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Catalogna: al voto con la pistola puntata alla tempia

E’ mobilitazione generale negli ambienti reazionari e di potere spagnoli per cercare di evitare che domenica le elezioni regionali catalane consegnino il Parlament ad una netta maggioranza indipendentista aprendo di fatto la strada alla separazione di Barcellona da Madrid. 
Per questa sera alle 20 è addirittura prevista una messa “per l’Unità della Spagna” nella Cattedrale di Valencia tenuta dall’arcivescovo Antonio Cañizares, che spalleggiato dal suo vice ha anche chiesto a tutte le parrocchie di includere “orazioni antiseparatiste” in tutte le messe per ben un mese.
Se qualcuno si rivolge alla suprema divinità affinché sbarri la strada agli indipendentisti, i poteri di fatto (quelli che governano al di là delle maggioranze parlamentari) stanno ricorrendo a ben più materiali minacce per convincere gli elettori catalani a rinunciare ad un voto che potrebbe sancire l’inizio di un iter per la proclamazione di una Repubblica Catalana indipendente dallo Stato spagnolo che in molti attendono da tempo.
Se nei giorni scorsi erano intervenute le due maggiori associazioni bancarie, la Liga (la federazione calcistica spagnola), alcune imprese e multinazionali straniere e addirittura Obama, Cameron e Merkel, nelle ultime ore è toccato ad altri poteri forti far sentire la propria voce.
Negli ultimi giorni Barcellona è stata letteralmente invasa da esponenti politici di primo piano del panorama politico iberico, tutti impegnati a sparare le ultime cartucce unioniste. Per il premier Mariano Rajoy però, la passeggiata prevista martedì scorso nel centro di Reus si è conclusa con una precipitosa fuga dopo soli cinquanta metri di passerella, viste le rumorose e determinate contestazioni di un folto gruppo di attivisti della sinistra indipendentista. E così stasera il capo del governo spagnolo ha pensato bene di farsi accompagnare, nel comizio di chiusura della campagna elettorale del Partito Popolare, dal leader della destra francese Nicolas Sarkozy. Anche i leader del Psoe Pedro Sanchez, di Podemos Pablo Iglesias e di Ciutadans Albert Rivera (l’unico indigeno dei tre) si sono praticamente trasferiti in Catalogna per gli ultimi giorni di campagna elettorale.
Che la sfida sarà vinta dagli indipendentisti sembra ormai scontato, con tutti i sondaggi che danno alle due liste apertamente sovraniste – i moderati di “Junts pel Si” e gli anticapitalisti della Cup – una netta maggioranza dei seggi. Ma le rilevazioni pronosticano una quota indipendentista compresa tra il 46 e il 49%, quindi al di sotto della soglia della maggioranza assoluta e della possibilità quindi di rivendicare che la maggior parte dei catalani hanno votato a favore del distacco. Il variegato fronte politico unionista – i liberali di Ciutadans, i popolari, i socialisti, i regionalisti di Uniò – sono in netta minoranza. In mezzo ai due schieramenti, quello indipendentista e quello unionista, ce n’è però un terzo, anch’esso relativamente variegato, composto da Podemos, da Izquierda Unida e da vari movimenti ecologisti e socialisti di sinistra che rivendicano posizioni federaliste favorevoli ad una maggiore autonomia per la comunità autonoma che domenica va al voto ma che respingono anche l’ipotesi dell’indipendenza totale, pur dicendosi favorevoli all’esercizio del diritto all’autodeterminazione. E poi ci sono molti indecisi, alcune centinaia di migliaia di elettori che ancora non hanno scelto se e come schierarsi in quello che più che un appuntamento elettorale amministrativo sembra un plebiscito pro o contro l’indipendenza. A frenare alcuni settori potenzialmente favorevoli allo schieramento indipendentista è il fatto che a guidarlo sia quell’Artur Mas che, da governatore della regione, ha in questi anni applicato politiche rigoriste pesantissime e governato all’insegna di un autoritarismo non diverso da quello espresso a livello centrale da Rajoy. Un handicap che Mas sembra avere ben presente, non a caso la sua scelta di andare alle elezioni fondendo nella stessa lista i suoi liberalnazionalisti di Convengenza Democratica e i repubblicani socialdemocratici di Esquerra, accompagnati da vari esponenti dell’associazionismo indipendentista trasversale e guidati da un personaggio come Raul Romeva, l’ex europarlamentare rossoverde di Iniciativa per Catalunya Verds.
Nel frattempo dalla capitale del Regno arrivano allarmi e messe in guardia sempre più pesanti e roboanti sulle presunte conseguenze che la separazione potrebbe avere per i cittadini catalani. Se molte imprese di grandi dimensioni hanno minacciato di abbandonare il Principato e gli istituti finanziari spagnoli di non garantire i depositi dei risparmiatori, in maniera abbastanza scomposta il governo centrale ha ammonito che lasciare la Spagna significa anche uscire automaticamente da Ue ed euro, mentre il governatore della Banca centrale ha addirittura avvertito del rischio di un ‘corralito’ catalano, cioè dell’applicazione di misure di sospensione o riduzione dei ritiri dai propri depositi bancari come avvenuto in Argentina e di recente in Grecia.
Lo stesso primo ministro ha raccolto e amplificato gli allarmi e le minacce affermando che in caso di vittoria degli indipendentisti sarebbero a rischio le pensioni, i depositi bancari e i diritti dei cittadini spagnoli in Catalogna. “Alcuni dicono che l’indipendenza della Catalogna è la panacea di tutti i mali, che creerà nuovi posti di lavoro. E’ tutto falso”, ha dichiarato Rajoy in un’intervista alla radio Onda Cero. “Significherà l’uscita dall’Ue. Cosa accadrà alle pensioni? Ci sono più pensionati che contribuenti, cosa succederà alle istituzioni finanziarie, ai depositi bancari, alla moneta?”, ha chiesto Rajoy.
Il primo ministro spagnolo ha poi ricordato che qualsiasi rottura da parte dei nazionalisti catalani dopo il voto “non avrà valore legale, andremo ovviamente davanti alla Corte Costituzionale. Cosa è la Spagna spetta agli spagnoli non solo ad alcuni”.
Ma l’ondata di insulti razzisti provenienti dagli ambienti reazionari contro il vicesindaco di Barcellona dimostra qual è la vera natura della cultura nazionalista spagnola. Dopo che Gerardo Pisarello ha cercato nei giorni scorsi di evitare che fosse collocata sul balcone del Municipio una bandiera spagnola accanto a quella catalana stesa poco prima dal consigliere di ERC Alfred Bosch, sui social network e su alcuni media sciovinisti sono fioccati commenti razzisti a valanga, “giustificati” dalle origini argentine del vice di Ada Colau. Moltissimi i post in cui i difensori dell’unità della Spagna hanno accostato “gli stranieri” e “gli immigrati” agli indipendentisti catalani. Pisarello, figlio di un avvocato progressista sequestrato e assassinato dai militari di estrema destra durante il colpo di stato in Argentina nel 1976, è arrivato a Barcellona nel 2001 per svolgere il suo lavoro di Docente di Diritto Costituzionale, integrandosi velocemente nei movimenti e nella vita politica cittadina tanto da essere scelto come proprio collaboratore da Ada Colau, fino ad allora capofila del movimento contro gli sfratti, all’interno dell’amministrazione municipale del capoluogo catalano.
Anche ai numerosi cittadini stranieri – circa 200 mila – che domenica potranno votare si rivolge la sinistra indipendentista, denunciando il razzismo e lo sciovinismo dei popolari ma anche la visione oligarchica della società tipica dei liberali guidati da Artur Mas. Anna Gabriel, numero due della lista della Cup – coalizione indipendentista e anticapitalista – chiede il voto ai settori popolari affinché le elezioni di domenica non solo assumano il carattere di un plebiscito indipendentista, ma anche quello “costituente”. Il capolista della Cup Antonio Baños ha ricordato la road map sulla quale lavorano le forze antagoniste dopo le elezioni: dichiarazione unilaterale di indipendenza nel caso in cui i sovranisti conquistino la maggioranza dei seggi ma anche la maggioranza dei voti; il varo immediato di un piano di disobbedienza alle leggi spagnole che sia basato su “zero sfratti, zero privatizzazioni, zero corruzione”; l’inizio di un “processo costituente popolare” per dar vita a una costituzione “scritta da tutti e non da dodici saggi chiusi all’interno di una stanza con i militari franchisti a sorvegliarli nella stanza accanto”.

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