alla crescente influenza degli istituti religiosi “Imam Hatip”, dove studenti e studentesse sono costretti a studiare in classi separate e dove i programmi sono improntati ad una rigida morale islamista e conservatrice. Secondo alcuni dati gli iscritti alle scuole religiose sono passati dai 65 mila del 2002 al milione.
Ma il mondo della scuola non è l’unico a scendere in piazza in questi giorni. Nelle città turche infatti si susseguono in questi giorni le manifestazioni organizzate dalle associazioni di donne e dai partiti di sinistra dopo che una ragazza di soli 20 anni, Ozgecan Aslan, è stata rapita da tre uomini che hanno tentato di stuprarla e poi l’hanno accoltellata, uccisa con una spranga di ferro e poi hanno bruciato il suo cadavere dopo averle tagliato le dita per rallentare l’identificazione della vittima. Dopo l’omicidio decine di migliaia di donne sono scese in piazza denunciando l’impunità di chi si macchia di violenza contro le donne e accusando il governo e le istituzioni di favorire un clima reazionario che legittima il femminicidio.

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