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La Grecia prova a uscire dalla tagliola. Con Russia e Cina

Dai e dai, anche un onesto riformista si stufa e deve trovare serie alternative. Di rottura o quasi.

La Grecia è strangolata finanziariamente da una serie di scadenze di restituzione dei prestiti concessi a suo tempo ai governi Samaras e Papandreou, obbedientissimi alla Troika. E deve far fronte anche alle normali spese correnti interne (stipendi pubblici, pensioni, sanità, ecc) mentre le casse si vanno rapidamente svuotando perché “i partner” europei si rifiutano di erogare nuovi prestiti in sostituzione degli antichi, visto che il nuovo governo di sinistra non obbedisce a comando ma pretende di rivedere le misure di austerità che erano state imposte in precedenza.

C’è da ricordare che la Banca centrale di Atene, restando il paese nel sistema euro, può stampare moneta (quella unica) solo nella misura decisa dalla Bce. Quindi può in teoria ricorrere solo a prestiti sui mercati finanziari, emettendo titoli di stato. Ma è un’ipotesi solo teorica, perché la speculazione ha mandato alle stelle il tasso di rendimento preteso sui titoli greci (27% annuo), facendone crollare il prezzo. Un doppio strangolamento, insomma, di comune accordo tra Troika e “mercati”.

Con la prospettiva di ritrovarsi tra una decina di giorni senza liquidità, il governo Tsipras ha stretto accordi con partner extra-Ue come Cina e Russia, da cui – come scriveva ieri il quotidiano tedesco Der Spiegel – dovrebbe ricevere a stretto giro almeno 1 miliardi. Cinque da Mosca come anticipo sui diritti di passaggio del nuovo gasdotto Turlish Stream (che sostituisce il progetto South Stream, cui partecipava anche l’Eni) e addirittura dieci da Pechino con l’identica formula relativa alla parziale privatizzazione del porto del Pireo e agli investimenti su infrastrutture ferroviarie.

Una mossa che può dare fiato immediato alla Grecia sul piano finanziario e apre la porta a possibili altri accordi altamente sgraditi sia a Bruxelles che a Washington. La posizione della Grecia nelle alleanze geostrategiche rischia infatti di cambiare in modo altrettanto radicale. Nell’immediato, per esempio, appare certo che non ci sarà l’ok greco al rinnovo o all’inasprimento delle sanzioni atlantiche contro la Russia sulla vicenda Ucraina. Ma a più lungo termine, se l’atteggiamento dell’Unione Europea resterà quello attuale (“rispettare le regole” senza cambiarne neanche una, “riforme strutturali” che eliminino le residue tutele per i lavoratori, licenziamenti nel pubblico impiego, taglio della spesa pensionistica e sanitaria, privatizzazioni, ecc), diventerà inevitabile una sempre maggiore “autonomia” ellenica rispetto ai diktat della Troika.

Le trattative con il Cremlino per il transito del gasdotto (la firma definitiva arriverà dopodomani, a riprova che si tratta di accordi con effetti immediati), sono condotte dal ministro dell’energia Panagiotis Lafazanis, leader della corrente comunista di Syriza, le cui posizioni sono elaborate nel think tank Iskra (chi l’ha detto, infatti, che a sinistra non si possa fare della seria elaborazione economico-politica?). E non si tratta dell’unico accordo economico con la Russia. In occasione del recente viaggio di Alexis Tsipras a Mosca, infatti, sono state poste le basi per accordi strategici nel settore della difesa della difesa e dell’agroalimentare. Le sanzioni europee contro Mosca hano infatti prodotto una reazione uguale e contraria, che si è riversata sulle esportazioni europee. Ma ora dele “società miste” tra i due paesi potranno aggirare i rispettivi blocchi, fornendo una boccata d’ossigeno anche ai produttori agricoli greci.

Di fatto, sta cominciando a prendere corpo una possibile “rottura a rate” del rapporto con l’Unione Europea, che può avere effetti devastanti sulla mostruosa creatura creata dagli accordi intergovernativi degli ultimi trenta anni. Altri paesi vedono infatti traballare le maggioranze politiche “ovvedienti” e crescere partiti e movimenti (sia di destra che di sinistra) che pretendono la revisione degli accordi. Spagna e Portogallo andranno alle urne quest’anno, e persino nella Finlandia del “falco dell’austerità”, Jyrki Katainen, oggi ci potrebbero essere dolorose sorprese.

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