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Finlandia, “l’alunno modello” della Troika, in crisi nerissima

L’austerità ammazza chiunque, anche chi la promuove. La Finlandia – dopo una serie di governi di destra “europeisti” duri e puri, che hanno prodotto piccoli mostri come Jirky Katainen, attuale vicepresidente della Commissione per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività, ex primo ministro dal 2011 al 2014, super-falco agli ordini della Troika – è in crisi nera. Ed ha fatto la sciocchezza di affidarsi a un governo guidato da un imprenditore, Juha Sipilae, ancora più di destra (tanto da imbarcare anche gli euroscettici xenofobi e fascistoidi di Perussuomalaiset, i “veri finlandesi), che come primo atto ha convocato i sindacati per convincerli ad accettare lo smantellamento del (per noi lussuoso) welfare finnico, naturalmente per “aumentare la competitività, ridurre la spesa pubblica, riformare il mercato del lavoro e ridurne il costo”. E per sostituire il tutto con un “reddito di cittadinanza” o sopravvivenza di 800 euro mensili (che sembrano tanti in Italia, ma ai prezzi finnici sono davvero pochini).

Per ora le proposte sono state respinte al mittente e si vanno preparando scioperi, probabilmente generali, come non se ne vedevano da decenni in questo piccolo paradiso del Grande Nord.

Il governo, come si usa ormai nell’Unione Europea, se ne fotte allegramente, dichiara chiuso il “dialogo sociale” e ritiene di poter andare avanti a colpi di decreti legge (vi ricorda Renzi, vero?). L’obiettivo dichiarato è facilitare le esportazioni, anche se la Finlandia – dopo la scomparsa di Nokia, ex supergigante della telefonia mobile – esporta ormai ben poco (legname pregiato, per lo più), mentre dipende dalle importazioni per quasi tutto il resto. E in più è direttamente colpita dalle sanzioni occidentali contro la Russia, suo storico primo partner commerciale.

Per il momento Helsinki presenta un debito pubblico tutto sommato contenuto e gode ancora della “tripla A” nei giudizi delle agenzie di rating. Ma è chiaro che i dati molto negativi del Pil (la cui caduta è al momento inferiore soltanto a quella della Grecia), dopo ben tre anni di recessione conclamata, e l’apertura di una stagione di conflitto sociale, non potranno che avere ripercussioni negative anche su questo fronte, con un peggioramento dello spread fin qui sostanzialmente identico a quello della Germania.

Tutti gli osservatori sono concordi nell’attribuire proprio all’eccesso di “rigore” adottato dai governi liberal-liberisti un ruolo devastante per il “modello finnico”, e sono impietosi nel proporre il confronto con la vicina Svezia, che ha adottato una politica del tutto opposta (concertazione sindacale  e investimenti pubblici). Peccato che gli stessi osservatori tacciano sul particolare che la Svezia conservi ancora la propria moneta nazionale (la corona), il che consente qualche decisiva libertà in più rispetto alla gabbia rappresentata dall’euro, anche nelle scelte di politica economica e fiscale.

Per quanto piccola (appena 5 milioni e mezzo di abitanti), la Finlandia diventa un caso da laboratorio altrettanto interessante della “cicala greca”. Nel suo caso, infatti, non potranno essere invocati i soliti vecchi vizi per cui sono ostracizzati i piigs mediterranei. Helsinki è stata sempre tra i primi della classe nell’adozione delle politiche economiche “raccomandate” dalla Troika, senza trucchi e senza furberie.

Il suo fallimento, dunque, è il fallimento di un intero modello indicato fin qui come “sanissimo e miracoloso” per l’intera economia continentale.

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