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La Turchia minaccia la Russia, la Nato soffia sul fuoco

Dopo parecchi giorni di silenzio, preoccupata che la massiccia offensiva militare russa oscuri del tutto il presunto “protagonismo di Parigi” nella “lotta contro l’Isis” il governo di Parigi ha replicato il solitario raid sul territorio siriano di fine settembre. L’Eliseo ha fatto sapere che due cacciabombardieri Rafale dell’Armée de l’Air hanno compiuto durante la notte tra giovedì e venerdì un raid colpendo e distruggendo alcuni campi d’addestramento utilizzati dai miliziani dello Stato Islamico nei dintorni di Raqqa. Il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian, ha fatto sapere che gli attacchi aerei contro l’Isis sono resi particolarmente difficili dal fatto che gli estremisti islamisti usano scudi umani, spesso donne e bambini, mentre i loro leader si nascondono in scuole, moschee e ospedali. Il ministro francese non ha naturalmente mancato di attaccare la Russia, affermando che l’80-90% dei raid del Cremlino non sono orientati a distruggere l’Isis ma a garantire la tenuta del regime del presidente Bashar al-Assad.

Mentre i caccia russi continuano a bombardare le postazioni dell’Isis ma anche di Al Qaeda e di altre formazioni islamiste, i jihadisti dello Stato Islamico starebbero tentando di conquistare Aleppo, e avrebbero raggiunto le propaggini della seconda città della Siria per importanza, nel nord del Paese. Secondo diverse fonti, lo Stato islamico è riuscito a cacciare alcuni gruppi ribelli competitori al termine di violenti scontri armati avvenuti durante la notte e durati fino all’alba, dalle località di Tall Qrah, Tall Soussine, Kafar Qares ma soprattutto dalla base di Madrasat al-Mouchat, in mano ai ribelli dal 2012. Di fatto le milizie di Daesh sono ormai opposte direttamente alle truppe lealiste in particolare nell’area industriale di Cheikh Najjar, e scontri tra le due fazioni sarebbero già in corso ad alcuni chilometri della città. Secondo quanto reso noto dal sito dei Pasdaran iraniani, il comandante dei Guardiani della Rivoluzione di Teheran Hossein Hamedani è stato ucciso oggi nel corso dei combattimenti dagli estremisti dell’Is.
Intanto Londra e Washington aumentano il tono della polemica contro Mosca, allarmati dall’inizio dell’offensiva di terra lanciata dalle truppe governative siriane, con l’appoggio delle milizie di Hezbollah e degli sciiti iraniani, e sotto la copertura aerea dei caccia e degli elicotteri russi. “Mi aspetto che, nei prossimi giorni, la Russia comincia a subire delle perdite umane”, ha affermato il segretario statunitense alla Difesa, Ashton Carter, nel corso di una conferenza stampa alla sede Nato di Bruxelles. Sempre ieri gli Stati Uniti hanno diffuso la notizia secondo la quale ben 4 dei missili lanciati dalle navi da guerra russe nel Mar Caspio contro i territori del nord e dell’ovest della Siria controllati dai gruppi jihadisti sarebbero caduti in territorio iraniano, anche se senza causare né morti né feriti. Ma nel giro di poco tempo il tentativo di mettere gli alleati gli uni contro gli altri si è sgonfiato, quando sia i comandi di Mosca che quelli di Teheran hanno smentito la ‘notizia’ e accusato Washington di spargere veleno.

Intanto la Nato soffia sul fuoco dello scontro tra Russia e Turchia. L’oggetto del contendere, da giorni, sembrano essere le presunte minacce rivolte dalla Russia contro la Turchia che l’Alleanza Atlantica afferma di essere pronta a proteggere. Ieri il segre­ta­rio gene­rale del Patto Atlan­tico Stol­ten­berg ha avver­tito: «La Tur­chia è un valente alleato, la Nato è pronta sostenerla. Abbiamo già rispo­sto pre­pa­rando l’eventuale dispie­ga­mento di truppe a sud, com­preso in Turchia». Subito dopo però il governo turco ha smentito di aver mai chiesto aiuto alla Nato, tanto più di aver bisogno di truppe dell’Alleanza che ne difendano i confini. In realtà alcuni giorni fa l’esecutivo turco ha chiesto alla Nato di mantenere nel sud e nell’est del paese lo schieramento delle batterie missilistiche Patriot concesse da Stati Uniti e Germania alcuni anni fa in previsione di uno scontro militare diretto con la Siria. Tra poco scade infatti l’annunciato ritiro dalla regione di confine da parte dei piccoli contingenti di Washington e Berlino. In attesa di capire cosa faranno gli statunitensi, Berlino ha già confermato che riti­rerà i suoi sol­dati e le batterie di Patriot entro gennaio.
Poi Ankara ha però minacciato apertamente la Russia di interrompere i rapporti commerciali con Mosca. Erdogan in persona ha minacciato la possibilità di cancellare la realizzazione della centrale nucleare che la compagnia statale russa Rosatom (un affare da ben 20 miliardi di dollari) dovrebbe realizzare in suolo turco e di sospendere anche l’acquisto di gas russo, che copre circa il 60% del fabbisogno del paese in prima fila nel sostegno alle varie milizie jihadiste protagoniste della sanguinosa guerra civile siriana. «Ci sono que­stioni a cui la Rus­sia deve pen­sare. Se i russi non costruiscono Mersin Akkuyu (la prima centrale nucleare turca, ndr), altri lo faranno. Siamo i primi con­su­ma­tori di gas natu­rale russo. Per­dere la Tur­chia sarebbe grave. Ma se neces­sa­rio, cer­che­remo il gas altrove» ha detto un sempre più isolato ed indispettito presidente turco, ormai di fronte al fallimento dei suoi piani di destabilizzazione della Siria. L’intervento russo da una parte e le resistenze di Bruxelles e Washington di fronte alla richiesta del via libera all’invasione del nord della Siria e all’istituzione di una zona cuscinetto sotto il controllo di Ankara rendono ormai assai remota la possibilità che gli islamisti turchi possano mettere le mani su un pezzo del paese confinante. Anche l’avvicinamento con Mosca, avviato nei mesi scorsi in virtù delle reciproche convenienze dopo l’indurimento dell’accerchiamento Nato della Russia e il graduale distanziamento della Turchia dalla tradizionale subalternità alla politica estera statunitense, è ormai messo seriamente in discussione dalla trasformazione in scontro aperto della competizione in Medio Oriente dei due paesi. Uno scontro così serio che anche Mosca prepara ritorsioni sul fronte economico, come quando martedì Gazprom ha annunciato il dimezzamento della capacità pianificata e il ‘probabile’ ritardo nella realizzazione del cosiddetto Turkish Stream, il gasdotto che dovrebbe portare il gas russo fino all’Europa passando per la Turchia.

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