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L’Onu accusa: la Spagna tortura. Anche ieri a Gasteiz

Quanto accade a proposito di tortura in Spagna dimostra che non basta inserire l’apposito reato nel proprio Codice Penale – che comunque rappresenta già un passo in avanti rispetto alla legislazione italiana – per impedire che le proprie forze di sicurezza abusino dei detenuti, dei fermati o dei migranti.
Il Comitato contro la Tortura dell’Onu ha pubblicato venerdì scorso le sue osservazioni finali in merito alla Spagna, nelle quali si raccolgono i commenti inseriti nel documento ‘ombra’ elaborato dall’associazione Rights International Spain. L’istituzione dell’Onu è tornata quindi a criticare nel suo documento il fatto che lo Stato Spagnolo non ha applicato se non in forma minima le raccomandazioni indicate in materia di diritti umani nel lontano 2009.
Dall’organismo delle Nazioni Unite segnalano che il Codice Penale di Madrid non regola in forma adeguata i reati di tortura e che non si adatta neanche alla definizione di tortura indicata dalla relativa Convenzione Internazionale. Le Nazioni Unite non reputano adeguate neanche le pene previste in caso di condanna per tortura, condanne del resto rarissime nello Stato Spagnolo nonostante l’altissimo numero di denunce che quasi mai però vengono raccolte ed esaminate nei tribunali.
Nel recente rapporto il Comitato contro la Tortura dell’Onu ricorda al governo di Madrid che i reati di tortura non possono essere prescritti e che occorre adottare misure certe ed urgenti affinché le violenze commesse contro i dissidenti nel corso della guerra civile e della dittatura franchista vengano investigate e punite.
A proposito del regime di isolamento per i detenuti accusati di terrorismo – la incomunicaciòn – che permette la detenzione senza alcun contatto con un avvocato, un medico o la famiglia fino a 13 giorni dopo l’arresto (e che costituisce un periodo ottimale per l’applicazione della tortura allo scopo di estorcere confessioni da usare poi come prove nel corso dei processi), il Comitato invita il Governo Spagnolo ad abolirlo del tutto e a introdurre nella Legge in via di approvazione alcune garanzie sul rispetto dei diritti dei detenuti, come quello ad essere assistito fin dalla detenzione da un avvocato e da un medico di fiducia.
Anche il Tribunale Europeo dei Diritti Umani, come altri organismi internazionali, ha segnalato alla Spagna la necessità di rivedere il regime di isolamento, chiedendo alle autorità di Madrid di assicurare la ripresa attraverso delle telecamere all’interno dei commissariati per evitare abusi.
Il Comitato dell’Onu infine segnala l’uso ‘eccessivo’ della forza da parte della Polizia Nazionale e della Guardia Civil sia nel corso di manifestazioni sia nei confronti dei migranti che tentano di superare la frontiera, e chiede che si stabiliscano norme chiare e vincolanti sull’uso della forza e che si indaghi e si realizzino processi nei confronti degli agenti responsabili di comportamenti brutali.
E’ prevedibile che le ‘raccomandazioni’ dell’Onu e del Tribunale Europeo dei Diritti Umani rimarranno, a parte qualche concessione formale e di facciata, lettera morta. D’altronde basta vedere le immagini della brutale repressione condotta ieri dalla polizia ‘autonoma’ basca – la Ertzaintza – nel centro di Gasteiz contro alcune centinaia di giovani colpevoli di difendere tre loro compagni dall’arresto per accorgersi che gli apparati di sicurezza dello Stato Spagnolo sono ben consci dell’omertà e della tolleranza di cui godono i loro comportamenti criminali.
Le immagini di alcuni ragazzi e ragazze torturati in mezzo alla strada sotto gli occhi di decine di testimoni – alcuni dei quali dotati di smartphone o di telecamera – hanno scatenato una nuova ondata di indignazione all’interno della società basca e non solo. Da una parte migliaia di giovani attivisti e simpatizzanti della sinistra indipendentista che adottano la disobbedienza civile e la resistenza passiva – eppure il portavoce locale di Podemos non ha esitato a smarcarsi da quelli che ha definito ‘violenti’ – dall’altra centinaia di energumeni bardati e incappucciati che innervositi dall’ampia partecipazione al ‘muro popolare’ hanno trascinato i giovani per i capelli, li hanno pestati mentre erano inermi a terra, li hanno soffocati, calpestati, manganellati. Fino ad arrivare al giovane con la testa ficcata in una fontanella, ripetendo ‘in piccolo’ la pratica del waterboarding che il mondo ha scoperto dopo i rapporti sulle torture a Guantanamo ma che la resistenza basca conosceva decenni fa sotto la denominazione di ‘banera’ (la vasca).
Alla fine l’assalto di ieri mattina al ‘muro popolare’ eretto dalla gioventù indipendentista per impedire – o ritardare – l’arresto di Igarki Robles, Aiala Zaldibar e Ibon Esteban è stato di 20 tra fermati e arrestati e di ben 70 feriti. Per le botte ricevute due manifestanti sono addirittura svenuti. Macelleria messicana? No, spagnola.

Di seguito la cronaca della giornata di ieri nel Paese Basco:

Paese Basco. Una nuova muraglia umana contro la brutalità della repressione

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