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L’altro 11 settembre. Il golpe in Cile

Ogni 11 settembre veniamo sommersi dalla memorialistica mainstream, che ci parla della Torri Gemelle e di Al Qaeda, della presunta guerra tra Occidente liberale e integralismo religioso. Evento certamente importante, tra i pricipali di questo inizi millennio.

Ma noi preferiamo sempre ricordare un altro 11 settembre, quello del 1973, quando venne dimostrato praticamente che nel cosiddetto Occidente liberale non poteva sopravvivere un processo democratico e popolare che metteva in discussione i fondamentali del sistema economico capitalistico e il sistema di alleanze militari subordinate agli Stati Uniti.

Quello fu certamente un evento epocale, che costrinse tutta la sinistra mondiale prendere atto dell’impossibilità di “riforma democratica”, di “democrazia progressiva”, del sistema in cui si viveva. Fu una verifica lacerante, che polarizzò nettamente il campo che fin lì si era detto comunista, e che portò da un lato all'”eurocomunismo” – riformista e conciliatore, con la teorizzazione in Italia del “compromesso storico” con le forze filoamericane – e dall’altra a una faticosa e drammatica ricerca di altre vie rivoluzionarie.

Pubblichiamo qui, per ricordare il dramma del golpe contro il governo progressista guidatoda Salvador Allende, la riflessione di Daniel Bensaid, certo non un “estremista”, scritto nel 2003, proprio a testimonianza di quanto lacerante fu – nel movimento comunista globale – quel momento storico.

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Cile, i ricordi di uno smemorato

Daniel Bensaid

In una breve intervista pubblicata sul quotidiano Le Monde (12 settembre 2003), Marco Aurelio Garcia, vecchio militante del Mir cileno (Movimiento de Izquierda Revolucionaria, la principale organizzazione di estrema sinistra) e oggi [settembre 2003] consigliere diplomatico personale del presidente Lula, parla delle lezioni del golpe cileno.
1. La “principale lezione da tenere a mente” sarebbe ” che un progetto di trasformazione politica ha bisogno di un “forte sistema di alleanze”. Marco Aurelio pertanto si chiede perché la grande alleanza tra Unitad Popular (coalizione tra i partiti socialista, comunista, radicale e movimento per l’azione popolare) e la Democrazia Cristiana cilena, abbozzata nel 1970 in occasione dell’assassinio del generale Schneider, capo dell’esercito, non sia stata confermata e consolidata successivamente. Come se la questione delle alleanze fosse separata da quella delle politiche seguite e come se potesse essere messa tra parentesi la logica conflittuale della lotta di classe.
Di fronte alla radicalizzazione del movimento, all’estensione del periodo di proprietà sociale nel 1972, ai tentativi di autodifesa di massa (specialmente dopo il fallito colpo di stato nel giugno 1972 che ha annunciato il colpo di stato riuscito dell’11 settembre), i partiti borghesi hanno logicamente difeso l’ordine borghese contro l’estensione delle conquiste sociali, l’organizzazione dei soldati nell’esercito, la centralizzazione dei consigli operai e dei comitati comunali. Marco Aurelio avrà dimenticato che dopo la crisi dell’ottobre 1972 la risposta è stata appunto un “allargamento del patto”, sotto forma di integrazione dei generali nel governo. Il segretario generale del Partito Comunista cileno, Luis Corvalan, disse: “Non vi è alcun dubbio che un governo in cui sono rappresentati i tre settori delle forze armate sia un argine contro la sedizione!” Lo scenario si è ripetuto durante la crisi del giugno 1973, Pinochet in persona entrava nel governo per meglio preparare il suo golpe.
2. La questione diventa allora sapere se bisognava sacrificare, a questo improbabile allargamento delle alleanze, una politica di riforme tesa a rafforzare il sostegno popolare al governo Allende. Ciò è suggerito da Marco Aurelio Garcia che criminalizza la “fuga in avanti” di buona parte della sinistra cilena, come se la sinistra radicale fosse minimamente responsabile di un colpo di stato messo in scena dalla reazione e dalla CIA (come oggi è ormai largamente documentato) con il piano Condor, predisposto dopo la vittoria elettorale di Allende. Il sabotaggio messo in pratica con la serrata padronale nell’autunno del 1972 mostra la crescente pressione dell’imperialismo e lo strangolamento imposto a un’economia il cui tasso di crescita era passato dal 14% nel 1971 al 2,4% nel 1972.
3. Questo modo di ritenere la sinistra radicale responsabile del fallimento fa il paio con i dibattiti in corso all’interno della sinistra. Per Marco Aurelio Garcia la colpa del Mir è stata quella di “collocarsi in una posizione sbagliata, volendo rappresentare un’alternativa generale invece di essere il versante critico di Unitad Popular “.
Marco Aurelio sa molto bene che il Mir ha sostenuto la vittoria di Unitad Popular e, senza partecipare, il governo di Allende (fino a garantire la guardia personale del presidente). Nel 1972 il Mir ha preso in considerazione il proprio ingresso nel governo ma ha rinunciato davanti alle scelte operate in politica economica ed alle alleanze promosse dal Partito Comunista.
La questione riguarda allora l’ipotesi strategica di guerra popolare prolungata che guidava l’azione del Mir. Il Mir prevedeva un rovesciamento del governo sotto forma di una sconfitta limitata che avrebbe dato il via libera alla guerra popolare prolungata. Pertanto si era preparato a dei compiti immaginari per il domani e il dopodomani piuttosto che a quelli del giorno: il confronto con la minaccia di golpe diventata sempre più chiara lungo tutto il 1973. A questa conclusione arriva ora anche uno dei pochi superstiti della leadership del Mir, Andres Pascal, sostenendo che l’errore strategico fu di non tentare di replicare al “tankazo” (il fallito colpo di stato del giugno 1973) con un’offensiva insurrezionale, sociale e militare.
4. Marco Aurelio Garcia ritiene illusoria la “problematica del doppio potere” secondo la quale i consigli operai potevano costituire degli embrioni di soviet. Qui sta tutta la questione. La centralizzazione dei consigli e dei comitati comunali combinata con grandi esperienze democratiche come l’assemblea popolare di Conception, potevano portare alla formazione di un potere costituente popolare? Ma questo di per sé non basta per constatarne la forza o la debolezza. Esse dipendono in parte anche dalle strategie e dalle volontà in campo. E se, come afferma Garcia, non vi è “praticamente stata alcuna resistenza al colpo di Stato” (giudizio perlomeno approssimativo e unilaterale), c’è da chiedersi in che modo sia stata preparata questa resistenza e quali parole d’ordine non sono state lanciate il giorno che Pinochet ha bombardato La Moneda (il palazzo presidenziale)
Certamente per porre il problema in questi termini bisogna ammettere che la radicalizzazione del processo rivoluzionario non è che una risposta, in una difficile scalata, a una controrivoluzione in atto. La tranquilla ipotesi di un consenso sociale con la borghesia e una benedizione dell’imperialismo è altrettanto irreale come una stabilizzazione democratica del governo Kerenskij tra il febbraio e l’ottobre del 1917 in Russia. I Kornilov e i Pinochet non hanno mai sentito da questo orecchio.
5. In compenso, Le Monde ha pubblicato nel numero del 12 settembre, un articolo di Jorge Castaneda (ex ministro degli Esteri messicano del governo Fox) che ha incautamente dichiarato che “l’epoca delle rivoluzioni è chiusa” (e quella di contro-rivoluzioni?), ed anche un articolo di Paolo Antonio Paranagua che riduce esperienze strategicamente molto diverse (da Cuba al Nicaragua, dal Salvador alla Bolivia, Perù e Argentina), a una ” pulsione di morte” ( sic!) dei militanti. Egli entra nella zona d’ombra delle motivazioni individuali con delle banalità universali. Questo non l’autorizza a psicologizzare e depoliticizzare l’impegno e il senso politico secondo il cliché giornalistico della fuga in avanti suicida, com’è diventato di moda fare soprattutto a proposito della morte del Che in Bolivia.
6. Allargando il campo delle lezioni cilene, Marco Aurelio Garcia rende omaggio alla lucidità “del leader comunista italiano Enrico Berlinguer” che “ha subito notato che non si può governare con una maggioranza risicata.”
L’esperienza cilena, in effetti, è servita come argomento (come alibi) a una rispettosa sinistra europea per predicare il “compromesso storico” o “Patto della Moncloa” (patto tra la destra non franchista, la sinistra e i sindacati spagnoli). Un quarto di secolo dopo, qual è il loro bilancio? Il compromesso storico ha contribuito a disarmare il movimento operaio italiano e ha portato al crollo dell’Ulivo e all’avvento di Berlusconi. Berlinguer e i suoi eredi (come Robert Hue) hanno sacrificato l’alternativa alle alleanze. Hanno evitato i colpi di stato ma a costo di rinunciare a qualsiasi serio cambiamento sociale, sprofondando nella crisi e capitolando completamente davanti alle contro-riforme liberiste.
7. Questo ritorno, perlomeno strano, in forma di orazione funebre dell’esperienza cilena permette a Marco Aurelio Garcia di stabilire un parallelo tra il “modello cileno” e il “modello brasiliano” tra il governo Allende e il governo Lula, a grande vantaggio del secondo, naturalmente. Sarebbe meglio “lasciare che il tempo faccia il suo corso.” Siamo in un’epoca di critiche (a volte forse troppo severe) a Salvador Allende. Tuttavia il personaggio merita rispetto e dignità e occuperà il suo posto nella storia. Se la politica liberista seguita dal governo Lula dall’inizio dell’anno (in nome di alleanze più ampie) dovesse continuare non è certo, purtroppo, che da qui a qualche anno il “modello brasiliano” non appaia come un esempio ulteriore di una capitolazione di grandi dimensioni all’ordine dominante. Pare che Lula sia ossessionato dall’idea di finire come Walesa. Nulla dice, infatti, che riesca ad evitarlo.

Traduzione di Felice Mometti

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