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Kiev: intrighi al vertice sullo sfondo del default economico

A giudizio del politologo russo Aleksej Česnakov, citato dall’agenzia Novorossija, quanto accaduto lunedì scorso a Kiev, di fronte alla Rada, non sarebbe che uno spettacolo orchestrato dal presidente Porošenko per dimostrare che, bloccato dalle opposizioni, gli è impossibile attuare gli accordi di Minsk. In realtà, “egli non fa nulla per realizzare quegli accordi e conta solo sulle pressioni occidentali nei confronti di Mosca. Se egli vuole davvero veder tornare il Donbass in uno spazio politico-economico comune, deve concedere qualcosa a DNR e LNR, affinché queste vedano che Kiev è disposta al dialogo. Porošenko deve annullare il blocco economico al Donbass, concedere lo status speciale e l’amnistia per le milizie”, come previsto dal Minsk-2 e accordarsi sull’indizione delle elezioni locali. Ma, a parere del politologo Oleg Bondarenko, Porošenko non ha alcuna intenzione di andare alle elezioni, nemmeno nelle zone controllate da Kiev: teme la sconfitta del suo blocco politico.
Effettivamente, già da qualche mese, hanno ripreso a salire le azioni dell’ex principessa del gas ed ex (per due volte, nel 2005 e dal 2007 al 2010) premier Julija Timošenko. A inizio estate varie fonti spiegavano il suo forte recupero con un certo distacco dalle scelte (soprattutto di politica interna) del blocco presidenziale; ora, l’opposizione ostruzionistica in occasione del voto di lunedì alla Rada sulle modifiche costituzionali significa che lei e il suo partito “Patria” hanno deciso di passare apertamente all’attacco. “Patria” però, a differenza del Partito radicale di Oleg Ljaško, non abbandona al momento la coalizione parlamentare “Scelta europea”, formata dopo le elezioni del novembre scorso da “Blocco Porošenko”, “Fronte popolare” di Arsenij Jatsenjuk, “Patria”, “Autoaiuto” del sindaco di L’vov Andrej Sadovij e Radicali. La Timošenko, scrive il sito web Apostrof, sa che, per ora, sono improbabili elezioni presidenziali anticipate ed evita di attaccare frontalmente Porošenko, contando invece sul crollo di consensi del premier Jatsenjuk.
Premier che, approvando il progetto di Dottrina militare messo a punto dal Ministero della difesa (e che attende la firma presidenziale), ha dichiarato che “per la prima volta nella storia dell’indipendenza ucraina sono fissati nemici e aggressori: la Russia”. A detta del gruppo ucraino di “Sicurezza e difesa nazionale”, la precedente Dottrina militare, elaborata nel 2012 sotto il presidente Janukovič, era “effimera e contemplava una politica pacifista” e dunque non è più attuale, perché allora “l’Ucraina non aveva nemici”. Jatsenjuk, intervenendo l’altro ieri all’apertura delle manovre navali Nato nel mar Nero “Sea Breeze-2015”, ha detto che la flotta ucraina tornerà in Crimea. Il buon Arsenij si è detto preoccupato perché, dopo il ritorno della Crimea alla Russia, la regione è “divenuta instabile e irrequieta” e quindi obiettivo delle manovre è “fare di tutto affinché la regione torni a essere stabile e a nessuno stato venga in mente di impossessarsi del territorio di un altro stato”.
Se il povero Arsenij non riesce a vedere altri problemi per l’Ucraina, all’infuori di quelli di una regione che un anno e mezzo fa ha votato al 97% il ritorno alla “instabilità” della Russia, il presidente della Commissione esteri della Duma russa, Aleksej Puškov, afferma di credere meno alle sue dichiarazioni sulla “stabilità economica” di Kiev e prestare più fede invece alle agenzie internazionali che pronosticano il default per l’Ucraina. Questo, nonostante la ristrutturazione del 20% del debito ucraino (spuntati 3,6 miliardi di $ dei 18 dovuti) accordata dai creditori privati.
In effetti, le prospettive per Kiev non sono propriamente rosee. I più ottimisti, tra questi il direttore ucraino dell’Istituto di analisi e management Ruslan Bortnik, citato dalla Tass, pronosticano un 50% di disoccupazione, aperta e mascherata, entro fine anno. Al momento, secondo Bortnik, la disoccupazione è al 20%; ma secondo gli analisti dell’Associazione degli imprenditori sarebbe già ora al 50%. Il direttore del Centro di analisi ucraina Aleksandr Orkhimenko ricorda che nel mese di agosto c’erano 30 pretendenti per un posto di lavoro: un buon segno, dice, dato che a maggio ce n’erano 40 e a gennaio 56 – la media nel 2013 era di 20 pretendenti – ma in ogni caso, continua Orkhimenko, le cifre ufficiali governative, di una disoccupazione al 9,3%, non hanno nulla in comune con la realtà.
D’altronde le scelte politiche del disciplinato Arsenij, rispettoso dei “disinteressati consigli” che gli vengono da via Kotsjubinskij (sede dell’ambasciata USA a Kiev) non alleggeriscono certo la situazione. Come scrive il sito Teknoblog il governo ucraino, rinunciando al gas russo “per il suo prezzo troppo alto” e orientandosi verso l’importazione di reverse dalla Slovacchia, si comporta come la vedova del sottufficiale gogoliano, che si autoflagellava: lo sta pagando ancora più caro. Secondo l’ucraina Naftogaz, il prezzo medio del gas ripompato dall’Europa è di 275 $ al metro cubo, contro i 247 della russa Gazprom. Nei primi due trimestri del 2015 Kiev ha importato 4,3 miliardi di metri cubi, di cui 1,59 miliardi da Gazprom a 393 milioni di $ e 2,68 miliardi di m3 dall’Europa a 737 milioni di $.
Il Ministro per l’energetiva Vladimir Demčišin ha dichiarato che l’importazione dalla Slovacchia ha rappresentato per Kiev una spesa aggiuntiva di 8,6 milioni di $. In compenso, si continua a sperare nei crediti di Banca europea di ricostruzione e sviluppo (300 milioni $), FMI (250 milioni $) e Banca Mondiale (500 milioni $) per portare le riserve di gas necessarie a superare il prossimo inverno dagli attuali 14 miliardi di m3 ai circa 19 necessari. Anche per questo, già dalle settimane scorse, il frugale Arsenij consigliava ai  compatrioti di allenarsi a scaldare le pareti domestiche alla maniera della grotta di Betlemme, sperando nel contempo in un’ulteriore discesa del prezzo del greggio (e conseguente caduta di quello del gas) per tornare ad accordarsi con Mosca. In alternativa, gli ucraini, secondo il banchiere Arsenij, potranno chiedere (a proprie spese) crediti bancari a uso riscaldamento domestico.
Il leader del PC Ucraino, Pëtr Simonenko, ha caratterizzato così la situazione ucraina: la produzione, caduta del 7% nel 2014, ha perso un altro 17,6% nel primo trimestre 2015; tra il 2014 e i primi 5 mesi del 2015 il debito estero è triplicato da 300 milioni di grivne a 916 milioni e la grivna si è svalutata di tre volte rispetto al dollaro che, a fine anno, potrebbe costare oltre 60 grivne. L’inflazione è ora al 24%, ma potrebbe raddoppiare entro dicembre, secondo l’ex Ministro dell’economia Viktor Suslov, il quale ha ricordato anche come il PIL procapite si fermi a 2mila $: tre volte meno che in Romania, Polonia, Ungheria o Slovacchia.
Se, secondo le previsioni condivise anche dal recessivo Arsenij, la caduta economica continuerà anche nel prossimo anno, allora il PIL si assesterà a meno del 70% di quello del 2013. Sempre rispetto al 2013, mentre i redditi di “Je suis Charlie”-Porošenko sono cresciuti di 7 volte, quelli della parte definita “della gente comune” sono dimezzati, così che il mercato interno è in costante restringimento: grazie alle “riforme” imposte dal FMI, sono rincarati di alcune volte i prezzi di prodotti alimentari e tariffe municipali, mentre sono pressoché inaccessibili alla maggioranza della popolazione quelli per medicine. Un recente servizio della Komsomolskaja pravda ucraina raffrontava i prezzi del 1996 (introduzione della grivna) e quelli odierni: il dollaro è cresciuto di 12 volte, i prodotti alimentari in media di 17 volte e se gli stipendi sono saliti di 33 volte, le tariffe municipali li hanno seguiti a ruota (30 volte). Ma a maggio era di circa 1,5 miliardi di grivne il totale degli stipendi non pagati. Sempre l’edizione ucraina della Kp, a proposito del probabilissimo default, scriveva nei giorni scorsi che “La bancarotta è un sistema per non pagare i debiti”; così si è espresso il presidente della Corte dei conti Bogdan L’vov, mentre il giornale ricorda come siano precipitati gli investimenti stranieri nel paese, non a causa della guerra, ma di quel flagello contro cui Majdan diceva di voler combattere: la corruzione. Evidentemente, quella degli altri: come ha dichiarato a Der Spiegel il direttore dell’Associazione europea di business in Ucraina, il ceco Tomas Fiala, alle elezioni dell’autunno scorso i mandati parlamentari nelle file sia del partito di Pëtr Porošenko che in quello di Arsenij Jatsenjuk furono venduti a vari imprenditori per prezzi da 3 a 10 milioni di $!
In questo quadro, se la bancarotta dell’insolvente Arsenij appare quasi inevitabile, Porošenko potrebbe presentare il suo dimissionamento come necessaria misura di fronte al crac economico del governo e dunque, dato che l’inadempiente Arsenij è stato a suo tempo imposto dagli USA, prendere ancora un thé in via Kotsjubinskij per accelerare la sua fine. 
Se non andrà in porto entro i 90 giorni regolamentari la raccolta di firme avviata sul sito web di Porošenko per la nomina a primo ministro dell’ex presidente georgiano e attuale governatore di Odessa, lo yankee Mikhail Saakašvili, allora la bionda Julija è già lì a fare capolino.

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