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Kabul, mani sulla città. Dopo i furti bancari arriva Smart-city

Strette di mani, abbracci, dichiarazioni di grande amicizia hanno fatto da contorno all’accoglienza che il premier Renzi ha riservato al presidente afghano Ashraf Ghani in visita a Roma. Oltre a ribadire la presenza militare italiana a sostegno della missione Resolute Support, stabilita dal Pentagono e della Casa Bianca, il nostro premier  ha sottolineato l’importanza di creare una diversa narrativa della situazione afghana. Sicuramente a Palazzo Chigi ci leggono poco, noi le realtà scomode di quel Paese le raccogliamo e le raccontiamo. Certo è una “contro-narrativa” che tocca questioni per le quali un personaggio come Ghani, ennesimo politico fantoccio funzionale al controllo della regione sostenuto dagli Stati Uniti, non andrebbe neppure incontrato. Oppure gli si potevano domandare lumi su questa e altre vergognose operazioni finanziarie cui l’establishment afghano e il presidente danno il benestare. 

Kabul, mani sulla città. Dopo i furti bancari arriva Smart-city 

In quella municipalità di Kabul chiamata Shahrak-e Hoshmand, sorta e ora ampliata lungo la via che conduce all’aeroporto – cittadella-bene definita ‘Smart city’ dai signori che se ne intendono – è recentemente comparso mister Khalilullah Ferozi. Per chi ha conoscenza e memoria si tratta d’un elemento (l’altro era Sherkhan Farnood) vicino al clan Karzai. I due furono posti ai vertici della Kabul Bank che nel 2010 registrò scandalosi ammanchi in base a una conduzione di doppia contabilità. Saccheggiando il maggior istituto di credito del Paese per un miliardo di dollari, Ferozi e Farnood arricchivano alcuni partner d’affari, se stessi e i loro padrini politici. Oltre al presidente riceveva fondi il vicepresidente Fahim. Ovviamente i due erano lindi, le tangenti le intascavano i rispettivi fratelli: Mahmud Karzai e Hassin Fahim. Il funzionario dei loschi affari – dopo aver scontato pene minime e domiciliari per i grossi ammanchi che s’estendevano agli elargitori internazionali di denaro, Stati Uniti in testa – riappare nella ‘località dei furbetti’ in veste di azionista.

Prevede di ampliare l’edificazione e propone standard abitativi per la classe media con tre, quattro e cinque stanze per ben 8.800 appartamenti. Nel circondario sono previsti market, giardini, uffici, cliniche, e una moschea. Tutto realizzato dalla ditta di costruzioni Wardak (di Nabizada o Abdul Bari), con la supervisione e la garanzia economica di Ferozi. Avvio del progetto: 95 milioni di dollari, cifra finale 900 milioni. Un business definito “molto prezioso” da tal Zia Massud, consigliere speciale per il Buon Governo (proprio così…). Prezioso sembra esserlo per costruttore e finanziatore: la vendita giungerebbe a 1000 dollari a metro quadro, invece dei 400 realistici; il governo intascherebbe solo 50 dollari a metro quadro. Eppure gli apparati statali lodano la presenza di Ferozi come il positivo segnale di recupero di centinaia di milioni di dollari scomparsi dalla circolazione anni addietro. Quelli che i rumors indicano come denaro legato agli azionisti della Kabul Bank. Di fatto si reintroducono, sotto forma d’investimento edilizio privato, milioni di dollari sottratti alla banca, e si permette nuovamente di specularci su.

Eufemisticamente il governo lo definisce “un meccanismo d’incoraggiamento”, Ferozi fa il bravo sostenendo che pagherà le tasse e il ministero intascherà 75 milioni di dollari. Eppure uno dei punti della linea anticorruzione dell’attuale presidente Ghani metteva in primo piano il caso della Kabul Bank e dei suoi attori, che avevano direzionato parte della liquidità sparita verso aziende controllate da loro stessi. Esempi illuminanti sono la Pamir Air, compagnìa aerea di cui Farnood è tuttora presidente, che intascò 89 milioni di dollari dal saccheggio. Mentre la Gas Group, acquisita dal citato Hassin Fahim, ne incamerò 121 milioni e  continua a ricevere commesse dall’attuale esecutivo per i rifornimenti statali. Insomma il governo, tramite il ministro dello sviluppo urbano Naderi e il consigliere legale Muhammadi, sotto la maschera del pragmatismo che privilegerebbe il recupero del denaro, si fa beffa di qualsiasi rispetto della legalità. Come nel passato: porte aperte al denaro sporco e ai truffatori d’ogni risma per un Afghanistan che non deve cambiare. 

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