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Spionaggio Usa in Giappone, fiacche proteste di Abe. Polemiche sul nucleare

Il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha comunicato al vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden di avere “gravi preoccupazioni” relativamente alle rivelazioni di WikiLeaks sullo spionaggio effettuato dagli Stati uniti nei confronti di politici e funzionari giapponesi. Abe ha chiesto un’indagine sulla vicenda, ha informato ieri il segretario di gabinetto Yoshihide Suga.

Biden, secondo quanto ha riportato Suga, ha chiesto scusa al premier giapponese in una telefonata per aver “causato problemi”, senza confermare esplicitamente che lo spionaggio vi sia stato ma di fattto confermando le rivelazioni di Wikileaks.

“Il primo ministro Abe ha detto (a Biden) che, se figure giapponesi sono state effettivamente oggetto di tali attività, questo rischia di danneggiare le relazioni di fiducia tra alleati e ha espresso seria preoccupazione”, ha detto Suga. Il premier “ha anche richiesto che il caso sia investigato e che (Washington) fornisca una spiegazione”.

Suga aveva definito “molto deprecabile” la vicenda, ma la risposta di Tokyo è apparsa comunque più debole rispetto alla rabbia espressa in Francia e Germania, o anche in Brasile, dopo le accuse documentate alla Nsa statunitense di aver a lungo spiato i leader dei rispettivi paesi. Nonostante che secondo Wikileaks «un rapporto tratto dalle intercettazioni di un alto funzionario governativo giapponese potrebbe essere stato condiviso con Australia, Canada, Gran Bretagna e Nuova Zelanda, i quattro soci dell’Intelligence statunitense».

D’altronde in questo momento il Giappone è il principale alleato di Washington in Asia orientale, un partner fondamentale nella politica di accerchiamento militare e politico della crescente potenza cinese. Dopo la telefonata Abe-Biden, la Casa bianca ha emesso un comunicato nel quale si sottolineano gli stretti rapporti con Tokyo, sottintendendo che le relazioni non verranno intaccate dalle scomode rivelazioni di Wikileaks.

I toni bassi della polemica sono finora giustificati anche dal fatto che, diversamente dal caso tedesco e francese, il leader nipponico in carica non sarebbe stato spiato, ma l’attività di ‘monitoraggio’ si sarebbe concentrata “solo” su figure legate al commercio e all’economia, dal ministro del Commercio Yoichi Miyazawa al governatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda.

Intanto a Tokyo una dichiarazione del ministro della Difesa, Gen Nakatani, sulla possibilità che la nuova legge sulla sicurezza in via di approvazione possa consentire alle Forze di autodifesa giapponesi – l’esercito – di trasportare armi nucleari di paesi stranieri, ha ulteriormente alzato il livello della polemica nel paese. Il ministro ha immediatamente specificato che si tratta di una possibilità teorica dato che la prassi finora seguita in accordo con la legge impedisce al paese di produrre e possedere armi atomiche, oltre che di consentire ad altri di utilizzarle sul territorio giapponese.

Il problema, su cui si confrontano pacifisti e anti-nuclearisti, è proprio l’evoluzione delle possibilità offerte al governo e alle Forze di autodifesa, forze armate moderne e efficienti ma finora con il solo compito di protezione territoriale, di operare anche all’estero in missioni internazionali, di rispondere alla chiamata di alleati sottoposti ad “aggressione militare” e di cooperare maggiormente con le forze armate di altri paesi. Manca nella legge già approvata alla Camera un accenno al nucleare, ma proprio l’incertezza lascia aperte le porte a valutazioni e evoluzioni ulteriori.

Un parlamentare dell’opposizione ha chiesto le scuse di Nakatani per affermazioni che arrivano a ridosso del 70° anniversario del lancio della prima atomica sul Giappone, quella su Hiroshima, il 6 agosto, a meno di due settimane da un atteso discorso del capo del governo Shinzo Abe in occasione della resa del paese agli Alleati (15 agosto) e a pochi giorni di distanza dall’affermazione di un consigliere del premier che non necessariamente la nuova legge deve essere in accordo con la costituzione, il cui articolo 9 ha finora consentito al paese di tenersi alla larga dai conflitti in cui sono stati impegnati i loro alleati di Washington. 

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