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Grecia. Il referendum come rottura

Per la Grecia, solo un ‘no’ domenica può rendere possibile un’alternativa duratura all’austerità 

Il referendum che si terrà domenica in Grecia non è un dibattito politico. E’ una battaglia all’interno di una guerra in corso tra la società greca e l’Unione europea (UE) e il Fondo monetario internazionale (FMI), che stanno tentando di trasformare la Grecia nel più brutale tra i recenti esperimenti di ingegneria sociale neoliberista.
Carl Schmitt scrisse una volta che le uniche categorie esistenzialiste sono quelle di amico e nemico. E’ esattamente in questi termini che possiamo leggere le tattiche della UE, e in particolare della Germania, nel corso della crisi greca. Non c’è mai stato un negoziato. E’ stata fin dall’inizio una guerra esistenziale, nel senso schmittiano, una in cui non si cerca un terreno comune o un compromesso a proprio favore, ma la resa totale del nemico.
Questo può spiegare il rifiuto di negoziare sul serio con la controparte greca, nonostante questa avesse fatto dolorose concessioni e accettato l’austerità. Così sono emerse durante i negoziati scadenze e richieste sempre nuove. Così hanno rifiutato ogni discussione sulla possibilità di una riduzione del debito greco, proprio perché il debito è stato lo strumento più adatto per questo ricatto, esplicito e cinico, nei confronti di un’intera società.
L
a decisione del governo greco di indire il referendum è stata un atto di rottura con la UE. Dovremmo ricordare che la UE è allergica ai referendum (dopo la traumatica esperienza del 2005) e più in generale ostile a ogni esercizio di sovranità popolare che danneggi le proprie politiche neoliberiste. Per di più, si tratta in questo caso di un referendum che riguarda non una politica da adottare, ma una già implementata; una valutazione, in realtà, sul nocciolo della versione attuale di governance economica europea. Rifiutare le proposte dei creditori equivale a rifiutare l’essenza dell’odierna forma di integrazione europea.
Di conseguenza, per la UE e, in particolare, per la Germania, la semplice decisione di indire il referendum ha comportato la fine dei negoziati. In un certo senso, la tattica della Germania è semplice: fate pure il referendum. Se vince il ‘sì’, avrete un nuovo, più rigido, pacchetto di austerità. Se vince il ‘no’, preparatevi all’uscita della Grecia dall’eurozona (la ‘Grexit’).
In questo senso, l’idea del primo ministro Alexis Tsipras che a una vittoria schiacciante del ‘no’ seguirebbe una ripresa dei negoziati non ha fondamento. Anche se volessero ancora un accordo umiliante, e non un’uscita punitiva forzata, approfitterebbero probabilmente della situazione (banche prive liquidità, controlli sui capitali, collasso dei mercati, carenza di liquidità, e probabili carenze di beni di prima necessità) e farebbero in modo di prolungarla per imporre, ora pienamente, la politica di devastazione sociale.
L’idea del referendum è stata corretta, e ha liberato forze e potenziale sociale in modo molto maggiore rispetto agli ultimi mesi. Per la prima volta si vedono le forze della sinistra – con l’eccezione del Partito Comunista, che rimane prigioniero del suo ‘sinistrismo paranoico’ – dare realmente battaglia. Ma il referendum non è un negoziato. E’ l’inizio della rottura.
Sfortunatamente, Syriza non si è preparata per questo. Il fatto che molti pezzi grossi di Syriza come Yannis Dragasakis, Giorgos Stathakis, Dimitrios Papadimoulis e altri abbiano apertamente chiesto di accettare qualunque proposta di accordo, contraddicendo la ferma posizione di Tsipras in favore del ‘no’, è un esempio dei limiti di Syriza. Tsipras ha mostrato coraggio e determinazione, rifiutando di arrendersi e indirizzando verso il ‘no’ tutto il proprio peso politico. Tuttavia, sta ancora presentando il ‘no’ come una tattica negoziale – facendo proposte anche all’ultimo minuto – e non come l’inizio di uno scontro più ampio.
Allo stesso tempo, stiamo già vedendo una forte polarizzazione nella società greca. La campagna del ‘sì’ sta combinando la mobilitazione di strati delle classi medie e borghesi (un numero notevole di associazioni professionali sostiene il ‘sì’) con lo sviluppo di ogni forma di guerra ideologica. I media privati sono macchine di propaganda per il ‘sì’, e le aziende greche minacciano apertamente i propri dipendenti di licenziamenti di massa in caso contrario, utilizzando il rifiuto di pagare gli stipendi come mezzo per rendere credibile la minaccia.
La paura sta iniziando a diventare il fattore determinante. Allo stesso tempo, si vedono segni di radicalizzazione anche sul fronte del ‘no’, con persone più pronte che mai ad accettare pienamente il costo della rottura, se questo aprisse la possibilità di una fine dell’austerità.
Il problema maggiore è che ancora non abbiamo ciò di cui si necessita maggiormente: una narrazione coerente per una rottura di fatto inevitabile. Una narrazione sincera, che parli delle difficoltà iniziali e dei benefici a lungo termine della Grexit, posto che questa sia effettuata in modo sovrano, e del bisogno di un diverso paradigma di sviluppo. Una narrazione militante, che potrebbe inoltre convincere le persone a sostenere questa strategia con vigore, accettare le difficoltà iniziali, e combattere la paura. Syriza ancora non vuole accettare questa sfida, e la sinistra radicale è ancora indietro per quanto riguarda il necessario passaggio dagli slogan ai programmi.
Un voto per il ‘sì’ non significherebbe solo la firma di un accordo umiliante da parte del governo greco. Comporterebbe anche un più ampio processo di riallineamento della scena politica, comprese enormi pressioni su Syriza (alcune esercitate al suo interno) per uno spostamento verso destra. Soprattutto, esso sarebbe utilizzato per spostare i rapporti di forza a favore del capitale, e rovesciare preventivamente qualunque aspirazione delle classi subalterne.
Una netta vittoria del ‘no’ è l’unica soluzione, l’unico modo per porre fine al pilota automatico dell’austerità e della devastazione sociale. Ma non sarà sufficiente. E’ più urgente che mai che la sinistra affronti davvero le sfide che le si presentano davanti.
La sfida non è avere qualche momentaneo sussulto di dignità, qualche momento vittorioso, e un breve intermezzo di sovranità popolare prima della sconfitta e della resa. La sfida è dimostrare che ci può essere un’alternativa che duri.

* Membro della coalizione della sinistra radicale Antarsya

Fonte https://www.jacobinmag.com/2015/07/tsipras-syriza-greece-exit-default-european-union

Traduzione a cura della Campagna Noi Restiamo – Torino

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