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“Un israeliano vale dieci palestinesi”. Catalogna, l’unico accordo impossibile

Negli ultimi giorni si è parlato di come la CUP, la sinistra anticapitalista e indipendentista catalana, sia riuscita a strappare una importante vittoria: la non elezione di Artur Mas, ex-presidente della Generalitat di Catalunya, sostituito dal suo collega Carles Puigdemont.
Dopo 3 complicatissimi mesi, costellati da pressioni mediatiche, assalti sui social network con insulti sessisti e non,  assemblee di 3000 persone in cui si sono ottenuti incredibili e improbabili pareggi,  e assemblee in extremis, un piccola candidatura assembleare di gruppi antisistema ha determinato una decisione irrevocabile: non sostenere l’investitura del presidente uscente. In pratica la morte politica di Artur Mas. Pochi giorni dopo, a sorpresa si arriva invece ad un accordo.
Ma che accordo? Nei giornali italiani se n’è parlato poco.
Partiamo dalla situazione iniziale. Come si arriva a questo accordo? Dopo il No decisivo della CUP, e l’ultimo ricatto di Artur Mas, che accusava la metà dei militanti dell’organizzazione anticapistalista di uccidere il “procés” (l’iter che dovrà portare alla formazione di una Repubblica Catalana indipendente) perché a suo dire voleva fare la “super rivoluzione delle ipersinistre”, a muoversi sono state le organizzazioni civiche indipendentiste, come Sumate, Omnium Cultural e la ANC, che hanno cercato di aprire un ulteriore tavolo di negoziazione tra Junts pel Si (JxS, cioè Cdc più Erc) e la CUP. Molte di queste organizzazioni indipendentiste trasversali hanno mostrato in questi ultimi 3 mesi di essere in pratica il braccio organizzativo e militante di Convergenza Democratica, composte sì da indipendentisti che però hanno accettato la narrazione del “Messia Mas che salva il popolo catalano”.
Con due riunioni, e diverse opzioni poste sul tavolo del negoziato, si è alla fine arrivati a un accordo, che non ha soddisfatto molto, sia dall’area di Convergenza sia dall’area anticapitalista.
In cambio di un nuovo presidente che non sia Artur Mas, la Cup deve impegnarsi a:
1) Non votare, durante la legislatura, assieme al blocco contrario all’indipendenza o comunque ostile al diritto a decidere (essenzialmente composto da PPC, C’S e PSC) per tutte le tematiche relative al processo di disconnessione dallo stato spagnolo.
2) Garantire che due deputati della Cup partecipino alla dinamica istituzionale del gruppo parlamentare di JxS in modo stabile, partecipando al dibattito e agendo in maniera sinergica nelle prese di posizione del gruppo
3) Votare durante la prima votazione la persona candidata dal gruppo parlamentare di JxS

Inoltre, facendo una grandissima autocritica, la CUP decideva di far dimettere e di rimpiazzare due dei suoi parlamentari e di generare così un parziale cambio di rappresentanza tra le proprie file.
Questo accordo ha generato reazioni contrastanti, interne e esterne alla Cup. Se da una parte veniva criticata la decisione di accettare comunque un neoliberalista come presidente, dall’altra si vedeva come positiva la capacità della CUP di aver sottratto un simbolo ed un argomento all’unionismo spagnolo (che a lungo ha indicato nella “pazzia” di Mas l’unica volontà indipendentista presente in Catalogna). Le diverse aree della sinistra che fa riferimento allo stato spagnolo invece hanno considerato l’accordo umiliante per la Cup.
Ma l’ambiente in cui sono avvenuti i negoziati era tutt’altro che facile. In soli 3 giorni si è fatto tutto il lavoro che si sarebbe potuto fare in questi 3 mesi, grazie anche all’incapacità di prendere posizione da parte dei partiti di sinistra – interni e esterni all’area indipendentista – come ERC.
Il tutto è avvenuto in un clima tutt’altro che disteso. Secondo indiscrezioni filtrate, la prima proposta di accordo consisteva in un cambio di candidato a fronte addirittura della dissoluzione completa della CUP, che avrebbe dovuto far dimettere tutti e dieci i suoi deputati senza farli rimpiazzare da altri. Anna Gabriel (una delle portavoce della Cup) lo ha confermato un paio di giorni fa alla radio Rac1, dicendo che le era stato detto da esponenti della CdC che “la testa di un israeliano vale le teste di 10 palestinesi”, lasciando chiaramente intendere chi erano i palestinesi e chi l’israeliano del caso…
Alla fine l’accordo è arrivato in cambio dell’accettazione da parte della Cup delle dimissioni di soli due deputati. Evidentemente JxS mirava a eliminare dal Parlament Anna Gabriel e Gabriela Serra, due delle rappresentanti più carismatiche e contemporaneamente più ostili a Mas. Ma alla fine, l’organizzazione anticapitalista ha scelto invece che a fare un passo indietro avrebbero dovuto essere altri due deputati, Julià de Jódar e Josep Busqueta, i quali nella loro lettera di commiato hanno ribadito che anche se lasciano il proprio scranno continueranno la propria lotta indipendentista dalla base. Un messaggio pieno di speranza e che fa guardare con occhi positivi l’accordo.
Certo, appena formato il governo, molti militanti della sinistra indipendentista non erano assolutamente sereni, temendo l’affermarsi di un nuovo esecutivo neoliberista. Tutti avrebbero desiderato una vittoria piena della CUP, forti pressioni da parte di ERC per spingere Mas a farsi da parte, e l’imposizione di un nuovo candidato da discutere. Ma così non è stato.
Dopo quella che può sembrare una sconfitta, seppur parziale, la Cup recupera forze e coesione, e i posti lasciati vacanti vengono ricoperti da persone fortemente legate ai movimenti di base. Il più anziano, Joan Garriga “Nana”, é un militante di base dagli anni 70. Con lui entra nel Parlament Mireia Vehí, che ha lottato per la chiusura dei CIE, lotta che si sta vincendo (infatti la Generalitat ha deciso, pochi mesi fa, iniziare un percorso per la chiusura del CIE di Zona Franca, vicino Barcellona). E si aggiunge anche Mireia Boya, ambientalista e occitanista della zona d’Aran.
Il nuovo gruppo parlamentare così formato ha già deciso che rispetterà l’accordo e che lo applicherà sulla base del funzionamento assembleare e alla visione che la Cup ha sempre sostenuto. Ad esempio, i due parlamentari che entreranno nella dinamica parlamentare di Junts Pel Si ruoteranno, e non saranno sempre gli stessi, e loro obiettivo sarà orientare la maggioranza che sostiene la Generalitat verso politiche più inclini al cambiamento sociale.
Inoltre, per tutto quello che non avrà a che fare con il processo indipendentista – costruzione delle infrastrutture del nuovo stato indipendente, disobbedienza nei confronti del tribunale costituzionale ecc –  la coalizione anticapitalista non si sentirà legata da alcun obbligo continuando a difendere nelle istituzioni i vari conflitti sociali che eventuali misure del governo catalano potranno suscitare.
Una cosa è certa: la Cup sta pagando un prezzo, che però avrebbe comunque pagato andando ad elezioni a marzo in un clima di linciaggio politico e mediatico vedendosi ridotta la rappresentanza istituzionale. É anche vero che pur trovandosi in una situazione estrema alla quale non era preparata, la coalizione é riuscita ad uscirne in maniera più che dignitosa. Non solo la Cup rafforza i suoi legami con i militanti di base pur escludendo indipendenti come Antonio Baños (capolista alle elezioni del settembre scorso), ma riesce anche a scardinare la narrazione realizzata da Madrid che fino ad ora ha fatto sembrare il conflitto in atto tra Catalogna e stato spagnolo come il frutto della volontà di Artur Mas di andare ad una rottura.
Immagine che da ora in avanti non potrà più essere utilizzata, mostrando che in realtà é metà della società catalana a esprimersi e organizzarsi in questo senso.
E probabilmente questo accordo, anche se non convince del tutto, é stato l’unico modo disponibile per evitare una scissione dentro la CUP, che mantiene così il suo peso per sviluppare un processo indipendentista che porti ad un cambiamento sociale, senza scollegarsi dai movimenti di base e dai conflitti attivi nella società.

* da Barcellona, della redazione del settimanale catalano “La Directa” 

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