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Turchia: invocano la fine della repressione contro i curdi, in manette decine di accademici

Per un regime oppressivo e guerrafondaio non c’è peggior nemico di chi invoca la pace con l’avversario. E così ieri la polizia dell’Akp di Erdogan ha arrestato 18 docenti universitari “colpevoli” di aver firmato un appello a cessare la repressione contro la comunità curda. Il documento, intitolato “Non faremo parte di questo crimine”, chiede ad Ankara di metter fine ai «massacri deliberati e alla deportazione di curdi e di altre persone nella regione». Sono quasi 1500 gli accademici di circa 90 università turche ma anche di molti altri paesi del mondo – compresi il linguista statunitense Noam Chomsky, il politologo David Harvey, il sociologo Immanuel Wallerstein e il filosofo sloveno Slavoj Zizek, e poi ancora Etienne Balibar e Judith Butler – che chiedono la fine della criminale campagna militare iniziata mesi fa e che ha già provocato la morte di migliaia di persone tra combattenti dei movimenti armati curdi e semplici cittadini uccisi nelle loro case o nel corso di manifestazioni.

Ma ieri il regime di Ankara ha risposto con una brutalità che sembra crescere di giorno in giorno: la procura di Istanbul ha fatto arrestare 15 professori dell’Università di Kocaeli e altri 3 della Uludag; molti loro colleghi potrebbero fare la stessa fine, visto che la magistratura ha aperto un fascicolo contro altri 130 docenti universitari accusati di aver violato il famigerato articolo 301 del codice penale e di “incitare al terrorismo” e di “insultare le istituzioni dello stato”. Reati per cui i docenti – 15 di loro ieri sera sono stati comunque scarcerati dopo essere stati interrogati – rischiano una pena di cinque anni di reclusione.
La retata di ieri mattina, accompagnata da numerose perquisizioni nelle abitazioni e negli studi degli arrestati, sembra inoltre aver fornito il La alle direzioni di molti atenei a regolare i conti con i docenti meno allineati; ieri la Duzce University ha cacciato uno dei suoi professori firmatario dell’appello incriminato e presto altri potrebbero subire la stessa sorte. Anche 5 accademici nell’Università Arel di Istanbul sono stati espulsi.
Più che esplicito il messaggio che il capo dello stato Erdogan, ieri in visita al luogo della strage di turisti di Sultanahmet, ha voluto inviare al paese e ad una comunità internazionale immobile e complice: “Solo perché hanno il titolo di professore o dottore non vuol dire che siano illuminati. Sono vigliacchi perché sono a fianco dei vigliacchi”. 
Erdogan ha insistito affermando che “Questa non è una questione di democrazia, di libertà di pensiero o espressione (…) alla Turchia non manca niente in questo senso. Il mio disappunto non riguarda il fatto che questi accademici abbiano espresso un’opinione diversa. Io obietto al fatto che un gruppo di persone che si autodefinisce accademico imponga all’opinione pubblica la lingua dell’organizzazione terroristica (il Pkk) formata da menzogne, depistaggi e propaganda”.
Sulla vicenda è intervenuto anche il pluricondannato boss mafioso Sedat Peker secondo il quale “il sangue degli accademici scorrerà a fiotti e noi ci laveremo con essa”.
«Spero che la vostra coraggiosa presa di posizione otterrà il sostegno popolare e internazionale che merita. Sfortunatamente Erdogan sta di nuovo utilizzando alcune delle più dure e brutali politiche contro i diritti dei curdi» aveva scritto Noam Chomsky, che poi aveva aggiunto: “Spero che la vostra coraggiosa presa di posizione otterrà il sostegno popolare e internazionale che merita”. 

Ma nessun segnale di particolare sdegno è arrivato ancora da una Unione Europea che poche settimane fa ha chiuso un accordo con Ankara affinché il regime turco si occupi del ‘contenimento’ dei profughi mediorientali e asiatici sul proprio territorio. In cambio del lavoro sporco Erdogan e Davutoglu hanno ottenuto lo status di “paese sicuro” e quindi un regime favorevole di ingresso dei propri cittadini nell’Unione, ma soprattutto uno stanziamento di 3 miliardi di euro che Ankara sta già spendendo per massacrare i cittadini curdi e rafforzare il suo apparato repressivo.
Appare quanto mai ipocrita e insufficiente la presa di posizione dell’ambasciatore statunitense ad Ankara, John Bass, che in comunicato ha dichiarato che nonostante Washington possa “non condividere le opinioni espresse da questi accademici, è comunque preoccupata da queste pressioni, che hanno un effetto agghiacciante sul legittimo discorso politico all’interno della società turca volto a individuare cause e soluzioni alla violenza in corso”. A Washington importa assai poco del grado di libertà della società turca, mentre è assai più preoccupata che le aspirazioni egemoniche di Ankara non mettano in discussione i propri interessi in Medio Oriente.

Erdogan in persona si era rivolto duramente agli intellettuali stranieri che hanno firmato la petizione definendoli “la quinta colonna dei paesi che cercano di minare la sicurezza della Turchia”, e invitandoli a visitare personalmente il paese “per vedere con i propri occhi” se esiste una violazione da parte dello stato o se invece non si tratti di una “appropriazione delle libertà e dei diritti del nostro popolo da parte di una organizzazione terroristica”. Un invito che Chomsky ha respinto affermando che, “come in passato” si sarebbe recato in Turchia “solo su invito dei tanti coraggiosi dissidenti, tra cui i curdi, che sono sotto grave attacco da anni”.

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