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Bielorussia: vittoria scontata per Lukašenko, era solo una questione di percentuali

Non è bastato il Nobel a Svetlana Aleksievič – “una intellettuale che ha subito la pressione del regime di Lukashenko e che combatte Putin”, come scrive oggi Roberto Saviano su La Repubblica – a due giorni dalle elezioni presidenziali in Bielorussia, per scongiurare la quinta elezione consecutiva di Aleksandr Lukašenko. Non è bastata nemmeno la sua dichiarazione di “non voto” per persuadere i bielorussi a rimanere a casa: l’86,75% dei sette milioni di elettori si è recato alle urne e l’83,49% di loro ha preferito per la quinta volta Lukašenko.
Degli altri tre candidati,
l’attivista della campagna “Di’ la verità” Tatjana Korotkevič ha ottenuto il 4,42%, il presidente del partito liberaldemocratico Sergej Gajdukevič 3,32%; l’1,67% è andato al Supremo ataman dei Cosacchi bielorussi, Nikolaj Ulakhovič. Nel corso del referendum condotto nel 2004, durante il suo secondo mandato presidenziale, il 77,3% dei bielorussi si era pronunciato per abrogare le limitazioni al numero di mandati presidenziali.
Subito dopo aver inserito la propria scheda nell’urna, Lukašenko aveva accennato alle prime questioni che il nuovo presidente avrebbe dovuto affrontare: la prospettata base aerea russa, i rapporti di amicizia con Mosca e quelli di altro tipo con l’Ucraina. Come riferisce myinforms.com, a proposito della base, il “neo” presidente aveva ventilato o un no secco, oppure una specie di proposta di compromesso con Mosca, del tipo di 24 velivoli militari russi (in vendita o in affitto) in cambio dell’accordo sulla base. A proposito dei rapporti con Mosca, secondo Lukašenko la Russia rimane un paese vicino e fratello, a differenza dell’occidente, che invece “vorrebbe deteriorare i rapporti tra Minsk e Mosca: ma non ci sono riusciti e non ci riusciranno”. Purtuttavia, “se l’Occidente aspira a stabilire buoni rapporti, nessuno lo impedirà. Tutto quello che volevano, noi lo abbiamo fatto e oggi i rapporti dipendono solo da loro”.

Diverso il discorso con l’Ucraina, che Lukašenko per un verso mette in guardia sui rischi della svolta verso la UE e per un altro ammonisce: “Smettete di mandarci i vostri combattenti. Siamo stanchi di bloccarli al confine con granate, mazze, pistole e munizioni”. Per quanto riguarda la UE, rivolto a un giornalista ucraino, ha detto: “Voi avete scelto la vostra strada e noi la rispettiamo. Ci adatteremo al fatto di quale politica conducete e quale corso seguirete. Prego! Ma, assaggiando questo pane, dovete tenere a mente che dovrete anche rispondere per le conseguenze. La UE vi ha aperto la zona del libero scambio e voi cosa avete venduto alla UE?”. Lukašenko ha ricordato che Minsk ha provato a entrare sui mercati europei con la propria produzione agricola, ma senza molto successo: “Alcune nostre imprese ci sono riuscite, ma quanto ci è costato e quanto tempo e solo per alcuni prodotti. Il resto, la produzione che la Bielorussia ha in comune con l’Ucraina, in Europa c’è già e dunque non è facile penetrare nel mercato, non solo per la concorrenza, ma soprattutto per le misure tariffarie del mercato europeo”.

Kirill Kortyš, docente dell’Istituto moscovita di relazioni internazionali, ha dichiarato a Vzgljad che nessuno ha mai dubitato della vittoria di Lukašenko: “Innanzitutto, gli avvenimenti in Ucraina hanno reso del tutto impossibile per la Bielorussia uno scenario di tipo ucraino, perché la maggioranza dei bielorussi è convinta che quella variante sia inaccettabile. Inoltre, la posizione contraddittoria della UE nei confronti dell’Ucraina, quando i diritti umani vengono riconosciuti solo in una parte della nazione e non in un’altra, hanno molto svalutato i valori europei. In sostanza, non per colpa propria l’opposizione filo-europea è rimasta fuori dal gioco. E la questione non era tanto se Lukašenko avrebbe vinto, bensì se sopravviverà o no qualche forma l’opposizione”.

Proprio a proposito della UE, era prevista nell’incontro di oggi del Consiglio d’Europa – ma la decisione finale si attende per fine mese, alla scadenza dell’attuale “pacchetto sanzionatorio” – una discussione sulla possibilità di abrogare, seppur in via temporanea, le sanzioni nei confronti della Bielorussia, in particolare per quanto riguarda le armi e il divieto di ingresso nella UE per un paio di centinaia di suoi rappresentanti politici, a partire dallo stesso Lukašenko che, nota Vzgljad, da un po’ di tempo non viene più definito  “l’ultimo dittatore europeo”. I motivi per la revoca delle sanzioni (si parla, per ora, di quattro mesi di tregua) risiederebbero nella liberazione, avvenuta in agosto, di alcuni “prigionieri politici” e nella decisione di Minsk di non unirsi alle controsanzioni russe nei confronti della UE.

La Bielorussia era già caduta sotto le sanzioni UE nel 1997, accusata di “violazione dei diritti umani e irregolarità elettorali”. Tra abrogazioni e loro nuove introduzioni, nel 2008 le sanzioni erano state tolte per “il significativo miglioramento della situazione nel campo dei diritti umani”. In realtà, vari osservatori ritengono che l’abrogazione fosse soprattutto un tentativo di far pressione su Minsk affinché non riconoscesse l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossetia meridionale dalla Georgia, al momento della sciagurata guerra di Mikhail Saakašvili contro la Russia. Dopo la quarta elezione a Presidente di Aleksandr Lukašenko, nel 2010, le sanzioni vennero di nuovo introdotte e aggravate. Ora l’osservatore politico bielorusso Aleksandr Klaskovskij ritiene che il possibile alleggerimento delle sanzioni sia legato alla normalizzazione dei rapporti tra Minsk e UE, a sua volta dovuto alle necessità bielorusse di crediti del FMI. Da parte europea, secondo Klaskovskij, “non secondario il ruolo giocato da Minsk nella crisi ucraina; oggi la UE pare essersi lasciata alle spalle l’epoca delle “rivoluzioni colorate” e, in questo senso, per l’Occidente, la stabilità autoritaria della Bielorussia sembra più accettabile del rompicapo ucraino”.  

Di parere opposto il professore dell’Università di Mosca Bogdan Bezpalko, secondo il quale il diverso atteggiamento europeo sarebbe dovuto non tanto al ruolo di mediazione nella questione ucraina, quanto a una sorta di avances fatte dallo stesso Lukašenko sulla base di una certa “retorica antirussa non amichevole e di alcune azioni degli ultimi tempi. L’ultima goccia sarebbe il rifiuto di ospitare la base aerea russa, insieme alla tendenza a mutare l’identità bielorussa da russo-occidentale ad anti-russa, linea lungo la quale la UE non manca cortesemente di incoraggiarlo”. A parere di Bezpalko, dunque, la decisione finale sulla revoca delle sanzioni verrà presa dopo che il “cinquevolte” presidente avrà detto davvero no alla richiesta russa della base militare. 

Ancora una volta, il “pragmatismo” occidentale detta la linea: il nemico del mio nemico è mio amico. Se Lukašenko dice di no a Putin, il guinzaglio che lo tiene a distanza dai mercati europei potrà essere allentato.

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