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Petrolio e lotta allo Stato Islamico: prove di alleanza tra Russia e Iraq

Accordi sul fronte petrolifero e su quello del contrasto al fondamentalismo islamista e in particolare alle bande dell’Is: entrambi questi temi sono al centro attualmente dei crescenti rapporti tra Russia e governo dell’Iraq, all’interno di una complicata partita energetica che coinvolge anche gli Usa e l’Occidente. Mosca “sostiene gli sforzi” di Baghdad “per contenere la minaccia proveniente dallo Stato Islamico” e “per preservare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Iraq”. Così recita il comunicato diffuso dal ministero degli Esteri russo dopo il viaggio compiuto nel paese dal vice ministro degli Esteri di Mosca Mikhail Bogdanov, che ha visitato l’Iraq il 2 aprile per consegnare un messaggio personale di Vladimir Putin al primo ministro iracheno Haydar al-Abadi, impegnato proprio in questi giorni in una difficile quanto vittoriosa offensiva contro lo Stato Islamico a Tikrit.

Bogdanov ha discusso con al-Abadi di cooperazione nel settore del petrolio e del gas, e in altri ambiti di interesse comune. Le trattative hanno coinvolto anche il fondatore e presidente della compagnia petrolifera Lukoil, Vagit Alekperov, ed “hanno evidenziato lo sviluppo delle relazioni tradizionalmente amichevoli tra la Russia e l’Iraq”.
Le due parti hanno affermato la volontà reciproca di Mosca e Baghdad di “rafforzare la cooperazione reciprocamente vantaggiosa e multiforme nel settore del petrolio e del gas tra le altre aree”, ha fatto sapere il ministero. Inoltre, “Bogdanov a Baghdad ha incontrato il ministro degli Esteri iracheno, il copresidente della Commissione intergovernativa russo-iracheno per il commercio, economica, cooperazione scientifica e tecnologica Ibrahim al-Jafari”. E Mosca e Baghdad hanno saputo trovare affinità significative. “Uno scambio di opinioni su questioni regionali ha confermato la tendenza comune a cercare modi di una più presto soluzione politica della crisi in Medio Oriente, tra cui la Siria e lo Yemen, e la creazione di un dialogo nazionale inclusivo senza diktat militari esterni” ha sottolineato il ministero russo.
L’Iraq dispone di riserve petrolifere assai consistenti, nella regione sono seconde solo a quelle dell’Arabia Saudita – avversario giurato di Mosca e sponsor del fondamentalismo islamista utilizzato sia contro Baghdad sia contro la Russia nel Caucaso – e leggermente superiori a quelle degli Emirati, del Kuwait e dell’Iran. Tuttavia, a detta degli esperti, tali riserve sarebbero non sfruttate a pieno. Inoltre la maggior parte delle esportazioni di greggio irachene sono dirette agli Stati Uniti e alle raffinerie asiatiche. Secondo le stime dell’International Energy Agency, potrebbe raggiungere quasi 5.000 miliardi di dollari dall’esportazione di petrolio entro il 2035. Se Mosca riuscisse ad aumentare le importazioni di greggio da Baghdad segnerebbe indubbiamente un punto a proprio favore nel tentativo di svincolarsi dall’accerchiamento e dalle sanzioni imposte da Usa, Ue e altri paesi del blocco occidentale.

Ma anche il reciproco sostegno contro l’integralismo islamico combattente non va considerato un punto secondario delle prove di maggiore collaborazione tra Mosca e Baghdad. D’altronde il numero di cittadini russi che combattono nelle file dello Stato Islamico in Siria e in Iraq è quasi raddoppiato, dicono le stime dell’Fsb (i servizi di sicurezza di Mosca), nel corso dell’ultimo anno, raggiungendo quota 1500-1700. E anche nelle bande di Al Qaeda non mancano di certo jihadisti provenienti da Cecenia, Daghestan ed altre aree meridionali della Federazione Russa.
Secondo gli analisti russi ben 1000 jihadisti provenienti da paesi dell’ex Urss avrebbero partecipato all’offensiva dell’Is contro la provincia irachena di Anbar, poi occupata, guidati da un certo ‘Omar il ceceno’. Quindi per Mosca aumentare la collaborazione sul fronte antijihadista in Iraq e Siria è di fatto una questione di sicurezza interna.

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