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Kiev vuole la guerra. Gli accordi di Minsk dipendono dalla posizione dell’UE

Mentre continuano i bombardamenti dei quartieri civili di Gorlovka (ieri un civile è rimasto ucciso), Jasinovataja, Spartak, Makeevka (diversi civili feriti), Donetsk, Krasnoarmejskij e Marinskij, con l’impiego da parte ucraina di artiglieria pesante e carri armati, <al Ministero della difesa della DNR non escludono la possibilità di un’offensiva delle Forze armate ucraine>; lo ha dichiarato ieri il vice comandante di corpo del Ministero della difesa, Eduard Basurin.

Questa eventualità è prevista anche nelle valutazioni del centro privato americano di ricerca “Stratfor”, riprese ieri da una serie di agenzie russe; l’assenza di progressi nei colloqui del Gruppo di contatto e il proseguire degli scontri, l’intransigenza occidentale e anche la buona stagione: tutto ciò può condurre già nelle prossime settimane a un nuovo scoppio della guerra. Tutti gli ultimi avvenimenti, secondo gli analisti della “Stratfor”, dimostrano che gli accordi di Minsk sono solo parole e, nonostante la tensione si sia notevolmente ridotta, continua tuttavia una sistematica violazione del cessate il fuoco. A dispetto di tutte le trattative, le parti non possono trovare un’intesa su due punti chiave; il primo è lo status speciale delle regioni e l’indizione di elezioni locali; il secondo è dato dal ruolo della Russia nell’area su un piano più generale. Mosca, scrive “Stratfor”, ritiene che nelle frontiere dell’ex Unione Sovietica essa debba assicurare la congruenza ai propri interessi; l’Occidente non intende riconoscerlo e proprio questo è alla base del conflitto in Ucraina, insieme alle sempre nuove forze che la Nato sta dislocando a est.

E’ in tale situazione, che i rappresentanti del DNR e LNR si sono rivolti ieri ai leader del “Gruppo normanno”, Angela Merkel e Francois Hollande, chiedendo che esprimano le proprie valutazioni su azioni e dichiarazioni di Kiev. A loro avviso, la parte ucraina non solo rallenta i negoziati, ma rilascia anche dichiarazioni che in modo lampante vanno contro gli gli accordi Minsk, scriveva ieri l’agenzia Novorossija. <Di fatto, i politici ucraini vogliono una nuova guerra> ha dichiarato il rappresentante della DNR ai colloqui di Minsk Denis Pušilin. <Naturalmente, noi faremo di tutto per impedirlo, ma siamo pronti a qualunque sviluppo degli avvenimenti. Kiev si trova stretta tra due forze di pressione> ha detto, <da un lato, Germania e Francia, dall’altro, gli Stati Uniti. Le autorità ucraine ascoltano entrambe le parti, ma prestano più attenzione a quella che, oltre ai consigli, propone anche altre forme di aiuto>. Secondo Pušilin, il procrastinare i negoziati ha lo scopo di aumentare la pressione delle sanzioni contro la Russia. <Mentre l’Europa insiste sull’applicazione di tutti i punti degli accordi di Minsk> ha detto, <gli USA, al contrario, fanno di tutto affinché L’Ucraina continui l’aggressione>, come è stato, a esempio, per la questione della smilitarizzazione di Širokino, chiesta da Francia e Germania. <Adesso gli accordi di Minsk dipendono dalla posizione dell’Europa>.

A Pušilin hanno fatto eco gli speaker dei parlamenti di Donetsk e di Lugansk, Aleksej Karjakin e Andrej Purghin: <Vorremmo sapere come la signora Merkel e il signor Hollande giudicano le altisonanti dichiarazioni di Porošenko, Grojsman e Parubij, secondo cui essi non intendono applicare gli accordi di Minsk, che il Donbass non avrà uno status speciale, che non ci saranno elezioni locali e non ci sarà amnistia per i partecipanti al conflitto di entrambe le parti. Eppure queste sono le clausole di base di Minsk-1 e Minsk-2>, hanno detto Karjakin e Purghin, aggiungendo che Kiev è intenzionata a fare la guerra. <Esigiamo che i leader della UE adottino misure energiche per obbligare Kiev alla pace e, se necessario, che si convochi nuovamente il “Formato normanno” al massimo livello. Vogliamo che si fermi l’aggressione ucraina, che si salvi il nostro popolo dalla eliminazione fisica>.

Ogni volta che Kiev riceve nuove indicazioni “dall’alto”, ha detto ancora Pušilin, fa saltare i punti su cui si discute. <E’ stato così in aprile, allorché noi eravamo disposti a sottoscrivere la loro versione> dell’accordo costituzionale; <è stato così a giugno e si è ripetuta la storia a luglio, quando il testo era stato sottoscritto dal Gruppo di contatto> e ora di nuovo Kiev vi ha apportato modifiche per noi inaccettabili. In una intervista a Vzgljad, Pušilin imputa il comportamento dilatorio di Kiev alla speranza ucraina di vedere la Russia in difficoltà a causa delle sanzioni e, in tal modo, non in grado di aiutare economicamente il Donbass, che quindi sarebbe ridotto alla fame a causa del blocco economico decretato dall’Ucraina. Ma è una speranza falsa, dice Pušilin: oggi è l’Europa ad essere più in difficoltà a causa delle proprie contraddizioni. Inoltre, con l’esclusione del Donbass dallo spazio economico ucraino, Kiev ci costringe a orientarci verso altre varianti di sviluppo. <Giorno dopo giorno, con il blocco economico, l’Ucraina con le proprie mani ci rende più sicuri, più forti, più capaci di manovrare>.

Sul fronte interno ucraino, è stata nei giorni scorsi la volta dello storico statunitense Stephen Cohen a pronosticare lo scoppio in Ucraina di una seconda guerra civile, a causa del moltiplicarsi dei gruppi ultradestri e neonazisti, che non permetterebbero a Porošenko di entrare in trattative col Donbass, nonostante che il presidente, a parere (forse un po’ ingenuo) di Cohen, sia stanco della guerra e propenso all’applicazione degli accordi di Minsk. E’ così che Cohen, evidentemente troppo sicuro della diversità di obiettivi (e non solo di metodi) tra Porošenko e Pravyj sektor, chiede a quei politici statunitensi che invocano l’invio di armi a Kiev, di riflettere in quali mani esse finirebbero. A proposito della percezione del conflitto ucraino negli Stati Uniti e in Europa, Cohen – secondo quanto riportato da RIA Novosti – riconosce che le differenziazioni stanno aumentando e la politica di Washington verso Russia e Ucraina è destinata a fallire: una delle cause è la crescente dell’insoddisfazione per le sanzioni contro la Russia. Delle tre ragioni che i congressisti USA indicano a motivo delle sanzioni – “annessione” della Crimea; abbattimento del Boeing malese; “intrusione” russa in Ucraina – in definitiva, ha detto Cohen, anche l’appoggio occidentale a Kiev può essere considerato una ingerenza.

E dalla DNR fanno sapere di non aver intenzione di collaborare col Comitato di salvezza ucraino, la cui costituzione è stata annunciata nei giorni scorsi a Mosca dall’ex premier ucraino Nikolaj Azarov. Il Comitato – con cui il Cremlino, per bocca del portavoce presidenziale Dmitrij Peskov ha escluso ogni rapporto – si pone l’obiettivo del ricambio dell’attuale dirigenza ucraina, attraverso cinque passi immediati: cessazione della guerra; adozione di una nuova Costituzione basata sul principio del federalismo; ristabilimento della legalità e disarmo delle bande illegali; abolizione di ogni legge incostituzionale legata alla mobilitazione e alla guerra; realizzazione di un programma anti-crisi. Alla domanda dell’agenzia Novorossija, se la DNR è pronta a collaborare con il Comitato, lo speaker del parlamento della DNR, Andrej Purghin ha dichiarato di <non essere pronto>.

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