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Poroshenko attaccato, Ucraina circondata

Euromajdan, majdan tariffaria, majdan delle auto: ormai in Ucraina, qualunque azione di protesta che rimanga nell’ambito dell’ordine (?) sorto dal colpo di stato del febbraio 2014 non può non partire da quella majdan Nezaležnosti e dalle bande nazionaliste e neonaziste che in essa ebbero larga parte, portando al potere i quadrumviri golpisti. Così che anche le proteste contro il primo cittadino, quel presidente Pëtr Porošenko che quest’anno è salito dal 9° al 6° posto degli uomini più ricchi d’Ucraina (unico, tra i primi dieci miliardari a chiudere il 2015 in attivo, con un +20%) sono condotte da attivisti di “Avtomajdan”, la majdan delle auto. 
I dimostranti, a una settimana dal voto amministrativo del 25 ottobre che ha registrato una discreta batosta della formazione presidenziale, hanno circondato sabato, insieme a veterani del battaglione nazista “Donbass”, la residenza privata del presidente, portando cartelli contro “Poro-šokin” e pretendendo da Porošenko il siluramento del Procuratore generale Viktor Šokin. Il deputato della frazione “Patria” (di Julija Timošenko) Igor Lutsenko ha parlato del gran numero di “detenuti politici, un fenomeno che caratterizza il regime di Porošenko come autoritario. La sostituzione di Šokin” ha detto Lutsenko, “permetterebbe a Porošenko di evitare una fine vergognosa della propria carriera politica”.
Un altro majdanista, Egor Sobolev, dichiara che l’arresto di coloro che si “oppongono al mantenimento di Šokin nella carica, non fa che accelerare la fine di chi ha voglia di diventare il nuovo Janukovič”, l’ultimo legittimo presidente ucraino, deposto col golpe del 2014. Parlando di arresti da parte del regime autoritario, i majdanisti non intendono certamente i comunisti e i sostenitori del Blocco di opposizione bastonati nelle strade e sbattuti in galera – quando non direttamente assassinati – ma solo coloro che, al soldo di questo o quel magnate, subiscono le conseguenze della lotta tra oligarchi. Non a caso, quasi tutti gli osservatori vedono nella richiesta di estraniazione di Šokin solo l’ennesimo scontro tra il magnate Kolomojskij e l’oligarca Porošenko.
Ecco dunque che il deputato (!) capo del nazista Pravyj sektor, Dmitrij Jaroš, all’indomani dell’arresto del suo tutore, il ras di “Ukrop” Gennadij Korban, a sua volta compare dell’oligarca di Dnepropetrovsk Igor Kolomojskij, parla addirittura di “preparazione all’insurrezione contro il regime di Porošenko”. “I battaglioni volontari, Pravyj sektor, Svoboda, il deputato del Partito radicale Igor Mosijčuk, arrestato il mese scorso e ora la perquisizione della sede di Dnepropetrovsk di Ukrop, l’Unione dei patrioti ucraini… Si ha l’impressione che al potere ci sia chi ha molta voglia di continuare e portare a compimento la Rivoluzione. Evidentemente sono “autentici rivoluzionari”, Porošenko e Šokin” afferma Jaroš che, attenendosi alla tradizione fascista di chiamare “rivoluzione” ogni rovesciamento squadristico, proclama che “siamo pronti e teniamo pulite le armi”. Ma Jaroš non aveva finito di proclamare che “presto faremo i conti col potere provvisorio per il sangue, la miseria, i legami col nemico: bisogna parlare meno e agire di più”, che ecco affacciarsi le voci (in parte smentite) secondo cui lui stesso sarebbe stato arrestato a Dnepropterovsk, in barba all’immunità parlamentare. E Oko-planet.su riporta le farneticazioni di un altro neonazista, Eduard Jurčenko, secondo cui già tra poche settimane “potrebbero cominciare le fucilazioni dei deputati della Rada suprema. Si può verificare la disintegrazione del sistema, che si sta già disfacendo da solo”. Il leader del Partito radicale, Oleg Ljaško, chiama a “fermare la dittatura di Petro Porošenko”; e a lui e ai manifestanti della “majdan tariffaria”, gridando alle falsificazioni dei risultati elettorali, si è unita ieri anche Julia Timošenko.
Di altro tenore, ma non meno preoccupanti per il potere, sono le considerazioni del direttore dell’Istituto ucraino di analisi politica, Ruslan Bortnik che, scrive PolitNavigator, ricorda come la destra reazionaria andata ora al potere in Polonia guardi all’Ucraina come alla “propria zona d’espansione” e in particolare all’Ucraina occidentale come alla “propria terra primordiale” e se noi, continua Bortnik, “seguendo le istruzioni del nostro Istituto della memoria nazionale, considereremo la liberazione dell’Ucraina nel 1944 come un cambio di occupazione, da tedesca a sovietica, allora i polacchi avranno in mano uno strumento politico assolutamente legittimo per pretendere la restituzione delle loro proprietà nell’Ucraina occidentale”.
Se la regia d’oltreoceano non ha ancora pubblicamente definito le linee lungo le quali dovrà snodarsi l’inevitabile resa dei conti tra clan oligarchici; se si assisterà o meno a una replica o della “notte dei lunghi coltelli” tedesca, contro le frange più oltranziste della reazione neonazista, o di un “25 luglio” italiano rovesciato, in cui sarà l’ultradestra a metter da parte il “moderato” Porošenko; quest’ultimo ricorre al vecchio sistema del bastone e della carota. Da un lato proclama di non volersi “fermare all’arresto del solo Korban, perché nessuno gode dell’immunità per delitti di corruzione” e il prossimo obiettivo potrebbe essere lo stesso Kolomojskij. Dall’altro, con toni paternalistici, invoca la validità del voto del 25 ottobre, tace sulle migliaia di violazioni regolamentari e falsificazioni dei risultati e ne proclama la legittimità che, a suo dire, sarebbe stata riconosciuta da Parlamenti e Consigli di mezzo mondo (gli è mancato di citare la Fondazione Carnevale di Viareggio o i Donatori di sangue scozzesi) e chiama tutti a “sotterrare l’ascia di guerra e fumare il calumet della pace, per ridar fiato all’economia ucraina e rispondere alla “aggressione economica russa”.
In effetti, secondo l’interpretazione che degli avvenimenti dà il deputato della frazione presidenziale Juri Lutsenko, sembrerebbe che Porošenko, arrestando Gennadij Korban, abbia inteso giocare d’anticipo, per sventare un complotto ordito ai suoi danni dai maggiori oligarchi ucraini: Igor Kolomojskij, Rinat Akhmetov e Dmitrij Firtaš. Stando a un’altra visione, la purga avviata da Porošenko servirebbe a eliminare le frange della destra più radicale, in modo da poter rispondere agli impegni presi a Parigi sull’applicazione degli accordi di Minsk.
Sia come sia, in una maniera o in un’altra, pare insomma che non passi giorno senza che una nuova tegola scivoli sulla testa del presidente, all’interno e all’esterno dell’Ucraina.
Se può rientrare “nell’ordine delle cose” che la Bielorussia rafforzi la frontiera con Kiev per scongiurare incursioni dei neonazisti ucraini (d’altronde, Minsk ha fatto lo stesso anche ai confini coi paesi baltici, preoccupata della forte presenza là di soldati Nato) una tegola non certo leggera è la notizia secondo cui la Bessarabia meridionale, compresa tra l’estuario del Dnestr e il delta del Danubio, potrebbe mettersi sulla strada del Donbass e della divisione da Kiev. Senza mezzi termini i Gagauzi della Moldavia meridionale e i Bessarabi della regione di Odessa, il 29 ottobre hanno proclamato l’intenzione di unirsi e dar vita a una Repubblica autonoma di Budžak, la Bessarabia Vecchia, la cui capitale sarà Belgorod-Dnestrovsk, l’antica fortezza ottomana di Akkerman. Per opporsi ai tentativi ucraini e moldavi di impedirne la realizzazione, si sta già formando una propria milizia e, ironicamente, ci si chiede se Porošenko dichiarerà anche questa, come il Donbass, “zona di Operazioni Antiterrorismo e invierà i resti degli “organismi cybernetici” (così sono soprannominati i soldati ucraini che combattono all’aeroporto di Donetsk) non completamente spazzati via a Ilovajsk e Debaltsevo”.
Il presidente temporaneo della nuova entità, il colonnello cosacco Aleksej Litvinenko, ha dichiarato che la semplice “situazione economico-sociale della regione spinge i popoli della Bessarabia meridionale a lottare da soli per la propria sopravvivenza. Ci uniremo tutti: ucraini, bulgari, gagauzi, moldavi, tsigani, ebrei; daremo vita agli organi provvisori di potere, che fisseranno la data delle elezioni presidenziali e si occuperanno della formazione di un sistema finanziario autonomo e proprie forze armate. Le elezioni si svolgeranno sotto il controllo degli organismi internazionali”.
E se il rappresentante bulgaro al parlamento Europeo ha dichiarato di appoggiare il diritto del Budžak all’autodeterminazione democratica, diversa è stata la reazione di Bucarest. I media rumeni avvertono il governo di prepararsi a un probabile intervento in Ucraina per “difendere i territori rumeni di Bucovina settentrionale e Bessarabia meridionale”. Tornando a parlare di “grande Romania”, contro Kiev e Kišinëv, e di fronte alla “probabile disgregazione dell’Ucraina”, si ricomincia ad agitare il tema del recupero dei territori “storicamente rumeni, ingiustamente persi nei secoli XIX e XX a vantaggio dell’Ucraina occidentale”. L’Ucraina, scrive Adevarul, uno dei maggiori quotidiani rumeni, “è uno stato artificiale, non omogeneo, apparso sulle rovine dell’Urss, con una storia di appena 24 anni e nei confronti del quale la Romania ha molte pretese territoriali. Forse che, in caso di molto probabili sconvolgimenti interni, lo stato rumeno non dovrebbe intromettersi, anche con le forze armate, a difesa dei rumeni residenti nell’attuale Ucraina, in particolare in Bucovina settentrionale, provincia di Herca, Bessarabia settentrionale e meridionale e, perché no, Transnistria?”. Altri, lamentando che la Romania sia “l’unico paese, l’unico stato rimasto diviso dopo il ricongiungimento della Germania”, parlano di unione tra Romania e Moldavia in un’unica entità, cui dovrebbero aggiungersi i territori dell’Ucraina occidentale, rumeni fino alla Seconda guerra mondiale. E, al di là delle dichiarazioni, le cose si stanno muovendo per vie non ufficiali: dopo l’ingresso della Romania nell’UE, nel 2007, sta avvenendo una sorta di “guerra dei passaporti”, così che da allora moltissimi moldavi e oltre il 70% degli ucraini di Bucovina hanno doppia cittadinanza con la Romania.
Storicamente, la Bessarabia (gran parte della quale costituisce il territorio dell’odierna Moldavia e la cui parte meridionale fa parte della regione ucraina di Odessa) e la Bucovina (la cui parte settentrionale è oggi nella regione ucraina di Černovits), nei secc. X-XI facevano parte dell’antico Stato russo; nei secc. XII-XIII del principato russo di Galizia-Volinia e dal XIV furono uniti al principato di Moldavia. La Bessarabia, rimasta sotto il giogo ottomano dalla metà del XVI secolo, nel 1812 entrò a far parte dell’impero russo a conclusione della guerra russo-turca.
Evidentemente, brame territoriali medievali e nazionalismi della storia moderna possono oggi annoverarsi tra i “risultati positivi” della “integrazione europea”.

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