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Regno Unito al voto: tra emergenza sociale ed ‘effetto Tsipras’

Ai meno attenti potrà sembrare un paradosso che proprio mentre in Italia il partito anglosassone sia finalmente riuscito ad imporre un sistema elettorale che di fatto mira a imporre un bipartitismo per quanto imperfetto proprio nella madrepatria dell’uninominale l’architettura politica che ha funzionato per decenni – e forme simili per secoli – vada improvvisamente in pezzi. Eppure è proprio così. Tutti i sondaggi pubblicati dai media britannici rispetto al possibile esito del voto di giovedì predicono un parlamento balcanizzato come non era mai successo, e soprattutto che nessuno dei due partiti finora  egemoni – Conservatori e Laburisti – ottenga il numero di seggi necessario a governare. Colpa della crisi, colpa della gestione della crisi da parte del governo britannico e dell’Ue, colpa della sfiducia della popolazione nei confronti del sistema politico e dei partiti storici, colpa delle opposte pulsioni filo e antieuropeiste. Fatto sta che il parlamento di Londra potrebbe vedere questa volta una situazione assai difficile da ricomporre, anche più difficile di quando alla scorsa tornata i Tories furono obbligati a imbarcare nella maggioranza, per la prima volta da tempo immemore, i Liberaldemocratici reduci da un improvviso exploit. Un’esperienza di governo che ha tradito molte delle aspettative – in particolare proprio degli elettori LibDem – e che potrebbe tirare la volata a nuove forze. A destra l’Ukip di Nigel Farage – populista, di destra, xenofobo, nazionalista ed ‘euroscettico’ – a sinistra i Verdi e altre formazioni minori che potrebbero entrare alla Camera.
Ma la vera sorpresa, quella che potrebbe scompaginare un sistema di alternanza finora più o meno perfetto, potrebbe essere quella rappresentata dal boom del Partito Nazionale Scozzese guidato da una rampante Nicola Sturgeon che piace sempre più a settori di elettorato in fuga dal Labour Party a nord del Vallo Adriano. In una situazione in cui a sinistra del Labour non esiste di fatto alcuna forza o progetto politico credibile, i nazionalisti socialdemocratici scozzesi potrebbero godere di un ‘effetto Tsipras’ all’interno di un contesto assai diverso.
Alcuni sondaggi prevedono addirittura l’en plein per i nazionalisti scozzesi che otterrebbero tutti e 59 i collegi in palio, mentre altri assegnano agli indipendentisti 53 o 54 eletti. Il che lascerebbe pochissime possibilità ai rappresentanti del centrodestra e addirittura nessuna ai candidati di un preoccupatissimo Ed Miliband. Se la storica irruzione dell’Snp riuscisse nei termini finora previsti, la pattuglia di parlamentari nazionalisti scozzesi potrebbe essere indispensabile alla formazione di un governo, e in grado di condizionare i laburisti nel caso questi scegliessero di accettare un appoggio esterno o addirittura di formare un governo con l’odiata Sturgeon pur di non andare a nuove e immediate elezioni. Sempre che, come avvenuto in Italia e Germania, alla fine il sistema non punti a un governo di grande coalizione tra centrodestra e centrosinistra (il che però suona come una bestemmia a Londra). In caso contrario formare un governo potrebbe essere molto difficile se non impossibile. Secondo gli ultimi sondaggi pubblicati dal quotidiano Guardian (che ha scelto nonostante tutto di sostenere gli ormai sbiaditissimi laburisti) al Partito conservatore potrebbero andare 274 seggi, quattro più del Labour Party. Ma i seggi necessari per ottenere la maggioranza e poter governare sono 326. Lo Scottish national party (Snp), secondo lo stesso sondaggio, otterrebbe 54 seggi, 27 quelli che potrebbero ottenere i liberaldemocratici. Solo 3 seggi andrebbero al Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip), pur accreditato di una percentuale intorno al 14% (magie di una legge elettorale creata apposta per segare i partiti di medie dimensioni ma non concentrati in un particolare territorio), e uno o forse due ai Verdi. Secondo altri sondaggi, che non variano di molto, al parlamento potrebbe entrare anche qualche esponente del Plaid Cymru, partito nazionalista gallese con venature anche più di sinistra dell’Snp, e poi occorre tener conto degli eletti nord irlandesi. Praticamente tutti – salvo sorprese dell’ultima ora, determinate ad esempio da un’affluenza che si prevede ancora più scarsa che in passato – prevedono che il voto di giovedì porti a un governo di coalizione la cui nascita potrebbe essere assai lunga e travagliata. Il Guardian ipotizza, sulla base delle previsioni, ben sei scenari diversi. 
E’ evidente che solo le ultime due ipotesi permetterebbe ad un eventuale premier incaricato di ottenere la fiducia.

·         Laburisti + Snp: 324 seggi

·         Laburisti + Liberaldemocratici: 297 seggi

·         Conservatori + Liberaldemocratici + Dup + Ukip: 313

·         Conservatori + Liberaldemocratici: 301 seggi

·         Laburisti + Liberaldemocratici + Snp: 351

·         Laburisti + Snp + Sdlp + Verdi: 331 seggi

Aspettando di conoscere i risultati reali, difficilmente Edward Miliband o David Cameron potranno diventare capi di un governo eletto a furor di popolo. Entrambi potrebbero doversi accontentare di essere scelti con la più bassa percentuale di voti dal 1923 ad oggi. Al momento l’assai poco ambito record del premier con il più basso gradimento è detenuto da Tony Blair, ottenuto quando il laburista bombardiere fu però riconfermato per la terza volta con il 36,2% dei voti esattamente dieci anni fa. Un sondaggio pubblicato da un altro quotidiano “progressista”, l’Indipendent, rivela come tra gli elettori laburisti il leader del partito Miliband non sia proprio amatissimo. Il che spiega come, almeno a nord del Vallo Adriano, molti ex elettori laburisti abbiano deciso di rivolgersi ad un Partito Nazionale Scozzese che alle rivendicazioni indipendentiste somma la difesa del welfare state, una critica all’austerity e alle avventure militari dei governi di Londra. A nove mesi dalla sconfitta nel referendum per l’indipendenza della Scozia e dalle dimissioni dell’ex leader storico Alex Salmond, l’Snp potrebbe diventare l’ago della bilancia. La Sturgeon dirige principalmente la sua campagna contro i laburisti – rei di aver tradito e rinnegato ogni valore sociale – e contro l’Ukip di Nigel Farage – colpevole invece di propagandare un messaggio sciovinista e nazionalista filo inglese, oltre che di attaccare da destra l’integrazione europea. Per convinzione  e per necessità, i nazionalisti scozzesi hanno accentuato il loro discorso europeista, mettendolo in contrapposizione all’egoismo isolazionista che caratterizza sempre di più non solo i discorsi bellicosi dell’Ukip, ma anche quelli di Cameron e dei Tories alla rincorsa a destra del voto in fuga verso Farage. Se i laburisti dovessero avere bisogno del supporto della 44enne attuale premier scozzese dovrebbero concedere evidentemente qualcosa al programma dell’Snp, sia sul fronte delle misure economiche e sociali sia su quello della devolution nei confronti di Edimburgo che potrebbe rappresentare di fatto una indipendenza non dichiarata in attesa del momento in cui un altro referendum la sancirà formalmente (presto o tardi avverrà).
Molti britannici, che siano o meno favorevoli al distacco della Scozia, non ne possono più di una situazione sociale disastrosa e in cima ai loro pensieri non c’è certo la ‘royal baby’. In un Regno Unito sempre più colpito dai tagli allo Stato sociale che dalla Thatcher in poi non hanno mai cessato di dissanguare il welfare, e in cui aumentano le disparità economiche, il programma de Partito Laburista fa finta di nulla, quello dei Tories pure e l’Ukip dà invece la colpa agli immigrati (a quelli dell’Europa orientale e meridionale anche più che a quelli extracomunitari). Ma sono il lavoro, la casa, la pensione e l’istruzione le priorità della maggior parte della popolazione. Stando a una recente denuncia dell’Indipendent, più di 50 mila famiglie povere sono state costrette a quello che appare come un vero e proprio esodo degli indigenti da Londra negli ultimi tre anni. Citando documenti finora mai pubblicati, i giornalisti dell’Indipendent denunciano quella che appare come una sorta di “pulizia sociale” portata avanti, a causa dei tagli al welfare e del caro affitti, dai municipi che offrono alle famiglie senza casa un alloggio al di fuori della capitale, a distanza anche di centinaia di chilometri.
Una espulsione che interesse sempre più spesso a persone che non sono in grado di pagare i crescenti affitti della capitale. Secondo un recente rapporto del Tussel Trust, organizzazione che gestisce una rete di cosiddette ‘banche del cibo’ in tutto il Regno Unito, negli ultimi 12 mesi vi sono state più di un milione di richieste di sostegno alimentare, con un’impennata rispetto al passato. Una situazione allarmante, se si considera che nella stima del Tussel Trust non sono incluse le ‘banche del cibo’ gestite dalle Chiese e da organizzazioni caritatevoli varie.

Contemporaneamente l’associazione nazionale dei dirigenti scolastici (Naht, National association of head teachers) ha denunciato che sempre più insegnanti sono costretti a comprare cibo ai proprio studenti, aiutandoli anche nelle piccole spese quotidiane e a prendersi cura di loro stessi, visto lo stato di indigenza che li caratterizza. A denunciarlo un sondaggio realizzato fra oltre 2mila dirigenti scolastici, che ha rivelato come molti docenti comprino persino le divise scolastiche dei propri allievi, così come prodotti per l’igiene, libri e giocattoli. Secondo i calcoli dell’associazione, ogni anno gli insegnanti spendono di tasca propria l’equivalente di 58 milioni di euro per sopperire alle mancanze delle famiglie.
Mentre almeno il 7% dei ragazzi e delle ragazze che frequentano la scuola pubblica vivono al di sotto della soglia minima di povertà, le famiglie che mandano i propri figli alle scuole private si possono permettere di pagare mediamente 22 mila euro all’anno. Una disparità sociale in crescita e senza precedenti dall’inizio degli anni ’70 a questa parte, frutto di decenni di politiche ultraliberiste.
Tra i partiti in lizza per le prossime elezioni solo lo Scottish National Party e i Verdi puntano a combattere la povertà e a rafforzare (ma senza esagerare) gli stanziamenti per l’istruzione e il sistema pubblico in generale. Il partito di Nicola Sturgeon chiede un aumento della spesa pubblica dello 0,5% all’anno per finanziare nuovi investimenti pubblici per 140 miliardi di sterline; si pone l’obiettivo di realizzare 100mila abitazioni all’anno a costi sostenibili per le famiglie di reddito basso e medio; prevede l’aumento della paga oraria minima a 8,7 sterline entro il 2020, la reintroduzione dell’aliquota fiscale massima del 50% per i redditi superiori alle 150mila sterline, nuove tasse sugli immobili di lusso e sui bonus pagati ai supermanager della City. I nazionalisti scozzesi si oppongono anche al rinnovo del programma di difesa nucleare Trident che costa uno sproposito.

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