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L’Intifada dei coltelli denuncia la pulizia etnica a Gerusalemme

“Se non diventi un problema non puoi ottenere una soluzione”. Di fronte al silenzio internazionale sulla ebraicizzazione forzata di Gerusalemme e all’escalation di espulsioni e vessazioni messe in campo dall’occupazione israeliana, i giovani e i giovanissimi palestinesi dell’area di Al Quds (Gerusalemme in arabo) stanno cercando di scuotere la cappa di complicità e oppressione che grava sul loro presente e sul loro futuro. Le ripetute azioni di accoltellamento di soldati e coloni israeliani, sono ormai all’ordine del giorno.

Un palestinese oggi ha tentato di strappare l’arma a un soldato israeliano a bordo di un autobus all’entrata di Gerusalemme ed è stato ucciso dalla polizia dopo che era riuscito ad accoltellare il soldato e un civile. Ieri pomeriggio, a Pisgat Ze’ev (Gerusalemme nord) due giovanissimi palestinesi hanno gravemente ferito a coltellate due israeliani. Si tratta di due cugini palestinesi di 15 e 13 anni, originari di Beit Hanina (Gerusalemme nord). Il maggiore è stato ucciso dall’intervento della forze di sicurezza. Il 13enne è stato urtato da un veicolo mentre cercava di fuggire, rimasto ferito, è stato ricoverato in condizioni serie. Sempre ieri una ragazza palestinese ha ferito a coltellate un agente della polizia di frontiera presso la fermata del tram di Ammunition Hill, a Gerusalemme, prima di essere a sua volta ferita. Ieri mattina invece un giovane palestinese originario di Jabel Mukaber (Gerusalemme est) ha attaccato a coltellate degli agenti di polizia che stavano effettuando un controllo dei documenti vicino alla Porta del Leone della Città Vecchia di Gerusalemme, il ragazzo palestinese  è stato ucciso dai militari, ma tre gli agenti sono stati feriti, di cui uno in modo grave.

Intervenendo ieri alla Knesset Netanyahu ha affermato che “Cento anni di terrorismo, cento anni di tentativi di distruggere l’impresa sionista e i nostri nemici non hanno ancora capito che non è possibile eliminarci”. Eppure la cronaca di solo questi due giorni, è un indicatore che qualcosa sta cambiando sul campo e che Netanyahu farebbe bene a tenerne conto.

Paola Caridi sulla newsletter Affari Internazionali sottolinea come il detonatore della “Intifada dei coltelli” sia stata ancora una volta la volontà israeliana di modificare bruscamente lo status quo di Gerusalemme, avviando una sorta di de/palestinizzazione della città (quella che in altri contesti è stata definita pulizia etnica, ndr). “Per i coloni israeliani che sono entrati ad acquistare e occupare case nel cuore dei quartieri palestinesi più prossimi alla Città Vecchia, l’obiettivo chiaro è l’espulsione. Dai quartieri e dai luoghi santi” scrive Paola Caridi, sottolineando come “La rottura dello status quo sancito dalla guerra dei Sei Giorni del 1967, e in sostanza confermato dal processo di Oslo. Una Gerusalemme senza una delle due comunità legate alla città per appartenenza, identità, cittadinanza”.  Ma l’autrice di molti libri sulla materia, non è la sola a pensare che l’escalation sulla ebraicizzazione di Gerusalemme sia all’origine della esasperazione palestinese.

E’ David Horowitz a scrivere oggi sul Times of Israel  che Netanyahu avrebbe dovuto agire più rapidamente, vietando prima di quanto abbia fatto le visite provocatorie al Monte del Tempio di vari parlamentari, sia arabi che ebrei, e prendere più seccamente le distanze dai discorsi dell’estrema destra su eventuali modifiche ad uno status quo rigorosamente fatto rispettare per quasi mezzo secolo. Horowitz ovviamente ritiene che tutto sia nato dalla “voci diffuse dai palestinesi” sul fatto che si volesse consentire agli ebrei di pregare sulla Spianata delle Moschee, ma manifesta anche la preoccupazione di una parte dell’establishment israeliano per le conseguenze che la reazione palestinese sta mettendo in campo, “disinnescare questa tornata del conflitto è interesse dei palestinesi almeno quanto lo è degli israeliani” scrive il commentatore israeliano.

La medesima preoccupazione è quella espressa da un altro commentatore israeliano, che pure non esita ad accollare ai palestinesi la responsabilità della violenza e l’irragionevolezza. Nulla serve meglio gli interessi dell’islamista Raed Salah e di Hamas che slogan e azioni come “pugno di ferro”, “ritorsione”, “punizione collettiva” scriveva tre giorni fa su Ynet news Ben Dor Yemini, “E’ esattamente così che si ottiene che a migliaia e migliaia aderiscano alla spirale di violenza. Come al solito, i più estremisti dei coloni chiedono “sempre maggiori costruzioni in Giudea e Samaria” come “appropriata risposta sionista” al terrorismo. Ed è questo ciò che calmerà le cose? Lo pensano sul serio? Mescolare popolazioni ostili fra loro non ha mai sopito gli animi”. Yemini non perde occasione per attaccare i deputati arabi nella Knesset – in particolare Ayman Odeh – perché non condanna  le “violenze dei palestinesi”, ma è evidente come pezzi rilevanti della alta società israeliana cominci ad avere chiaro che sobillare l’oltranzismo dei coloni non può che innescare crescenti reazioni e resistenza tra i palestinesi.

L’Intifada dei coltelli, dopo quella delle pietre nel 1987/88 e quella armata del 2000/2002, appare come la disperata dichiarazione di resistenza ed esistenza dei palestinesi di Gerusalemme, sottoposti nel silenzio internazionale a crescenti vessazioni e ad una pulizia etnica che li sta espellendo dalla città. E’ evidente come questa forma di resistenza, che si conclude nella stragrande maggioranza dei casi con la morte, non abbia ancora la possibilità di modificare i rapporti di forza sul campo, ma indubbiamente sta producendo quell’assioma minimo secondo cui “se non rappresenti un problema non c’è soluzione”. E’ amaro verificare che per costringere Israele e la comunità internazionale a fermare l’escalation coloniale ci sia bisogno ancora una volta di un bagno di sangue, ma ai palestinesi quale altra soluzione è stata finora offerta seriamente?

 

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