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Il Pentagono si riorganizza. Per fare la guerra a Russia e Cina

Sembra impossibile che il rischio di una guerra su vasta scala non allarmi le opinioni pubbliche, non mobiliti le organizzazioni politiche, sociali, religiose, non stimoli l’intervento degli intellettuali, non appassioni i media. Eppure il rischio di un conflitto globale è così evidente e reale che praticamente tutti i governi delle potenze mondiali o regionali si stanno attrezzando e riorganizzando nell’eventualità che la guerra da possibilità si trasformi in realtà. 

Di qualche settimana fa la notizia che Pechino ha deciso un nuovo aumento delle spese militari e la costruzione di una imponente flotta da guerra che le permetta di tenere testa alla crescente aggressività di un Giappone che si è disfatto delle restrizioni imposte dalla potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale e che si è già lanciato nella corsa agli armamenti e nella proiezione internazionale del suo esercito. Per non parlare dello scontro militare in corso, finora per vie indirette, tra Mosca e la Nato, con quest’ultima che riempie l’Europa orientale, la Scandinavia e il Baltico di basi militari, soldati ed armi pesanti e la Russia che risponde militarizzando i propri confini e minacciando di puntare i propri missili a testata nucleare contro Berlino; il tutto sullo sfondo di una guerra civile ucraina nella quale l’intervento diretto e indiretto della Nato non fa che acuire il rischio di uno scontro diretto e imminente con Mosca.
E’ proprio da Washington che arriva una notizia alla quale pochi media hanno fatto caso, e mai dando a quanto sta accadendo la rilevanza necessaria. Di fatto il Pentagono, a quattro anni dal precedente piano che si occupava poco e niente di Mosca, ha aggiornato la sua strategia globale proprio in virtù dello scontro in atto tra Stati Uniti da una parte e Russia e Cina dall’altra che potrebbe sfociare in una guerra.
Le agenzie di stampa riportano che il generale Martin Dempsey, l’ufficiale più alto in grado nelle forze armate di Washington in qualità di capo degli stati maggiori riuniti, nel suo ultimo rapporto ha avvisato che c’è “una bassa ma crescente” probabilità che gli Stati Uniti possano combattere una guerra con una grande potenza concorrente con conseguenze definite ‘immense’. Dempsey non fa esplicito riferimento né a Mosca né a Pechino ma è più che evidente di cosa sta parlando quando cita la crescente minaccia alla sicurezza e agli interessi degli Stati Uniti. La Russia “ha ripetutamente dimostrato che non rispetta la sovranità dei suoi vicini (Ucraina) e la sua volontà di ricorrere all’uso della forze pur di raggiungere i suoi obiettivi” recita infatti il “2015 National Military” redatto da Dempsey e dal suo staff. Naturalmente il testo, a proposito di Ucraina, denuncia che “le azioni militari russe stanno minacciando direttamente o per procura la sicurezza regionale”, dimenticando di citare il fatto che è stato un golpe filoccidentale a Kiev nel 2014 a innescare un’escalation alla quale Mosca ha semplicemente reagito, e oltretutto controvoglia. Per non parlare del fatto che il più volte denunciato intervento militare russo a sostegno della resistenza del Donbass è tutto da dimostrare mentre invece i centinaia di paracadutisti a stelle e strisce arrivati nell’ovest ucraino per addestrare le truppe d’èlite delle forze armate golpiste (battaglioni neonazisti compresi) sono una certezza.
“I conflitti – avverte Dempsey – scoppieranno più rapidamente, dureranno più a lungo e in un campo di battaglia assai più esigente dal punto di vista tecnico ed avranno un impatto sempre più forte anche sul territorio statunitense”. Il coinvolgimento del territorio statunitense in un eventuale conflitto futuro su grande scala costituirebbe sicuramente un problema per le classi dirigenti del paese, visto che la popolazione statunitense ormai non conosce le conseguenze di una guerra dall’epoca dello scontro tra Confederati e Unionisti.
Il testo diffuso dal Pentagono appare interessante anche perché esprime una malcelata preoccupazione per i ritardi statunitensi nel campo della tecnologia militare nel quale Washington starebbe perdendo la tradizionale supremazia. “Quando si applicano a sistemi militari, questa diffusione di tecnologia va a sfidare il vantaggio competitivo a lungo detenuto dagli Usa in settori come l’allarme rapido (relativo all’individuazione di un obiettivo con il relativo lancio di un missile balistico intercontinentale, ndr) e i bombardamenti di precisione”. 
“Dalla pubblicazione dell’ultima (analisi) di strategia militare 4 anni fa, il disordine globale è cresciuto mentre alcuni dei nostri vantaggi (tecnologici) hanno iniziato a ridursi” sostiene il rapporto strategico curato da Dempsey.
A preoccupare il Pentagono è il fatto che nel Mar Cinese Orientale Pechino abbia avviato la costruzione di un certo numero di piattaforme ed isole artificiali allo scopo di creare avamposti militari difensivi contro le mire territoriali di Tokyo e di altri paesi dell’area supportati dagli Stati Uniti.
Una importanza solo relativa viene invece accordata alla minaccia rappresentata dallo Stato Islamico e da altre grandi organizzazioni “terroristiche” di natura jihadista come Al Qaeda. Anche se poi il documento considera particolarmente ostico e lungo il contrasto militare a tali minacce a causa delle loro caratteristiche.

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