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Il ciclone Corbyn sui laburisti inglesi

La campagna elettorale per la leadership del Partito Laburista britannico quest’anno vive un risvolto inaspettato; quasi epocale se si tiene conto delle caratteristiche di questo partito da più di un secolo a questa parte. Sembra favorito per la vittoria finale, infatti, Jeremy Corbyn, esponente della corrente radicale “Socialist campaign group”. Corbyn si presenta con un classico programma riformista radicale, che prevede la nazionalizzazione dei settori strategici dell’energia e dei trasporti, usciti molto malconci dall’epoca delle privatizzazioni, la fine dell’austerità, una ripresa del welfare, investimenti pubblici per la ripresa dei settori industriali, una forte impronta ecologista; oltretutto viene dipinto come fervente antimonarchico.

Sui temi dell’Unione Europea e della politica estera gli accenti sono più radicali rispetto a Syriza, Podemos e le altre forze politiche che potremmo definire “riformiste e europeiste”. In diverse interviste, Corbyn ha dichiarato di preferire la permanenza del Regno Unito in un’Unione Europea riformata; tuttavia non ha escluso in linea teorica la fuoriuscita nel caso in cui il paese non riesca a rinegoziare condizioni migliori su temi come gli squilibri commerciali, i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente, i paradisi fiscali. In politica estera, inoltre, è conosciuto per le sue battaglie contro l’apartheid in Sudafrica – che gli costarono un arresto nel 1984 -, contro le guerre in Iraq e Afghanistan, contro le politiche imperialiste in Medio-Oriente, che lo portarono ad elogiare Hamas ed Hezbollah; nonché a supporto delle esperienze progressiste dell’America Latina (ha recentemente partecipato in collegamento telefonico alla trasmissione del Presidente Venezuelano “En contacto con Maduro” https://www.youtube.com/watch?v=R_ri5CgCN2o ).

Insomma, ce n’è abbastanza per mandare nel panico più totale la macchina burocratica e i maggiorenti del Partito Laburista, poiché quello che doveva essere semplicemente il candidato di bandiera di una corrente radicale è accreditato da un sondaggio di YouGov al 53% delle preferenze.

Il voto per la leadership del Partito Laburista consiste in primarie molto aperte, in cui il requisito per votare è registrarsi alla “semi-membership” attraverso una procedura che può essere esplicata anche online, al costo di 3 sterline, che prevede semplicemente la sottoscrizione di una dichiarazione di principio di sostegno ai valori del partito, con il requisito di non essere iscritto o sostenitore di nessuna altra forza politica.

Proprio traendo spunto da quest’ultimo punto, le burocrazie del partito stanno mettendo nel mirino molte delle domande di registrazione che stanno giungendo in grandissimo numero in queste ultime settimane; si segnalano, infatti, richieste da parte di ex-candidati del Partito Verde, di esponenti di altri partiti della variegata sinistra radicale britannica (fra cui il regista Ken Loach, che ha fondato un proprio partito, il Left Unity Party) e, addirittura, esponenti in vista dei conservatori, i quali vorrebbero mettere in atto la classica tattica del cavallo di Troia; inoltre molte forze politiche e sindacali radicali hanno esplicitamente invitato i loro militanti a registrarsi.

In tal senso, il panico sembra stia giocando brutti scherzi all’interno della complessa macchina del Labour: nei giorni scorsi il sito internet è andato in crash, bloccando per diverse ore le procedure di registrazione e i dirigenti sono stati costretti a specificare che il problema non era legato alla paura dell’”entrismo” da parte delle forze politiche radicali. Alle redazioni dei giornali britannici giungono inoltre diverse segnalazioni di iscrizioni rifiutate anche a persone che, pur non avendo mai fatto parte di altri partiti e pur essendo già state iscritte in passato, si sono viste recapitare la seguente mail:

Parallelamente a questo lavorio burocratico, tutti gli esponenti di punta del partito stanno intervenendo ripetutamente sui principali media (ovviamente tutti complici della campagna “terroristica”) per disinnescare la mina Corbyn attraverso dichiarazioni allarmanti e di discredito. Si sprecano gli epiteti del tipo “dinosauro marxista”, “vetero-comunista”, o dichiarazioni quali “la sua vittoria porterà il Labour alla rovina”, “ritorneremo al passato”, “non ha credibilità” ecc.

Particolarmente energiche sono le due candidate blairiste alla leadership del partito, ovvero Yvette Cooper, l’avversaria più accreditata (sulla quale potrebbero, secondo alcune voci, alla fine convergere tutti i voti anti-Corbyn con il ritiro degli altri candidati), e Liz Kendall, che non dovrebbe avere nessuna possibilità di vittoria. Le loro dichiarazioni, molto ideologiche, sono dello stesso tenore. “C’è una scelta reale da fare. Ci sono in gioco due visioni del Partito Laburista. La mia ha dalla sua parte la credibilità”, ha dichiarato la Cooper; mentre la Kendall ha affermato che una vittoria di Corbyn significherebbe l’abdicazione del Partito Laburista dalla funzione di serio partito di governo (quante volte sentiamo riecheggiare questo canovaccio!). L’altro candidato, Andy Burnham, ha fatto appello alla “maggioranza silenziosa” del partito affinché respinga il disegno di Corbyn, ma i termini della polemica sono un po’ meno duri; Burnham, infatti, si pone come candidato di cerniera fra la tendenza blairista e quella radicale e come unico candidato in grado, a detta sua, si evitare la scissione.

Tuttavia, a fare più rumore sono i continui interventi di Blair in persona, molto attivo durante tutta la campagna elettorale attraverso appelli e articoli di giornali volti a disinnescare la candidatura di Corbyn.

L’ex-Premier, autore della svolta che ha portato il Labour a diventare una copia dei conservatori, nel segno del tatcherismo, si è esibito in dichiarazioni del tipo:”Se il Labour vota con il cuore, è meglio che faccia un trapianto… Scegliere Corbyn significherebbe fare un favore ai Tories” che, con il passare del tempo, sono diventate sempre più allarmistiche. “Non importa se siate a destra, a sinistra o al centro del partito, se mi sostenevate o mi odiavate. Il partito sta camminando a occhi chiusi e a braccia tese verso il bordo di un precipizio sotto il quale vi sono rocce frastagliate. Non è il momento di astenersi dal disturbare la serenità di questo cammino a causa del fatto che questo minerebbe l’unità. E’ il momento, se è possibile, di una tackle di rugby”. O, ancora, “Se Jeremy Corbyn diventa leader, non sarà una sconfitta come nel 1983 alle prossime elezioni del 2015. Significherà una disfatta storica, la possibile distruzione”.

Dal canto suo, Corbyn dà l’impressione di non farsi condizionare dalle campagne denigratorie nei suoi confronti e prosegue la propria campagna elettorale molto a contatto con le realtà sindacali e di base che il Partito laburista ancora conservava e che costituiscono la sua roccaforte. Senza, peraltro, “moderare” i contenuti del suo programma. Le repliche agli avversari interni sono a volte dure, a volte ironiche. Così, a Tony Blair a volte rinfaccia le disavventure del passato: ”Tony Blair dovrebbe essere chiamato a rispondere di crimini di guerra per il conflitto in Iraq. Penso che sia stata una guerra illegale e che Blair debba dare spiegazioni”. Altre volte, facendo sfoggio del classico humor britannico, lo liquida dicendo che “la vita è troppo breve per rispondere ai disperati avvertimenti dei pesi massimi del partito”.

Inoltre, facendo riferimento al movimento popolare (e al boom di registrazioni per le primarie) che sta accompagnando la sua campagna elettorale, ha dichiarato al Guardian:”Non dovremmo essere felici di questo? Non dovremmo essere felici del fatto che c’è un dibattito popolare e una discussione popolare, e che verrà fatta una scelta? E dopo il 12 settembre, chiunque vinca le elezioni, ci sarà una grande discussione sulla direzione politica del nostro partito: sull’austerità, sul tridente, su molti altri temi. Stiamo utilizzando questa campagna per mettere al centro dell’attenzione delle questioni riguardanti l’economia, l’ambiente, le politiche artistiche”.

Staremo a vedere come andrà a finire. E’ facile prevedere che se Corbyn dovesse vincere è probabile che verrà messo in difficoltà, paralizzato dalla macchina burocratica del partito Laburista e logorato per un certo periodo; ed è altrettanto probabile che prima o poi si arrivi alla spaccatura, con i maggiorenti del partito e i loro burocrati che si porteranno via le chiavi e la cassaforte.

Comunque vada la vicenda “formale”, possiamo inquadrare questa vicenda politica sicuramente all’interno dei più o meno diffusi “effetti Syriza o Podemos” che stanno percorrendo l’Europa (per quel che riguarda il Regno Unito, si ricorda, c’è stato anche il grande risultato degli indipendentisti scozzesi di sinistra dello Scottish National Party, alle scorse elezioni politiche), come frutto delle contraddizioni sociali create dai prolungati anni di politiche di austerità imposte sull’altare della costituenda borghesia imperialista transnazionale europea a trazione tedesca e delle sue esigenze di competere con gli altri poli imperialisti e i paesi emergenti sull’arena capitalistica internazionale.

Anche qui si esprime un bisogno di sovranità popolare e anche nazionale che non va negata e non può costituire un tabù per le forze della sinistra di classe in generale e quella comunista in particolare; anche qui la chiave è rintracciata in una possibilità utopistica di riformare la gabbia dell’Unione Europea, anche se, come abbiamo visto, con qualche distinguo dovuto anche alla situazione particolare del Regno Unito, all’interno del quale spinte centrifughe più o meno effettive o di forte sofferenza rispetto all’UE percorrono trasversalmente le classi britanniche per motivi differenti.

Per l’area politica di riferimento di questo giornale, si tratta di fenomeni politici da seguire con il giusto atteggiamento, evitando la condanna ideologica aprioristica e, contemporaneamente, evitando il tifo a favore o il giustificazionismo in caso di capitolazione totale, tipo Tsipras, nella consapevolezza che si tratta di forze politiche di sinistra ancora impreparate al livello del scontro necessario con le istituzioni imperialiste non solo per motivi oggettivi, ma anche perché rifiutano apertamente di prepararvisi; tuttavia esse hanno la funzione di aprire alla discussione di massa delle tematiche che in precedenza non erano nemmeno oggetto di discussione in quanto l’ideologia della borghesia imperialista dominante proclama l’austerità come un dogma divino.

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