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Giappone. Proteste di massa contro la svolta guerrafondaia di Abe

Si intensificano in Giappone le proteste di massa andate in scena già nelle scorse settimana contro le leggi per la sicurezza nazionale ora in attesa di approvazione al Senato dopo l’approvazione del mese scorso alla Camera. Il varo definitivo è previsto entro la fine della settimana – da sabato inizia la “settimana d’argento”: cinque giorni consecutivi di vacanza – e per questo le opposizioni politiche e sociali stanno intensificando le proteste per costringere l’esecutivo guidato dal nazionalista Shinzo Abe a rinunciare al suo progetto che però sembra rappresentare l’asse portante delle politiche del Partito Liberaldemocratico.
Di fatto manifestazioni tanto continue e partecipate non si vedevano nel paese da alcuni decenni a questa parte. La più grande manifestazione di protesta antigovernativa mai realizzata in Giappone, ricordano in molti, fu probabilmente quella del 1960 contro l’allora premier Nobusuke Kishi, nonno dell’attuale primo ministro Abe, contro l’approvazione delle contestatissime linee-guida dell’alleanza con gli Stati Uniti. Il parallelo riempie di ottimismo i detrattori dell’attuale premier perché Kishi riuscì sì a far passare i provvedimenti, ma poi dovette dimettersi. 
Dall’imponente manifestazione del 30 agosto, la sede della Dieta di Tokyo è sotto assedio dei contestatori quasi ogni giorno, con decine di migliaia di manifestanti di ogni età che si oppongono alla svolta militarista e guerrafondaia dell’esecutivo. 
Ieri una gran folla ha pacificamente assediato un hotel di Tokyo dove i parlamentari stavano raccogliendo le “opinioni dei cittadini” sulle leggi che il parlamento sta votando.
Mentre nelle prime dimostrazioni prevalevano anziani e mamme, nelle manifestazioni più recenti è visibile l’aumento della partecipazione giovanile pompata dai social network e dalla costituzione negli ultimi mesi di coordinamenti e associazioni studentesche che affermano di voler lottare per la difesa della costituzione e della pace. A parte i gruppi di sinistra ed estrema sinistra spiccano gli attivisti dell’assai più moderato Sead – Students’ Emergency Action for Liberal Democracy – fondato solo il 3 maggio di quest’anno ma già radicatosi in numerosi regioni. “Questo complesso di leggi va chiaramente contro la Costituzione” ha denunciato il ventitreenne Aki Okuda, uno dei fondatori del movimento “Non c’è altra scelta che opporsi a una forzatura che avrebbe implicazioni più ampie, al di là della possibilità di intervento militare all’estero”. “Non ci fermeremo anche se le leggi dovessero essere approvate”, ha avvisato lo studente, sostenendo che il risveglio politico dei giovani e di una opinione pubblica normalmente apatica e lontana dalla politica avrà delle conseguenze serie per il governo alle prossime elezioni legislative parziali del prossimo anno. 
Gli ultimi sondaggi mostrano che oltre la metà dei cittadini del Sol Levante – compresi molti elettori del Partito Liberaldemocratico e delle altre forze di governo, quindi – sono nettamente contrari a provvedimenti che consentirebbero per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alle ricostituite e rafforzate forze armate giapponesi di partecipare ad operazioni belliche all’estero. Intervento possibile anche nel caso in cui il paese o gli interessi nazionali non siano sotto attacco ma semplicemente la presenza di truppe nipponiche venga richiesto da alleati “in pericolo” oppure per dar vita a missioni militari internazionali.
Il sondaggio del popolare quotidiano Asahi Simbun dello scorso fine settimana ha indicato che il 54% degli intervistati si sono dichiarati contrari alle leggi, e solo il 29% a favore, mentre il 68% ritiene opportuno un ulteriore dibattito parlamentare giudicando insufficiente quello realizzato finora e affrettata l’approvazione del provvedimento governativo. Contemporaneamente, la stessa rilevazione ha segnalato che il sostegno al governo è sceso al 36%, il più basso dall’ascesa al potere di Shinzo Abe ormai due anni fa.
Un altro sondaggio, anche se realizzato dalla filogovernativa NHK, ha indicato che solo il 19% degli interpellati sostiene l’approvazione immediata della nuova legislazione, con oltre il 45% contro. L’opposizione e i pacifisti accusano Abe di imbrogliare e di voler bypassare le procedure previste per la riforma della Costituzione – assai lunghe e complesse – ricorrendo di fatto a un truffaldino cambio della “interpretazione ufficiale” dell’articolo 9 della Costituzione che di fatto ne stravolge il senso. Una manovra furbesca che però potrebbe permettere ai detrattori della svolta militarista di far dichiarare nulle in quanto anticostituzionali le modifiche impropriamente varate al dettato legislativo fondamentale.
Ma il Primo Ministro e il suo entourage sembrano determinati a mutare il ruolo internazionale del Giappone, finora gigante economico ma nano politico e militare.
Nonostante le proteste e i mugugni anche interni alla sua stessa maggioranza, il premier Shinzo Abe è stato irremovibile, considerando un allentamento del tradizionale pacifismo garantito dall’art. 9 della Costituzione un ostacolo alla volontà del paese di dotarsi di un ruolo “imperiale” che tenga testa alla crescente proiezione politica, militare ed economica cinese e che costringa gli Stati Uniti, sempre più deboli, a considerare Tokyo un alleato alla pari nello scacchiere del Pacifico e non più una pedina subalterna.
Le 11 nuove leggi promosse dal governo Abe mirano a introdurre una nuova concezione della “Difesa collettiva” espandendo le possibilità di intervento all’estero delle Forze di Autodifesa in soccorso di alleati e rafforzando l’alleanza con gli Stati Uniti, da parte loro naturalmente contenti di una svolta che potrebbe affiancare e alleggerire il crescente sforzo militare di Washington in una manovra a tenaglia contro Cina e Russia in Estremo Oriente che ha scatenato contromisure analoghe da parte di Pechino.

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