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L’esercito turco bombarda l’Isis. Erdogan pronto a invadere la Siria?

Nel corso della notte tre caccia F16 dell’aviazione turca hanno bombardato almeno quattro obiettivi dei jihadisti dello Stato islamico in territorio siriano, almeno stando alle informazioni diffuse dalle autorità di Ankara. Gli aerei avrebbero colpito con i loro missili “due quartieri generali e un punto di ritrovamento” dei combattenti dell’Isis, prima di fare ritorno alla loro base di Diyarbakir. Secondo l’agenzia di stampa Dogan, gli obiettivi sono stati colpiti nel villaggio di Havar, di fronte alla provincia turca di Kilis. “La Repubblica di Turchia è determinata a prendere tutte le precauzioni per difendere la sicurezza nazionale”, si legge nel comunicato emesso dall’ufficio del premier.

Già ieri era stato segnalato da alcuni testimoni un intenso scambio di colpi di artiglieria tra le postazioni di confine dell’esercito turco e i miliziani di Daesh che rispondevano dal versante siriano, a nord-est di Aleppo. Nel corso dei combattimenti – a quanto pare iniziati per iniziativa dei jihadisti – è rimasto ucciso un sottufficiale turco e altri 5 militari sono rimasti feriti, di cui uno in modo più grave.
Insomma pare che improvvisamente, dopo anni di tolleranza, sostegno, aiuti diretti e indiretti ai tagliagole islamisti da parte del governo turco, delle sue forze armate e dei suoi servizi segreti, i rapporti tra Ankara e Daesh – o Isid, nella versione turca – si siano deteriorati a tal punto da convincere il regime di Ankara a intervenire militarmente contro i miliziani del califfato.
In questo senso andrebbe anche un’altra notizia, arrivata improvvisamente ieri pomeriggio. Dopo molti mesi di diniego il governo turco ha dato il proprio assenso agli Stati Uniti che da ora in poi potranno utilizzare la base aerea Nato di Incirlik, ai confini con la Siria, per far decollare droni e caccia diretti in Siria nelle missioni contro le postazioni dello Stato Islamico. L’accordo tra i due stati è stato descritto da un funzionario statunitense intervistato dalla stampa del suo paese come un importante passo che potrà rendere ancora più incisiva una offensiva militare contro gli islamisti che in realtà è spesso stata denunciata dai curdi e dal governo di Damasco come poco più che simbolica, diretta a indebolire lo Stato Islamico ma non a eliminarne le milizie, nell’ottica di mantenere comunque nella regione uno strumento utile per perseguire gli interessi occidentali nell’area e per controbilanciare l’intervento di Hezbollah e di Teheran in Medio Oriente contro il fondamentalismo sunnita e le petromonarchie.
Secondo alcune fonti l’accordo tra Erdogan e Obama sulla concessione alle forza statunitensi della base di Incirlik sarebbe stato discusso in un summit l’8 luglio scorso, e sarebbe stato chiuso definitivamente mercoledì sera grazie ad una telefonata all’inquilino della Casa Bianca da parte del suo omologo turco. Apparentemente quindi la strage di Suruc e la dichiarazione di guerra lanciata per la prima volta esplicitamente dallo Stato Islamico contro Ankara pochi giorni prima dell’attacco contro i giovani volontari di sinistra arrivati alla frontiera con la Siria da tutta la Turchia non sarebbero direttamente collegate alla decisione di Erdogan.
Secondo alcuni analisti e oppositori politici, la strategia del regime turco mirerebbe in realtà ad un obiettivo opposto a quello teoricamente perseguito. Da una parte l’inizio di operazioni militari dirette contro le milizie islamiste che controllano parte della frontiera con la Siria – anche grazie al lungo sostegno di Ankara – mirerebbe a tranquillizzare quella parte dell’opinione pubblica turca che dopo la strage di Suruc – in suolo turco, quindi – non è più disposta a tollerare la connivenza di Erdogan con Daesh. Dall’altra i combattimenti e la concessione della base Nato di Incirlik a Washington potrebbero rappresentare il passo propedeutico ad un intervento militare diretto delle forze armate turche sul suolo siriano; che i settori islamisti e nazionalisti potrebbero leggere in chiave anticurda, mentre i settori progressisti potrebbero considerare finalmente come l’inizio della fine della tolleranza nei confronti del Califfato. D’altronde non è un mistero che in cambio della collaborazione con la “coalizione internazionale anti-Isis” Ankara chiedesse a Washington il via libera all’ingresso delle proprie truppe nel nord della Siria per ipotecare il cambio di regime a Damasco e spazzare via l’autogoverno istituito dalle forze curde in collaborazione con le altre comunità che abitano il Rojava.
Probabilmente non occorrerà aspettare molto per capire le reali intenzioni dell’Akp impegnato in queste ore in una difficile trattativa con i nazionalisti laici del CHP (Partito Repubblicano del Popolo) per la formazione di un governo di unità nazionale. Se i repubblicani dovessero tirarsi indietro, a fare da stampella al sultano azzoppato potrebbero pensarci i nazionalisti di estrema destra dell’Mhp. D’altronde la rottura nella trattativa con la guerriglia curda – da sempre cavallo di battaglia degli ex ‘Lupi Grigi’ – e la crisi (di facciata o reale) con Daesh renderebbero ancora più fruttuosa la collaborazione con un partito che ha attratto alle ultime elezioni molti dei voti persi dall’Akp.
Intanto la polizia turca si dice impegnata in una caccia all’uomo – che finora ha però portato alla cattura di centinaia di militanti curdi e della sinistra turca – per arrestare Yunus Alagoz, fratello di Abdurrahman, il ventenne presunto kamikaze dell’Isis che lunedì si sarebbe fatto esplodere a Suruc. Secondo gli inquirenti, l’uomo starebbe progettando un nuovo attentato sul suolo turco. La polizia dice di aver anche individuato una sala da tè gestita da Yunus Alagoz nella sua città sudorientale di Adiyaman che sarebbe in realtà un centro di reclutamento jihadista.
L’altro ieri sera poi un tribunale turco ha revocato il divieto di pubblicare su internet le immagini della strage di Suruc. Il divieto ha bloccato Twitter in Turchia per alcune ore, prima che la direzione del social network accettasse di rimuovere tutte le immagini della strage dai profili degli utenti turchi. La seconda corte penale di Urfa ha  revocato il bando deciso dal giudice di pace di Suruc su richiesta della procura che indaga sull’eccidio.

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