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Donbass, Crimea e Transnistria nel mirino di Kiev, grazie al sostegno turco

L’acutizzarsi della tensione internazionale su fronti diversi – ma, in fondo, non così lontani e nemmeno, a conti fatti, completamente sganciati – sembra aver dato mano libera ad alcune forze interessate a non rimanere a mani vuote nell’area del mar Nero che più da vicino tocca la Russia.
Da settimane continua lo stillicidio quotidiano dei bombardamenti ucraini sul Donbass e ieri il fuoco dei carri armati ha causato l’uccisione di una donna nella zona compresa tra i villaggi di Zajtsevo e Žovanka, vicino Gorlovka, nella Repubblica popolare di Donetsk, mentre un intenso tiro di mortai di grosso calibro, lanciagranate e armi automatiche ha sconvolto per circa un’ora l’area dell’aeroporto di Donetsk. Nella tarda serata, tiri di mortaio e di carri armati si sono accaniti contro l’edificio scolastico n.15 del rione Zajtsevo.
Della minore attenzione internazionale approfittano i gruppi ultranazionalisti e i battaglioni neonazisti che, mentre continuano il “lavoro sporco” di rinforzo all’esercito regolare ucraino, attaccano le stesse autorità di Kiev laddove richiesto dai propri interessi di bottega.
Ieri una cinquantina di nazionalisti armati, capeggiati dal deputato Semën Semënčenko, sono tornati a occupare l’amministrazione municipale di Krivoj Rog, nel governatorato di Dnepropetrovsk. L’occupazione del Consiglio municipale si sta ripetendo a fasi alterne dallo scorso ottobre quando, con le elezioni amministrative, sindaco di Krivoj Rog era stato eletto il candidato del Blocco di opposizione (formazione in cui erano confluite le forze di sinistra e anche parte dei comunisti, non ammessi alla consultazione) Jurij Vilkul: il metodo squadristico del 1921 italiano di sloggiare con manganelli e pistole le amministrazioni comunali continua ad essere applicato nell’odierna Ucraina proeuropeista.
Da parte sua il battaglione “Azov”, mentre aspetta di poter fare il proprio ingresso sull’arena internazionale (il leader Andrej Biletskij va proclamando da giorni della formazione di una propria “legione straniera” da inviare in Siria a combattere contro i russi), opera per la costituzione, sulla base del movimento “Corpo civile Azov”, di un partito nazionale che raccolga tutte le forze di destra ucraine, anche quelle che, come “Pravyj sektor”, vanno disgregandosi con la crisi politica, ha detto Andrej Biletskij. A parere dell’osservatore Dmitrij Skvortsov, le cui parole sono riportate dall’agenzia nnr.su, i gruppi più ultranazionalisti o apertamente neonazisti (come è il caso di “Azov”), fantasticano dell’avvento al potere di una “vera junta”, considerando il duo Porošenko-Jatsenjuk, che pure ha messo a frutto a suo tempo le azioni delle bande neonaziste e continua a usarne il linguaggio, non più adatto alla nuova situazione. Ma, afferma Skvortsov, senza il via d’oltreoceano, simili “fantasticherie” rimangono solo tali; ciononostante, sulla scia della crisi di “Svoboda”, degli scandali di corruzione del Partito radicale e della perdita di credibilità di “Pravyj sektor”, troppo ammanigliato con il governo, pare che ora sia venuto il momento di “Azov” e del suo führer Andrej Biletskij. In generale, comunque, a parere di Skvortsov, si assiste a una nuova suddivisione di forze tra i raggruppamenti armati ucraini, in parte con l’intrusione di alti ufficiali dell’esercito, in parte con la nuova attivazione degli sponsor tradizionali dei battaglioni neonazisti – Kolomojskij, Ljaško e la stessa Timošenko – forse in vista di nuove avventure a Kiev, data l’abissale crisi economica e sociale e lo sbandamento della “junta euromajdanista” al potere.
Potere che, nel frattempo, approfitta anch’esso della scarsa attenzione internazionale e concentra truppe e mezzi ai confini con la Crimea, da un lato e con la Transdnestria, dall’altro. L’ha candidamente annunciato ieri il presidente Petro Porošenko, intervenendo  di fronte ad alti ufficiali dell’esercito e annunciando l’aumento a 4,5 miliardi di $ (il 5% del PIL: come imposto dalla Nato?) dello stanziamento militare nel bilancio 2016. Il blocco della Transdnestria, nelle intenzioni di Kiev, dovrebbe consentire a Kišinëv, con l’appoggio di Bucarest, di occupare la regione a maggioranza russofona, da circa 20 anni separatasi dalla Moldavia, ma la cui autonomia è riconosciuta quasi solo da Mosca.
Alle frontiere con la Crimea, invece, stanno agendo più scopertamente non le truppe ufficiali di Kiev, ma gruppi armati, per lo più formati da bande del Mejlis dei tatari di Crimea fuggiti in Ucraina, che vanno ogni giorno annunciando dell’inizio di operazioni per “la riconquista della penisola”. “Insieme al blocco energetico e a quello marittimo”, ha avvertito l’oligarca tataro-crimeano Lenur Isljamov, “ci sarà presto anche un altro blocco; per ora non posso dire nulla. A giorni lo verrete a sapere”, convinto evidentemente che negli uffici dei servizi di sicurezza russi stiano sorseggiando caffè e giocando a carte. Isljamov, che ha dichiarato di contare sull’aiuto della Turchia, ha annunciato il prossimo blocco dello stretto di Kerč e del terminal dei traghetti e l’avvio di operazioni armate. “Si tratta di un’operazione di guerra e per questo non ne posso ancora parlare” ha cianciato l’oligarca, dimentico delle parole di quel personaggio del western di Sergio Leone che sentenziava “Quando si spara, si spara; non si parla!”. “Dirò tuttavia che il blocco navale della Crimea è già iniziato; infatti i turchi, quando hanno abbattuto l’aereo, che attaccava il loro territorio, stavano già attuando il blocco del Bosforo e dei Dardanelli. Rimane solo lo stretto di Kerč e noi ce ne stiamo già occupando”.
Se ne stanno già occupando anche al Cremlino, tanto che, a dispetto delle continue dichiarazioni di Ankara sulla “integrità territoriale ucraina, inclusa la Crimea”, ieri il vascello pesante russo per fanteria di marina “Tsezar Kunikov” è tranquillamente transitato dal mar Nero verso il Mediterraneo.

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