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Elezioni amministrative russe: i risultati non riservano sorprese

“Il suffragio universale è dunque la misura della maturità della classe operaia. Più non può né potrà mai essere nello Stato odierno”, scriveva Friedrich Engels a conclusione della sua opera sullo Stato.

Se è così, allora bisogna dire che è quantomeno presto per valutare non tanto l’esito (scontato in partenza) delle elezioni locali svoltesi domenica in Russia, quanto la fiducia nella possibilità di cambiamento rispetto a un potere che sembra aver mutato soggetti e forme, ma poco, nella sostanza, rispetto alle scelte sfrontate dell’epoca eltsiniana a beneficio dei gruppi oligarchici finanziario-industriali, russi e stranieri.

Dunque, nella “Giornata unica elettorale” del 13 settembre, si è votato in 84 degli 85 “soggetti federali” (a eccezione della Repubblica di Kabardino-Balkarija) per il rinnovo di oltre 1.300 tra governatori regionali e presidenti municipali e più di 90mila deputati a vari livelli amministrativi. Un complesso di quasi 11mila diverse votazioni e, in alcune zone, più di 70 referendum locali, con oltre 50 partiti partecipanti. Dovevano andare al voto quasi 52 milioni di elettori, sui poco meno di 112 milioni di aventi diritto in tutta la Russia. A ragione, quasi tutti gli osservatori avevano definito la giornata di domenica come “la prova generale” del voto per il rinnovo della Duma di stato che si terrà tra un anno esatto; anche perché, nel 2016, 225 deputati verranno presentati nelle liste di partito, ma altrettanti nei collegi uninominali e, dunque, una posizione conquistata ora rappresenta un trampolino per il settembre 2016.

Venendo al sodo, ancora nel pomeriggio di lunedì era impossibile trovare sui vari siti web russi, la percentuale globale di quante persone si siano effettivamente recate alle urne. Alla difficoltà oggettiva di una registrazione complessiva, pare verosimile si sia aggiunta la titubanza sull’opportunità di dare risonanza a un’affluenza davvero scarsa. Solo oggi la filo comunista Sovetskaja Rossija azzarda una valutazione del 36-40% complessivo, con cadute al 28% (Irkutsk) e 25% (Orenburg e regione di Mosca). Qua e là si legge la percentuale in questa o quella regione (ad esempio: 27% per il Consiglio municipale di Uljanovsk); si riporta che, alle 17 di domenica, il maggior afflusso si era registrato per il rinnovo del consiglio regionale di Kemerovo (83%) e i più bassi in quella di Smolensk (18,57%) e di Arkhangelsk (13,92%; 18% un’ora più tardi). Bassa anche l’affluenza per l’elezione dei consigli regionali di Kostroma (24,27%) e Kaluga (24,23%). Per il posto di governatore regionale, alle 18 di domenica aveva votato il 37% degli elettori della regione di Voronež.

Comunque, pur con queste percentuali, quasi tutti i nuovi governatori sono passati al primo turno; solo nella regione di Irkutsk si andrà al ballottaggio il 27 settembre tra il candidato di Russia Unita (il partito di governo), che non ha superato il 50% e quello del PCFR di Gennadij Zjuganov, che, dicono i comunisti, stava vincendo quando, durante il conteggio delle schede, è stata tolta la corrente e al riaccendersi dei monitor, era indietro di molti punti! Nella stragrande maggioranza, le urne hanno confermato nella carica i cosiddetti “facente funzione” di governatore (o perché dimessisi nei mesi scorsi, per potersi candidare, ma lasciati in carica da Putin fino al voto; o perché nominati dal Presidente in sostituzione di altri “licenziati”): tutti di Russia Unita. E la bassa affluenza non ha impedito ai governatori di uscire eletti o confermati con percentuali anche del 96% (Tatarstan e Kemerovo) o, al peggio, dell’80% (regioni di Penza, Tambov, Leningrad, Rostov). Vero è che, in altre regioni, ci si è “accontentati” anche del 73%, come ad esempio Anatolij Artamanov, in carica a Kaluga dal 2000 (affluenza del 35%), dove il candidato del PCFR ha preso appena l’11,75% e quello del LDPR l’8,63%. Percentuali simili nelle aree di Kamčatka, Sakhalin, Amur, ecc.

A livello di Consigli municipali, qua e là il PCFR sopravanza Russia Unita; in altri raccoglie meno dei nazionalisti del LDPR di Vladimir Žirinovskij.
Andando ai numeri, le previsioni di voto non sono state contraddette: al primo posto si piazza Russia Unita, con percentuali dal 50 al 60%, distanziando di molto il secondo (PCFR) e il terzo (LDPR) partito, che si alternano, a seconda delle zone, con percentuali tra l’11 e il 13%. Seguono poi i socialdemocratici di Russia Giusta (circa 8%) e i Patrioti di Russia, staccatisi nel 2005 dal PCFR. Nel voto per i consigli municipali in diverse aree della Siberia e della Russia meridionale, hanno ottenuto seggi, con risultati in qualche caso molto lusinghieri, i rappresentanti di varie formazioni comuniste non presenti alla Duma; tra le pochissime registrate e ammesse al voto, il “Fronte del lavoro”, coalizione elettorale del Partito comunista operaio russo, o i Comunisti di Russia. Molte altre formazioni – per citarne solo alcune: il Partito comunista panrusso dei bolscevichi, il Partito russo dei comunisti, il Partito unificato dei comunisti – come la stragrande maggioranza delle organizzazioni comuniste, non sono finora riuscite a ottenere la registrazione al Ministero della giustizia e avere così accesso alle elezioni.

Da più parti, nel corso della tavola rotonda organizzata ieri dalla Tass, si è puntato il dito contro il meccanismo di filtraggio locale e municipale dei candidati, a favore pressoché esclusivo dei partiti presenti in Parlamento. Il leader dei Comunisti di Russia, Maksim Surajkin, ha dichiarato alla Tass che “la procedura restrittiva e alquanto non democratica di raccolta delle firme premia i partiti parlamentari e ha impedito ai Comunisti di Russia di registrare una parte significativa dei candidati. Si è manifestato chiaramente un complotto tra i partiti parlamentari e le amministrazioni regionali. In molte regioni si sono semplicemente trovati nuovi metodi, nascosti alle forze dell’ordine, per correggere sostanzialmente i risultati”.

Il leader del PCFR ha attribuito la scarsa affluenza anche alla scelta di chiamare alle urne troppo presto dopo le ferie estive, senza concedere ai partiti un adeguato periodo di campagna elettorale. Intervistato dal canale tv Vesti 24 alla chiusura delle urne, Zjuganov ha attribuito tale scelta alla carenza, nel partito di governo, di programmi politici ed economici tali da poter attrarre la stragrande maggioranza degli strati sociali più disagiati, così che Russia Unita, ha detto, ha rifiutato la partecipazione a qualsiasi confronto preelettorale.

Se scontata era la vittoria di Russia Unita e altrettanto certo il secondo posto del PCFR, ha invece sorpreso per proporzioni la prevista disfatta di tutte quelle forze “post eltsiniane” che, da sempre, sono chiamate a far valere i cosiddetti “valori occidentali”. I vari soggetti – Navalnyj, Javlinskij, Kasparov, con le formazioni Parnas o Jabloko – che l’occidente considera uniche forze di opposizione, si confermano effettivamente “uniche”, prive cioè di alcun seguito: in molti casi non hanno raggiunto nemmeno la metà della soglia del 5%.

In diverse circoscrizioni, sia il PCFR, sia il LDPR, si apprestano a fare ricorso, per il riconteggio delle schede, contro tentativi di broglio o di scorrettezze ai seggi. Il PCFR, mentre propone la creazione di una commissione interparlamentare per verificare alcuni risultati regionali, lamenta oltre duemila violazioni durante il voto e, alla vigilia, numerosi casi di intimidazione (compresi due casi, di omicidio e di suicidio indotto, contro propri candidati), esclusione di candidati, divieto di accesso ai protocolli elettorali, ecc. E’ stato denunciato il caso di tre candidati con identico nome e cognome (due di essi li avevano cambiati la settimana prima) nello stesso mandato uninominale; oppure la registrazione all’ultimo tuffo del Partito cosacco (PCFR), con sigla identica a quella dei comunisti.

Ma, se alcuni politologi e analisti dichiarano che, in generale, una decina di partiti (degli oltre 50 ammessi al voto) possano dirsi vincitori, il PCFR ritiene che “non ci siano vincitori, perché non esiste una ricetta per far uscire il paese dalla profondissima crisi economico-finanziaria. Per la prima volta dal 1998 è caduto del 9% in sette mesi il reddito procapite; metà della popolazione vive con 15mila rubli”, a fronte di funzionari pubblici e privati le cui entrate sono di centinaia di migliaia di rubli e di “prezzi dei prodotti alimentari cresciuti del 30%. In questa situazione, “il PCFR aveva proposto di utilizzare i quasi 10 trilioni di rubli fermi in banche estere, per lo sviluppo industriale e agricolo, per sostenere i settori sanitario e scolastico”; ma non c’è stata risposta da parte del governo.

E’ così che la maggior parte delle organizzazioni comuniste, che giudicano quella del PCFR una “opposizione di ruolo”, sembrano essersi disinteressate ai risultati dello scontato voto di domenica. Il Fronte Rosso (Fronte operaio unificato russo), ad esempio, non parlava ieri di elezioni, ma riportava alla pagina d’apertura del proprio sito web le previsioni del Ministero del lavoro, secondo cui, a fine anno, i redditi della popolazione si saranno ridotti del 4-5% e potranno raggiungere il livello del 2014 solo fra tre anni. Tuttavia, scrive Fronte Rosso “il governo non intraprende nulla per riequilibrare la situazione: non indicizza le pensioni, gli stipendi degli studenti, i salari, i sussidi di maternità. Aiuta però le banche: a inizio anno, 1 trilione di rubli è andato alle 27 banche più forti, mentre un trilione e mezzo è destinato a Rosneft”.

“Finché la classe oppressa, dunque nel nostro caso il proletariato, non sarà matura per la propria emancipazione, sino allora, nella sua maggioranza, essa riconoscerà l’ordinamento sociale esistente come il solo possibile e, dal punto di vista politico, sarà la coda della classe capitalistica, la sua estrema ala sinistra” scriveva ancora Engels. Al massimo, può esprimere il proprio rifiuto di quella politica che mantiene l’ordine esistente, rinunciando al voto.

 

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