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Kiev: Pravyj sektor vuole le dimissioni dell’ “agente del Cremlino” Poroshenko

Pravyj sektor ha interrotto ieri il picchettaggio del palazzo presidenziale a Kiev, iniziato una settimana fa in coincidenza con la sparatoria di Mukačevo, nella Transcarpazia, per il controllo del fiorente contrabbando di sigarette. Ma già oggi il raggruppamento neonazista ha in programma una dimostrazione per chiedere le dimissioni del presidente, del governo e lo scioglimento della Rada suprema. Sulla pagina facebook di Pravyj sektor, ripresa ieri dall’agenzia Novorossija, si dice che <Al momento l’azione presso l’amministrazione presidenziale è conclusa. Ma questo non vuol dire che Pravyj sektor cessi la lotta contro l’occupazione interna del regime filocremliniano. L’attuale potere sta mercanteggiando l’Ucraina, alla stregua di una qualsiasi mercanzia>. Secondo quanto riportato da Lifenews.ru, per il 21 luglio l’organizzazione ha in programma un’altra dimostrazione a Majdan, all’insegna dello slogan “Abbasso il potere dei traditori” e contro <gli oligarchi giunti al potere sul sangue dei combattenti di Majdan. L’agente del Cremlino Porošenko aveva promesso una veloce vittoria nel Donbass, riforme, lotta alla corruzione e molto altro. E invece abbiamo accordi vergognosi coi terroristi e repressione contro i nazionalisti che vogliono portare ordine nello Stato. Il sistema abbisogna di cambiamenti rivoluzionari e regole di funzionamento e di una Idea, in nome della quale agisca lo Stato>.
Slogan che Pravyj sektor, osteggiato nella sua battaglia contro il Ministro degli interni Arsen Avakov da una trentina di altri battaglioni armati, ha in comune invece con quelli più dichiaratamente nazisti, come Azov, Ajdar, OUN, Tornado.

Ancora una volta, tornano alla mente le diaspore interne a quei regimi criminali di cui specialmente italiani, tedeschi o spagnoli hanno triste memoria, con un potere centrale conquistato grazie al “lavoro sporco” di bande delinquenziali composte di elementi marginali o gruppi sociali disorientati dalla crisi economica, attratti da slogan di rivincita e di ordine, contro una parte del Paese che la propaganda dipinge come “estranea e nemica”; un potere centrale nato sotto la supervisione, il foraggiamento e nell’interesse di gruppi sociali (nel caso attuale dell’Ucraina, anche e soprattutto di potenze straniere) ben determinati che, dopo essersi servito di quelle bande per la scalata al vertice e averne fatto la punta di lancia dell’aggressione terroristica a una parte del proprio territorio, stante la relativa incapacità dell’esercito regolare, composto di giovani coscritti irreggimentati contro la propria volontà, di avere la meglio su combattenti motivati e coscienti; un potere centrale che si trova infine oggi a fronteggiare quelle bande naziste che gli presentano il conto dei propri servigi e con le quali dovrà giungere, presto o tardi, a un chiarimento estremo. Un potere che non sembra per nulla così forte e saldo in sella come lo erano quei “modelli” di ottanta e novant’anni fa e che quindi potrebbe fare fatica ad avere la meglio su quelle bande, in un’ipotetica ripetizione della “notte dei lunghi coltelli”. Washington e Bruxelles se ne rendono conto e perciò sembrano ancora attendere l’evoluzione dello scontro, pur se, evidentemente, una sconfitta della parte “presentabile” e “democratica” non pare loro auspicabile. Queste bande, i vari Pravyj sektor, Azov, Ajdar, OUN, Tornado, mentre nei loro rapporti con Porošenko ricordano l’arroganza di quei manipoli di camicie nere che, agli ordini di alcuni ras locali distintisi nel ’21 e ’22 per brutalità e spavalderia, rimproveravano poi allo stesso Mussolini una troppo “accondiscendente” facciata governativa, sembrano assommare, scatenate nel Donbass, l’efferatezza sanguinaria delle truppe marocchine che, agli ordini di Franco (e assistite dai “volontari” italiani), facevano strage dei contadini e degli operai repubblicani, nella loro risalita dal sud della Spagna. Ma in ogni caso, non si può certo escludere che il destino di queste bande, non più tanto romanticamente esaltate dai nostri quotidiani di regime, finisca in una riedizione di quello delle camicie brune teutoniche che, divenute scomode alleate di Hitler, finirono la loro esistenza nella notte di sangue di Bad Wiessee.

E’ così che il leader di Pravyj sektor, Dmitrij Jaroš, parla di <controrivoluzione> da parte di Porošenko e proclama che <è già il momento di parlare delle dimissioni del presidente>, dato che <non occupa il posto che gli compete, né come comandante in capo dell’esercito, né come uomo che dirige effettivamente lo Stato> e chiama i suoi legionari a <lavare col sangue la colpa di essere caduti nella provocazione> per la faccenda di Mukačevo, pur avendo agito <per necessaria autodifesa>. Secondo Lifenews, Jaroš ha invitato gli ultimi suoi seguaci che ancora si nascondono nei boschi della Transcarpazia ad arrendersi e ad entrare nelle file delle forze armate ucraine; dunque, per lavare non col proprio sangue, bensì con quello di altri civili del Donbass, la colpa di non esser riusciti a sopraffare la banda di contrabbandieri concorrenti a Mukačevo.

Al momento, la risposta di Kiev è l’invio di forze supplementari, supportate da mezzi blindati ed elicotteri, nella zona degli scontri (dove nei giorni scorsi, tra l’altro, sono stati fermati dieci cittadini siriani e due irakeni) tra truppe regolari e legionari di Pravyj sektor, che nel frattempo si sono spostati molto più a nord di Užgorod, tra Zabrid e Velikij Bereznij. Questo, anche se Rossijskaja gazeta scriveva ieri che, nonostante tutto, Porošenko non si è ancora deciso a iniziare una guerra vera e propria contro quello che appare il più “recalcitrante” tra i battaglioni ultradestri, mentre ha già adottato misure di ricambio nel complesso di tredici amministrazioni distrettuali della Transcarpazia.

E da parte di Pravyj sektor si continuano a organizzare, in risposta, posti di blocco agli accessi di alcune città, specialmente della parte nordoccidentale del paese; tra queste, L’vov è certamente la più importante, ma anche Ternopol e Čop e, fatto significativo dei rapporti di forza complessivi, dal Ministero degli interni si comunica che nessuna misura verrà adottata contro tali azioni dei “pravosektoristi”. Del resto, secondo la nota dell’ufficio stampa del Consiglio di sicurezza ucraino, anche la decisione del Consiglio stesso sull’avvio di una Operazione antiterrorismo (con la stessa definizione, ma solo come terminologia, ovviamente, Kiev sta terrorizzando da oltre un anno il Donbass) in Transcarpazia, rimane per ora solo una decisione: <La decisione è pronta, ma non messa a effetto. Si è adottata per ogni evenienza>. E’ evidente, come scrive Vzgljad, che sia le pretese ultimative avanzate da Jaroš, sia le mezze misure per ora solo annunciate da Porošenko, preludono all’ennesimo mercanteggiamento di posizioni, che potrebbe comunque portare a un confronto armato, tanto più che Pravyj sektor si sta rafforzando, in soldi e armamento, sia con le ruberie a danno delle intere famiglie assassinate nel Donbass, sia con le scorribande del contrabbando in Transcarpazia, sia con le “sottoscrizioni” dello stesso Porošenko. Numericamente, sottolinea Vzgljad, Pravyj sektor non è una grossa organizzazione, ma è strutturata in modo organico in cellule di combattimento e se il presidente rimanderà troppo l’inevitabile resa dei conti, la lotta potrebbe essere molto problematica per Kiev.

Intanto, mentre alla Rada suprema viene presentato un progetto di legge (da perfezionare, si dice, con l’apporto di specialisti stranieri: ma guarda!) per l’organizzazione di un esercito di riserva sulla base della Guardia nazionale e dei battaglioni “volontari”, da destinare, evidentemente nel Donbass, alla “guerriglia e alla difesa territoriale in caso di aggressione”, DNR e LNR hanno annunciato ieri l’arretramento di 3 km delle armi di calibro inferiore ai 100 mm. Dal momento che quelle di calibro superiore sono state da tempo arretrate di alcune decine di km, secondo gli accordi di Minsk – violati invece da Kiev che, con l’offensiva del giugno scorso, le aveva riportate a ridosso della linea di contatto – l’attuale passo dei DNR e LNR rappresenta una dimostrazione <della volontà di attenersi agli accordi di Minsk>, come ha dichiarato il leader della DNR Aleksandr Zakharčenko. E ciò, a dispetto dei bombardamenti governativi sulle città del Donbass che, ancora nella notte tra sabato e domenica, hanno colpito diversi quartieri di Donetsk, provocando la morte di un civile e il ferimento di altri tre.

Le uniche eccezioni all’arretramento delle armi di calibro inferiore ai 100 mm, come sottolineato da Zakharčenko e dallo speaker del parlamento di Lugansk, Vladislav Dejnego, sono costituite dalle zone nord di Donetsk e Debaltsevo per la DNR e del distretto di Sčastje per la LNR che, complessivamente, coprono meno del 15% dell’intera linea del fronte.

Sia come sia, vale la pena di riandare con la memoria al destino di quei regimi europei che tanta parte hanno oggi nella iconografia degli “uomini forti” d’Ucraina. Se uguale sorte toccò allora, sia pure in tempi diversi e per mano di boia o di giustizieri differenti, ai “leader” fascisti e nazisti e alle loro bande armate, è certo che oggi a nessun democratico, per la guerra in procinto di scoppiare ai vertici golpisti di Kiev, verrà in mente di ripetere i lamenti dei Nibelunghi <dovranno piangerli un giorno molte splendide donne>.  

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