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Kiev: la capanna dello zio Sam

Alla maniera sintetica e diretta che gli è congeniale, il presidente ceceno Ramzan Kadyrov ha caratterizzato il duo Porošenko-Jatsenjuk come “attori di talento di un teatro di marionette, diretti dagli sponsor occidentali”. Qualcuno dirà che il primo musulmano di Russia ha scoperto l’acqua calda; ma, ricordare il dato di fatto, può servire a spiegare anche, in parte, come faccia una troupe quale quella dei golpisti di euromajdan, in perenne guerra intestina tra nani per la spartizione degli ultimi beni del popolo ucraino, a reggersi ancora al comando del paese. “Non sono patrioti dell’Ucraina” ha detto Kadyrov, “non difensori degli interessi del proprio stato e del popolo ucraino. Il loro scopo principale consiste nel soddisfare i protettori occidentali e seguire ciecamente le loro indicazioni”.
In questo senso, anche Sovetskaja Rossija, tirando qualche somma di fine anno, scrive che “l’Ucraina si è liberata dei residui di sovranità e ha chiamato tale processo “nezaležnost”-indipendenza”, dal nome della piazza di Kiev – majdan Nezaležnosti, appunto – in cui le decine di morti ammazzati dai cecchini dei servizi segreti (non certo ucraini e tantomeno russi) servirono da “corridoio di Danzica” per il golpe del febbraio 2014. Niente più potere sovrano, dunque: “il rappresentante del FMI”, scrive Sovetskaja Rossija, “può ora abrogare verbalmente le leggi portate in discussione alla Rada; l’ambasciatore USA controlla personalmente ai seggi l’andamento delle elezioni. Una telefonata da Washington può magicamente accelerare in parlamento l’adozione del bilancio più conforme agli interessi del FMI”. Questa fantomatica indipendenza ha portato, con la fine dei legami economici con Mosca, a “una caduta del 60% delle esportazioni (-33% anche con l’Europa, negli ultimi 9 mesi), inflazione al 50%, caduta del PIL dell’11% e dei redditi del 40%, con il 60% di economia sommersa”, conclude Aleksandr Dudčak su Sovetskaja Rossia. Non stupisce quindi che, come scrive Anna-news, negli ultimi anni abbiano lasciato l’Ucraina più di ventimila giovani studiosi e ricercatori: un numero uguale a quanti ne sono rimasti.
Come scriveva ieri l’agenzia Novorossija, su fonte di Ukraina.Ru, in politica estera Kiev è passata dall’indipendenza alla colonia; nei rapporti con la Russia, sono stati “disdetti tutta una serie di accordi di collaborazione in campo economico e militare-industriale. Il governo ucraino è pronto a lottare contro “l’aggressore” fino all’ultima fabbrica”. E’ il caso, ad esempio, di “Južmaš”, riciclata dalla costruzione di portaerei a quella di stufette; o il settore del gas che, con la rottura dei rapporti con la Russia, ha reso l’Ucraina dipendente in tutto il settore energetico. A dispetto della proclamata politica estera tesa all’indipendenza economica e politica, a “due anni dal golpe nazista hanno trasformato l’Ucraina in una pedina nel gioco di altri”. Dell’Accordo di associazione alla UE, in nome del quale fu attuato il golpe, solo dopo “sforzi titanici e svendendo ogni possibile interesse nazionale, la diplomazia di Kiev è riuscita a strappare la parte economica” e la sua attuazione sarà controllata dai rappresentanti di UE e Commissione europea: 29 voti contro 1. In relazione all’embargo sui prodotti alimentari e i dazi di importazione introdotti da Mosca nei confronti dell’Ucraina, pare che dalla UE abbiano risposto picche alle richieste di aiuto di Kiev, e anche senza le sanzioni russe, l’adattamento alle norme di Bruxelles, secondo la valutazione dell’ex premier Nikolaj Azarov è già costato a Kiev 160 miliardi di euro. “In sostanza, gli indigeni hanno ricevuto le collanine di vetro” tanto agognate; in cambio, alla maniera di un “magnaccia da quattro soldi, durante la visita in USA e Canada, il premier Jatsenjuk ha messo in vendita le ultime imprese strategiche ancora in mano ucraina, compresi porti, società elettriche, sistemi di trasmissione del gas, imprese strategiche, e terreni agricoli. Ma non è servito ad attirare gli investitori: anche Shell e Chevron hanno rinunciato alla programmata estrazione di gas di scisto” e Kiev ha ripiegato su un’impresa georgiana in fase di fallimento. In una truffa simile si è risolta anche la sostituzione dei fornitori russi di combustibile nucleare con la statunitense Westinghouse, che ha già portato ad un aumento del tasso di incidenti nelle centrali ucraine nucleari. Ovviamente, come ha dichiarato il Ministro dell’economia, l’imprenditore lituano Aivaras Abromavičius, “il progetto di legge sulle privatizzazioni proibisce  la partecipazione alle persone fisiche e giuridiche dello Stato-aggressore” e il capo del Demanio, il finanziere Igor Bilous, ha detto che l’Ucraina controllerà le imprese beneficiarie finali, affinché in Ucraina non “trapeli” capitale russo.
Tutto ciò, senza parlare del conflitto scatenato dalla junta contro la propria popolazione del Donbass; accanto agli oltre 9mila morti registrati dall’ONU, la Novorossija parla di almeno 70mila perdite ucraine tra morti, feriti e disertori e “l’anno prossimo l’eliminazione delle persone continuerà, dato che il bilancio 2016 stanzia oltre 100 miliardi di grivne per la guerra, più che per sanità, istruzione e assistenza. Il tutto, non tanto per essere ammessi nella Nato, quanto per provocare un conflitto della Nato contro la Russia” e mentre si affama la popolazione con tasse e tariffe imposte dal FMI e si chiudono ospedali e Istituti superiori. Tutto ciò, sotto la direzione di ministri georgiani, USA e lituani e sottosegretari yankee, slovacchi, inglesi e francesi, con le leggi alla Rada scritte dagli esperti del Fondo Soros, l’ambasciatore USA Jeffrey Pajett che lascia le istruzioni scritte ai ministri e, periodicamente, Joe Biden e Victoria Nuland vengono direttamente da Washington a controllare il lavoro.
Su questa base si innalza la “sovrastruttura ideologica” che, come scrive Nikolaj Sevostjanov su Russkij mir-Ukraina, è quella ottocentesca della “fortezza assediata, con la differenza che al posto della fortezza, c’è una capanna e invece dell’eroe, c’è un lacchè”. In ogni caso, “odio selvaggio e ferino verso tutto ciò che è russo e complesso paranoico da eterna vittima”. In questa “ideologia”, persino le violenze e le stragi commesse dai nazionalisti di Simon Petljura (il cui simbolo del tridente servì da emblema ai filonazisti di Bandera nel ’42 ed è oggi rinnovato da quasi tutti i battaglioni neonazisti) in guerra contro l’Esercito Rosso nel 1919, ai danni della stessa popolazione ucraina, sono presentate come “liberazione dal giogo russo”, al pari di quelle di vent’anni dopo perpetrate dalle SS della divisione ucraina “Galizia”, non più contro i soli russi, ma anche contro ebrei, polacchi e rom. E in tempi postsovietici, ci si è alleati coi terroristi daghestani e ceceni, pur di “lottare contro l’aggressore” russo. Oggi, scrive ancora Russkij mir-Ukraina, nelle cittadine e nei villaggi lungo la linea di demarcazione nel Donbass, si ricorre di nuovo ai metodi di 70 anni fa: “le persone scompaiono ogni giorno e non fanno più ritorno, oppure si ricattano i parenti per la loro liberazione”. Il tutto, accompagnato quotidianamente da squallidi videorolik in salsa Salò-repubblichina che, quand’anche non avessero del grottesco, susciterebbero se non altro sentimenti diametralmente opposti ai propositi degli autori. In ultimo, ora i Servizi segreti di Kiev ammettono ufficialmente che l’Isis sta intensificando l’attività sul territorio ucraino: “I terroristi considerano l’Ucraina zona di transito, dove curarsi o falsificare documenti per introdursi nella zona del conflitto siro-irakeno”, presumibilmente attraverso il porto di Odessa, scrupolosamente controllato (leggi: in mano alla cupola) dal fustigatore anticorruzione Mikhail Saakašvili.
In conclusione, scrive Sevostjanov, “la campagna di disinformazione ucraina si sta avvicinando a quel limite che aveva oltrepassato nel 1920. Ma è proprio qui che l’agitazione smette di funzionare e comincia il terrore più brutale. E considerando che anche questo sistema si sta disfacendo molto rapidamente, nelle condizioni del generale decadimento morale, una nuova offensiva dell’esercito diventa l’unica medicina possibile. Ed è molto probabile che uno stato traballante e morente torni a prescriverla”.

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