Menu

L’Ucraina in cerca dei soldi per accendere i termosifoni

Come a fare da sorella maggiore ai propri protetti di Euromajdan, era stata l’aiutante del Segretario di stato USA, la sempiterna kieviana Victoria Nuland, a chiedere a Mosca di annullare una parte del debito di 3 miliardi di $ di Kiev e acconsentire alla proposta ucraina sulle condizioni di pagamento. La risposta russa, un secco no pressoché scontato, era stata immediata. Ora, l’altra collaboratrice del Dipartimento di stato e attualmente in forze al governo ucraino nelle vesti di Ministro delle finanze, Natalja Jaresko, ha fatto sapere che Kiev e Mosca non si sono messe d’accordo sulla ristrutturazione del debito ucraino. Il fatto è stato confermato dal Ministro delle finanze russo Anton Siluanov, pur se “la porta rimane aperta al dialogo”. “Abbiamo esposto la nostra posizione sulla necessità dell’estinzione del debito” ha detto Siluanov; “i colleghi ucraini hanno detto di non avere in bilancio tali soldi e ci hanno proposto di partecipare alla ristrutturazione accanto ai creditori privati. La posizione russa è stata, all’opposto, che noi non siamo un creditore commerciale, bensì sovrano, perciò quelle condizioni sono per noi inaccettabili”. Dunque, ha detto Siluanov, Mosca attende la piena estinzione del debito ucraino per dicembre, data della scadenza. La ripicca della yankee Jaresko è che Kiev non ha alcuna intenzione di concedere alla Russia condizioni più favorevoli, per il rimborso degli eurobond per 3 miliardi di $, rispetto a quelle sviluppate con i finanziatori privati. La storia a grandi linee è quella del famoso prestito che più di due anni fa la UE aveva tirato per le lunghe, senza aver realmente intenzione di concedere e che invece Mosca aveva erogato a Kiev; nel dicembre 2013 Vladimir Putin e Viktor Janukovič si erano quindi accordati per un credito russo all’Ucraina di 15 miliardi di $, tramite il collocamento di titoli ucraini: un po’ la “situazione antesignana” che poi finì col golpe del febbraio successivo. Comunque, nell’ambito dell’accordo, obbligazioni per 3 miliardi di $ erano state subito emesse alla Borsa irlandese e acquistate dalla Russia. L’ultimo pagamento ucraino della cedola per il prestito russo risale al giugno scorso e ora Mosca aspetta a dicembre il rimborso integrale di 3 miliardi.

Per Kiev le cose sembrerebbero andare un po’ meglio sul fronte delle forniture energetiche: Gazprom riprende lunedì le forniture di gas per il mese di ottobre, dietro il pagamento anticipato ucraino; il capo della compagnia russa, Aleksej Miller, ha detto che Gazprom e Naftogaz si sono accordate sabato in questo senso. La situazione comincia infatti a farsi problematica per Kiev, che dispone a oggi di appena il 28% del carbone e il 59% del gas necessari a garantire il riscaldamento invernale, con il rischio di andare incontro, se le temperature saranno quelle tipiche e non anormalmente alte come nell’inverno passato, anche a interruzioni dell’energia elettrica e delle forniture d’acqua. Secondo il Ministero ucraino per l’energia, il paese ha infatti bisogno di almeno 7 milioni di tonnellate di carbone e circa 20 miliardi di m3 di gas. Secondo gli esperti del Fondo ucraino di strategie energetiche “teoricamente le riserve disponibili sono sufficienti per iniziare la stagione, ma alla condizione di acquistare anche altro gas” per almeno 6,5 miliardi di m3. Oltre a ciò, è in atto in Ucraina una discussione abbastanza accesa sui valori del gas che giunge al consumatore finale. I deputati di opposizione alla Rada si chiedono come mai, in diverse aree del paese, l’acqua sui fornelli che prima bolliva in un quarto d’ora, ora non ce la fa neanche in mezzora. Sembra che il gas russo che arriva in Europa sviluppi novemila kilocalorie per ogni m3; in Ucraina il valore si ferma a 7.700 kilocalorie: viene semplicemente allungato, con tanto che, come ha dichiarato la opposizion-governativa Julia Timošenko, a causa della corruzione, ai cittadini ucraini il gas consumato sia venuto a costare quasi 1 miliardo di $ più caro. Le cose non vanno meglio, come detto, con il carbone: scarseggiando il gas, nelle case si fa sempre più ricorso agli apparecchi di riscaldamento elettrici, con conseguente aumento di consumo di carbone per la produzione di energia. E sulla scena ci sono gli scioperi dei minatori per gli stipendi non pagati da diversi mesi: iniziati già in alcune zone, con operai che invadono le strade e altri che iniziano lo sciopero della fame a Kiev, la situazione potrebbe condurre allo sciopero nazionale dei minatori.

Ecco allora che Kiev cerca di accordarsi con altri paesi per le forniture necessarie: 320 mila tonnellate di carbone, una goccia nel mare, sono attese a bordo di due navi dal Sud Africa e, sognando l’aggiramento di Mosca, si tenta di accordarsi col Kazakhstan per forniture di carbone, petrolio e gas. A detta ucraina, tra le priorità dell’accordo di partenariato concluso fino al 2017, ci sono proprio i settori energetici, per i quali Kiev conta sulla repubblica asiatica e quello industriale, con la prospettiva per l’Ucraina di aprire là nuovi impianti. Secondo una nuova boutade di Porošenko, con l’entrata in vigore, nel 2016, dell’accordo sul libero scambio tra Ucraina e UE, un’intesa con Astana può costituire per il Kazakhstan una finestra sull’Europa e per Kiev, una sull’Asia, in particolare sulla Cina: situazione che difficilmente si avvererà, stante la normativa vigente. Infatti, anche se Astana dichiara che non introdurrà dazi sulle merci ucraine, quando Kiev aderirà alla zona di libero scambio con la UE, Mosca però, forte delle norme relative alla Zona di libero scambio della Comunità di Stati Indipendenti (CIS; in pratica, le ex repubbliche sovietiche meno Georgia e paesi baltici) può  introdurre dazi sulle merci che rechino danno all’industria dei paesi aderenti alla Unione Doganale, tra cui figurano Russia e Kazakhstan, ma non l’Ucraina. A detta di vari esperti, la speranza ucraina sulle forniture energetiche kazake è abbastanza illusoria. Sia come sia, le casse ucraine sono vuote e i crediti UE sono indirizzati all’acquisto di gas russo, non kazakho e difficilmente Mosca consentirà alle forniture di greggio a Kiev da parte del Kazakhstan. A oggi, il peso ucraino dell’export verso il Kazakhstan non arriva al 3% (al pari di Italia e Turchia): briciole, paragonato al 35% russo e al 17% cinese o anche al 7% tedesco e con l’entrata in vigore del libero scambio con la UE, per Kiev andrà probabilmente anche peggio. Oltretutto, è di un paio di giorni fa la notizia che la missione del FMI incaricata di analizzare la situazione ucraina, in vista della concessione di nuovi crediti, è ripartita da Kiev pienamente insoddisfatta per l’andamento delle “riforme”, a partire da quella del sistema bancario e della cosiddetta “lotta alla corruzione”. Questo, nonostante che una delle ricette del FMI, quella riguardante proprio l’aumento delle tariffe energetiche al consumo, venga attuata scrupolosamente da Kiev, che anzi ha in programma, a breve, un ulteriore rincaro.

Anche nelle “vicinanze di casa” la situazione non promette nulla di buono per Kiev: al confine con quella che ormai anche Berlino e Parigi non considerano più territorio ucraino, la Crimea, gli osservatori Osce, sulla base di segnalazioni degli stessi organi di sicurezza ucraini, registrano l’intensificarsi delle provocazioni dei nazisti di Pravyj sektor, che si danno ora alle perquisizioni degli autotrasportatori ucraini bloccati ai posti di dogana. Continuando nel quasi-blocco della penisola, gli “attivisti” (la nuova definizione che prende il posto dei “volontari” per la guerra nel Donbass) neonazisti non smettono la pratica del ricatto ai danni degli autisti, cui estorcono denaro in cambio della possibilità di attraversare la frontiera.

Davvero, la nuova frontiera della “democrazia” alla Euromajdan e dello “sviluppo economico” ucraino.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *