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Crisi turca, le debolezze dello Stato forte

Coincidenze, speculazione, complotti. Il dibattito in corso in Turchia fra opinionisti, prim’ancora che fra politici, è più concentrato sui risvolti pratici e per certi aspetti misteriosi che hanno segnato alcune fasi tragiche degli ultimi giorni, che sulla crisi del sistema erdoğaniano su cui dirà la sua il voto del 7 giugno.

Cyber attacco – Un momento inquietante nella ridda di avvenimenti è stato quello del lungo blackout che il 31 marzo ha oscurato buona parte del Paese. Incidentale? Provocato? E magari creato ad arte per introdurre attacchi come quello rivolto al giudice Kiraz? La relazione del ministro dell’Energia Taner Yıldız è stata vaga, incentrata sul concetto “è presto per avere certezze sulle cause dell’interruzione dell’erogazione”, ma egli stesso ammette di non aver mai visto nulla di simile in oltre trent’anni di servizio prestato in vari ruoli su questo terreno. “Non si esclude nulla, comunque non dovrebbe trattarsi di un cyber attacco. Nel 2003 anche gli Stati Uniti ebbero un’interruzione addirittura di 36 ore. E poi Italia, Svizzera, Austria, Slovenia sono nazioni che hanno riscontrato problemi simili”. Con questo si cerca di fugare il sospetto che ci sia una componente capace di realizzare con facilità azioni di hackeraggio che consentono di mettere in ginocchio la nazione, disarticolando uno degli aspetti vitali della modernità: la fornitura energica.

Sicurezza – Nell’occhio del ciclone il fattore sicurezza che ha visto violare con disinvoltura l’accesso nel palazzo della procura dov’era l’ufficio del giudice Kiraz. Un piano anche qui preordinato o semplice avventatezza nei controlli? In tal senso è intervenuto direttamente il presidente Erdoğan che s’è scagliato contro le inefficienze del servizio di vigilanza privata. La sua proposta sta nel sostituirlo con forze di polizia soprattutto nei luoghi pubblici che possono diventare obiettivi sensibili (tribunali, ospedali, stadi). Il numero degli addetti al settore è considerevole, sfiora le 270.000 unità, rimpiazzarli non sarà facile in tempi brevi. Presupporrebbe distogliere gli agenti da altri compiti o lanciare un reclutamento straordinario di poliziotti. Su tale terreno l’opposizione repubblicana ha scagliato i suoi sospetti. Per alcuni esponenti del Chp l’azione compiuta dai militanti del Fronte di liberazione del popolo e l’assalto della kamikaze alla centrale di polizia potrebbero essere provocazioni telecomandate, o tollerate dall’Intelligence, per favorire quell’ulteriore stretta a ogni libertà, di comunicazione, riunione, manifestazione che appunto il premier Davutoğlu richiamava nelle ore immediatamente successive al sequestro del magistrato. Si tratta della legge sulla sicurezza interna voluta dall’Akp e contestata dall’opposizione, soprattutto repubblicana.

Inefficacia della repressione – Chi ha ucciso Kiraz? Con tre pallottole in testa e due nell’addome è possibile che sia stato colpito anche o solo dal “fuoco amico”. Affermare, come fa l’establishment turco, che l’operazione sia riuscita è un’assurdità visto che il procuratore è fra le vittime, e gli  stessi sequestratori non sono stati catturati ma freddati. Però nell’area kemalista dura e pura la destra spinge meno sull’acceleratore della contestazione delle modalità repressive da parte dell’attuale governo. I nazionalisti le approvano in pieno, anzi verso il cosiddetto terrorismo adotterebbero metodi dissuasivi con quella prassi del terrore che ha caratterizzato decenni di politica interna applicata da soggetti eversivi, militari e civili. Il salvagente cercato dall’Esecutivo ripropone la teoria del grande complotto operato dagli amici diventati nemici, il sempiterno movimento di gülenista che gode, o forse godeva, d’un certo seguito fra settori di polizia e magistratura. In realtà nei mesi scorsi tali settori hanno conosciuto l’epurazione erdoğaniana che ha prodotto cambiamenti con rimozioni, alternanze, pensionamenti, così da collocare uomini di fiducia in punti strategici. La tesi, dunque, perde di efficacia e viene contestata dalle opposizioni.

Accuse e vaga alternanza – Bisognerà vedere come la popolazione percepirà questa giostra di recriminazioni reciproche. Chi sta perdendo di credibilità è l’immagine stessa della nazione, con tanto di forza, spinta propulsiva, voglia di dominare gli spazi interni e regionali per determinare un domani dipinto come grandioso. Ma su questo terreno perdono tutti: il sultano col suo progetto di Grande Turchia che, respinta dall’Europa, s’è messa a giocare col fuoco mediorientale per le manìe di grandezza del proprio regista; perdono anche i kemalisti – repubblicani e ipernazionalisti – che del capitalismo rampante negli anni Novanta furono sostenitori, vedendosi poi traditi da imprenditori che, dopo il successo elettorale dell’Akp, saltarono opportunisticamente sul suo carro. Resta il malcontento di piazza, il popolo di Gezi Park, i giovani metropolitani, gli operai stritolati da lavori desueti, come i minatori di Soma dati in pasto all’insicurezza dei luoghi e dei sistemi, che però non fanno blocco sociale. O perlomeno non lo fanno ancora. E c’è l’incognita kurda, il nemico storico che Erdoğan lusinga e colpisce. Lo vorrebbe quale alleato per continuare a inseguire un sogno costellato di trappole.  

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