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Ucraina: Jatsenjuk rischia di perdere pezzi (del proprio corpo)

Appena ripartito il vice presidente USA da Kiev si sono manifestati i primi segni lasciati dalla sua visita. “Joe Biden non è venuto a Kiev in qualità di revisore”, avevano scritto i principali media ucraini nel giorno del suo arrivo, una settimana fa. E infatti la sua missione era molto più semplice: le linee della politica ucraina sono così accuratamente disegnate a Washington, che gli aggiustamenti via via richiesti non hanno bisogno della presenza in loco del “capocantiere”. Se l’alto ospite si è dovuto scomodare, è stato per dare il via libera a un ricambio che non riguardasse la direzione di marcia, ma chi debba tenere il volante.
Su questo punto sembrano manifestarsi alcune difficoltà. Già sabato scorso, il giorno successivo alla scadenza della “immunità” per il governo Jatsenjuk (nel primo anno dalle elezioni il gabinetto non può essere sfiduciato), il deputato della frazione presidenziale “Blocco Porošenko”, Nikolaj Veličkovič, dichiarava alla Rada che il numero sufficiente di voti per mandare a casa Arsenij Jatsenjuk c’è; quello che non c’è è un nome gradito a tutti del sostituto. Forse anche perché nessuno se la sente di prendere la guida del governo in questo momento di collasso economico e sociale alle porte. La dichiarazione di Veličkovič seguiva di appena un giorno
  le “scene di caccia alla Rada” per impallinare Jatsenjuk. Venerdì infatti, mentre fuori della Rada si radunavano centinaia di manifestanti contro la politica governativa, all’interno qualche deputato pensava bene di far intendere senza metafore al primo ministro che il suo tempo è scaduto. I metodi concreti per palesarglielo non costituiscono certo una novità per l’eurodemocrazia ucraina; d’altronde, se il tempo stringe e bisogna eseguire gli ordini, si va per le spicce.
Per dargli l’addio, il deputato del “Blocco Porošenko” Oleg Barna ha prima omaggiato Jatsenjuk di un mazzo di fiori del commiato, con tanto di nastro funebre e quando nemmeno questo è bastato a convincere “il coniglio” (il vezzeggiativo con cui gli ucraini carezzano Jatsenjuk), lo ha agguantato con una mano letteralmente per i “santissimi” e portato giù di peso dalla tribuna parlamentare.
Quando si dice “lo spirito pratico americano” (Stalin) tradotto nella lingua slava!
Per tentare di riportare un po’ le cose su binari del vecchio continente, ha dovuto dire la sua il presidente Porošenko e, come spesso gli accade, le sue parole non hanno fatto altro che lumeggiare ancor più gli splendori di un parlamento in cui primeggiano capi o ex capi di battaglioni neonazisti, affaristi e capibastone dei principali oligarchi del paese. I deputati della Rada sono ostacolati nel proprio lavoro da un basso IQ, ha detto il presidente. In effetti, secondo quanto riportato dall’agenzia Anna news, Porošenko si riferiva al fatto che presto il parlamento dovrà adottare la legge di riforma della Costituzione relativa alla decentralizzazione, cui sono contrari moltissimi parlamentari e da cui dipende, però, “la questione della pace nel Donbass – ha detto Porošenko – e non ho il minimo dubbio che l’adozione di tale decisione sarà molto difficoltosa. Il nostro IQ deve superare i 300, dato che solo un intelletto eccezionalmente elevato, unito alla potenza delle nostre forze armate, ci permetterà di vincere un nemico così forte come la Russia”.
Almeno su questo punto, sulle capacità intellettive dei deputati della Rada, pare che tra presidente e primo ministro l’intesa sia completa. Dopo aver assistito in tutta calma all’incontro di boxe sul ring parlamentare, Jatsenjuk ha avuto il fiato per vocalizzare appena (d’altronde la “stretta della mano” qualche effetto fisiologico l’avrà pur avuto) “Tutto a posto. Di ritardati ce ne sono molti”.
Per la cronaca, Arsenij Jatsenjuk avrebbe dovuto intervenire in parlamento con il rapporto annuale sull’attività del governo. Tracciando le linee dei “grandiosi successi economici”, il premier si rivolgeva anche ai deputati del “Blocco Porošenko”, ricordando loro le proprie responsabilità, quali parte integrante della coalizione di governo. Aveva da poco iniziato a parlare, quando ecco comparire Oleg Barna, con fiori e “mano di ferro” e tutto quello che ne è seguito, comprese le sberle affibbiate a quest’ultimo dai deputati del “Fronte popolare” (la frazione di Jatsenjiuk) e dall’accorrere di contro in sua difesa gli onorevoli (con rispetto parlando) suoi colleghi al grido di “picchiano i nostri!”. E giù un volare di braccia, di mani, di gambe, “non muro contro muro – scrive Komsomolskaja pravda – ma frazione contro frazione”, in un carosello di spintoni, calci, manate e pugni. Mancava solo Victoria “fuck UE” Nuland che, come scrive Komsomolka, è solita assistere dal loggione della Rada a tali spettacoli, ma che questa volta era ripartita insieme a Joe Biden.
In rete, ovviamente, si sono sprecate la battute su quanto accaduto alla Rada e sulla scazzottata susseguente la performance Barna-Jatsenjuk. E da oltreoceano, lo stesso Joe Biden ha dovuto invitare i deputati ucraini alla calma e a trovare un accordo; sottinteso, certamente, sul nome del sostituto di Jatsenjuk.
EADaily commenta da Kiev il circo parlamentare ucraino, autentico “specchio dei processi in atto nel paese”, domandandosi “Quando si deciderà la Russia a sciogliere l’orchestra diretta da Biden?” e ricorda l’aneddoto in circolazione a Kiev secondo cui “Prima c’era il radicalismo politico, poi è venuto l’avventurismo politico e ora regna l’idiotismo politico”. Il politologo Igor Berkut scrive d’altronde su Politobzor.net che il debole Porošenko non è capace di dirigere un paese che, nel suo sviluppo politico, è in ritardo di 15 anni rispetto a paesi come ad esempio la Russia, che ha vissuto negli anni ’90 lo stesso contesto oggi di scena a Kiev. Lo stesso Biden, a parere di Berkut, punterebbe a un leader che sia meno imprevedibile e in grado di dirigere il paese davvero secondo le linee USA. Nella situazione attuale, una nuova majdan è quasi inevitabile, con conflitti tra centro e regioni (non solo il Donbass, ma anche quelle centro-occidentali) o tra presidente e primo ministro, scrive Berkut. Se a ciò si aggiungono le rese di conti con e tra vari raggruppamenti neonazisti (primo fra tutti Pravyj sektor) e, all’esterno, le ambizioni polacche sugli antichi territori (ante 1939) oggi parte dell’Ucraina occidentale, le carte in mano ai giocatori ucraini sono veramente leggere. Tanto che il professor Jaroslav Gritsak, storico dell’Università di L’vov, fa apertamente appello agli ucraini a “smettere di temere una nuova majdan e prepararsi coscientemente ad essa. Sullo sfondo di una crisi economica prolungata e una guerra “congelata”, l’Ucraina entra in un periodo di forte turbolenza politica”. Afferma Gritsak: “Ci sono reali possibilità di elezioni anticipate, parlamentari e presidenziali e poche probabilità di sopravvivenza dei “nuovi vecchi” partiti. Se i leader di majdan non si distanziano da questi partiti, andranno a fondo insieme a loro. E ne emergeranno altri. Come è noto, chi si mantiene a galla in ogni situazione, non sempre è degno di nota”.
La parola ora, ancora una volta, passa a Washigton.

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