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Fascismo, anticomunismo, russofobia

Quello della toponomastica stradale e delle sue variazioni al mutare delle congiunture politiche o, ancora più spesso, dei rivolgimenti sociali, positivi e negativi, è un tema abbastanza comune alle varie epoche moderne e alle varie latitudini dell’emisfero. In Russia, il fenomeno ha visto momenti di frenesia non sempre coincidenti con le fasi più accese delle trasformazioni politiche. Nei lustri immediatamente susseguenti la Rivoluzione d’Ottobre, con i bolscevichi impegnati su ben più complessi fronti, la ridenominazione dei luoghi ha interessato per lo più alcune città e cittadine dell’Unione Sovietica, il cui nome originario è stato cambiato in onore di protagonisti defunti della rivoluzione o di eroi caduti nelle battaglie della guerra civile. La rivisitazione della toponomastica viaria è stata invece più accentuata, per lo più, negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. A Mosca, ad esempio, molte delle vie più centrali hanno conservato, fin quasi agli anni ’60, il vecchio nome prerivoluzionario, per riacquistarlo nuovamente negli anni ’90, a controrivoluzione eltsiniana già affermata.
Così, pare anche in Ucraina. Nel quadro della “legge sulla decomunistizzazione”, entro il prossimo 21 novembre dovranno cambiar nome – perché l’attuale è in qualche modo legato al passato sovietico – qualcosa come (per ora) 908 tra città, cittadine, villaggi e borghi più o meno grandi. Ma intanto, è di questi giorni la decisione del Consiglio municipale di Kiev di cambiare il nome della via “degli Eroi Panfilovtsev” in quello via “dei Battaglioni volontari”. La decisione, è detto nella delibera municipale riportata da RT, “consente di onorare la memoria dei combattenti dei battaglioni volontari che hanno dato un contributo determinante nella lotta per l’indipendenza, ecc.>. Ora, gli Eroi Panfilovtsev erano 28 soldati dell’Armata Rossa – Kazakhi e Kirghizi – che nel novembre del ’41, a prezzo della vita, riuscirono a fermare un reparto di 50 carri armati tedeschi alle porte di Mosca, distruggendone 18; vengono così ricordati in onore del loro comandante, Ivan Panfilov. Sui battaglioni neonazisti ucraini che terrorizzano da un anno e mezzo la popolazione del Donbass, non è il caso di spendere troppe parole. Dunque, un po’ come se, mutatis mutandis, a Firenze (ma, purtroppo, non ci sarebbe da meravigliarsi se avvenisse) qualcuno decidesse di ridenominare Largo Bruno Fanciullacci, il gappista che giustiziò Giovanni Gentile e che trovò la morte tra le mani degli aguzzini di Villa Triste, in Largo Mario Carità, il repubblichino che di quella stazione di tortura era il massimo esponente.
Sempre a Kiev, “attivisti” di Pravyj sektor hanno ora installato una targa in onore ai due ucraini accusati di aver assassinato, lo scorso aprile, il giornalista, scrittore, storico e conduttore televisivo Oles Buzina. A inizio luglio, alla parete dell’abitazione del giornalista ucciso, era stata affissa una targa in sua memoria, smontata però già il giorno successivo. Una nuova targa, che ricordava “l’uomo colpevole di dire la verità”, era stata quindi apposta a cura del Komsomol (l’organizzazione dei giovani comunisti) ucraino ed è stata ora distrutta da Pravy sektor e sostituita con quella a celebrazione dei sospettati del suo omicidio. Il leader del Komsomol (i giovani comunisti), Mikhail Kononovič, ha commentato <gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto. E’ questa una sfida a tutta la società civile, un guanto in faccia alla democrazia in Europa. Con ciò, il regime vuol dimostrare che i reparti punitivi sono sempre all’opera e ogni persona che la pensi diversamente può diventare loro vittima. Questo non è un paese; è un campo di concentramento. E l’amministrazione del campo (la junta) decide chi possa vivere e chi no>.
In Russia, il comitato moscovita del PC ha proposto di mettere una moratoria di 25 anni sulla ridenominazione delle strade e sullo smantellamento di monumenti e targhe alla memoria di protagonisti del passato sovietico. Spunto per l’iniziativa dei comunisti moscoviti è stato il progetto di ridenominare un intero quartiere della capitale (compresi stazione della metropolitana e snodo ferroviario rionale), finora dedicato al bolscevico Pëtr Vojkov, ritenuto, forse a torto, protagonista, insieme a Jakov Jurovskij, della fucilazione della famiglia imperiale a Ekaterinburg, nel 1918 e, successivamente, ambasciatore sovietico a Varsavia, dove fu assassinato da controrivoluzionari nel 1927. Dunque, da parte del PC si afferma che <da quasi un quarto di secolo, lasciati ai margini della storia politica, i liberali e gli antisovietici di tutte le risme, con l’acquiescenza e il sostegno di alcuni rappresentanti del potere, sono costantemente impegnati a denigrare il passato della nostra Patria e della sua capitale Mosca. Alcuni rappresentanti della chiesa ortodossa (che, per la legge russa, è separata dallo stato) cercano di rilanciare una nuova spirale di isteria antisovietica>. Secondo il PC, la richiesta della chiesa di eliminare la denominazione di Vojkov sarebbe legata proprio alla sua partecipazione alla fucilazione dell’ultimo zar e della sua famiglia, sebbene i documenti – Vojkov partecipò alla seduta del Comitato esecutivo del soviet degli Urali, in cui si decise di giustiziare la famiglia imperiale, ma non faceva parte del presidium – a sostegno di tale partecipazione, venuti alla luce una trentina di anni fa per mano statunitense (!), siano tutt’altro che probanti.
Ma il PC considera “strana” anche la posizione del Ministero degli esteri russo, che non pare interessato a difendere la memoria di un proprio esponente, quale fu Vojkov in qualità di ambasciatore sovietico; carica in virtù della quale gli è intitolato il rione moscovita e per cui fu ucciso, mentre il suo assassino, scarcerato poco dopo, ricevette la cittadinanza degli Stati Uniti e là visse fino alla morte.
Lungo questa linea, continua il PC, si muove anche il Consiglio per i diritti dell’uomo, che dirige la propria attività nell’aizzare l’antisovietismo e la russofobia; il Consiglio tenta, con l’appoggio del potere, di riempire il paese di monumenti dedicati “alle vittime delle repressioni politiche” del periodo sovietico. <I comunisti non sono contrari a innalzare un tale monumento a Mosca; ma questo deve simboleggiare tutte le vittime dell’arbitrio del potere: da quelle di Ivan Groznyj, a quelle di Nicola II, fino ai deputati del Parlamento russo fucilati da Boris Eltsin nell’ottobre 1993>. Al contrario, il documento in merito firmato dal premier Dmitrij Medvedev, <per forma e contenuto ideologico, non si distingue> secondo il PC <da analoghi documenti ucraini relativi al “genocidio e al golodomor”> (la carestia che colpì indistintamente molte regioni dell’Urss all’inizio degli anni ’30 e di cui i fascisti ucraini continuano a incolpare il potere sovietico e non invece i kulaki che sterminarono decine di milioni di capi di bestiame, pur di sottrarli alla collettivizzazione) e conduce la società russa <sulla stessa via che ha portato il popolo ucraino a Majdan e alla negazione del proprio passato>. A questo proposito, il vice Presidente del CC del PC russo, Dmitrij Novikov nota come il governo russo abbia già elaborato un vasto programma per commemorare i cento anni dalla nascita di Solženitsyn, che invece <dovrebbe essere celebrato dall’Occidente per il suo contributo alla lotta della “comunità internazionale” contro l’Urss. Mentre non si fa parola dello storico Viktor Zemskov> che, negli anni ’90 aveva dimostrato, documenti alla mano, come “le ingiustificate repressioni di massa” degli anni ’30 siano in gran parte un mito. Al tempo stesso, si installano <targhe alla memoria di generali bianchi della guerra civile e di collaborazionisti cosacchi filonazisti>.
Su questa scia, poca meraviglia suscita il convegno, denunciato in questi giorni dal segretario del CC del PC e deputato della Duma, Kazbek Tajsaev, organizzato a Tallin il 23 agosto, col pretesto del 76° anniversario della firma del patto di non aggressione tedesco-sovietico del 1939. Nella capitale estone si sono riuniti rappresentanti di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania e Georgia, che si sono accordati per mettere in piedi di un gruppo di ricerca che indaghi sui “crimini del comunismo”. Sul piano storico, scrive Tajsaev, la Georgia, fino agli anni ’90, grazie al socialismo, è stata una delle Repubbliche sovietiche industrialmente più sviluppate; altri Paesi dell’Europa orientale, grazie all’integrazione nel Comecon, hanno goduto di stabilità dei mercati e sviluppo dinamico, usufruendo di gas, petrolio e altre materie prime di cui non dispongono. Per quanto riguarda la Polonia, continua Tajsaev, stupisce che i suoi leader dimentichino che devono l’odierno assetto del paese proprio al “principale comunista sovietico”, Josif Stalin che, <alla conferenza di Potsdam, a dispetto delle pretese di Winston Churchill, assicurò la rinascita della Polonia quale stato sovrano indipendente nelle frontiere attuali>.
Tajsaev riporta in conclusione le parole di Aleksandr Zinovev: <miravano al comunismo ma hanno colpito la Russia>. Il filosofo e sociologo russo, in gioventù per poco non fucilato per aver progettato un attentato contro Stalin, in una delle ultime interviste prima della morte, più di quindici anni fa, aveva affermato di essere cresciuto negli ideali del comunismo ed era convinto che la lotta dell’Occidente contro il socialismo coprisse in realtà il desiderio di annientare la Russia: <l’Occidente non mi è estraneo, ma guardo a esso come a una potenza nemica> aveva detto e prediceva la rovina della Russia per la perestrojka gorbačëviana. <L’Occidente temeva non tanto la potenza militare dell’Urss> disse in quell’intervista a Le Figaro nel 1999 <quanto il suo potenziale intellettuale, artistico e sportivo. Nell’epoca sovietica era stata creata una cultura elevatissima, molto più grande di qualsiasi altra in occidente. Tutto questo è crollato; lo hanno semplicemente distrutto>.
Se si può in parte accettare la tesi di Zinovev, per quanto indicativa di una visione “patriottica” della “potenza russa”, cui non è estranea buona parte dell’ideologia attuale del PC russo; appare vera però anche la proposizione reciproca: continuano a sparare contro la Russia avendo per obiettivo il comunismo, di cui l’Unione Sovietica ha rappresentato, per vari decenni, il laboratorio sperimentale più avanzato o, prendendo a prestito quanto scritto 78 anni fa dai coniugi Webb, “una nuova civiltà, diversa da qualunque altra finora esistente”.
In attesa che quel laboratorio si rimetta in moto in un’altra parte del mondo.

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