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Sulla guerra in Siria, fabbrica delle balle a pieno regime

La guerra è un orrore indicibile, la dittatura un regime intollerabile ovunque e la tortura una delle pratiche più infami che la mente umana abbia mai partorito. Ma ogni guerra porta allo scoperto personaggi di mezza tacca incaricati di eccitare gli animi della cittadinanza cui si vuole estorcere i consenso alla guerra, media e giornalisti prezzolati, politici in cerca di nuova occasione.

In Medio oriente non ci sono regimi democratici, né nello schieramento dei “nemici dell’Occidente”, né tantomeno tra i suoi inguardabili alleati. Non troppo paradossalmente, l’unico regime che si avvicini almeno un poco agli standard delle democrazia parlamentare è in questo momento l’Iran, lo “stato canaglia” che fino a qualche mese fa lOccidente intero voleva bombardare (e Israele non sembra avervi rinunciato davvero).

La tortura, i desaparecidos, la polizia e i servizi segreti fuori di qualsiasi controllo “democratico” sono la norma, non l’eccezione. Lo è l’Egitto di Al Sisi come lo era quello di Mubarak, che oggi ci restituisce il cavadere torturato di un compagno italiano in cambio di lucrosi contratti d’appalto, e cui ieri consegnavamo l’imam Abu Omar, perché i servizi (guidati proprio da Al Sisi, allora) lo torturassero su ordine del governo degli Stati Uniti.

Eppure qui si parla di regime, bombardamenti, guerra e torture solo nel caso in cui queste pratiche infami siano compiute dai “nemici”. Mai che si chieda di intervenire contro l’Arabia Saudita, il Watar o la Turchia (un membro della Nato, figuriamoci). In compenso, per esempio, il Corriere della sera trova importante concedere mezza pagina a Emma Bonino, che da un albergo di Gaziantep (Turchia, la città-casello dell'”autostrada della jihad” che porta all’Isis e Al Qaeda in Siraq), motteggia su “Le torture di Assad che Roma non vuol vedere”. Come se invece le vedesse in Egitto, Turchia o addirittura nelle camere di sicurezza dei nosrani commissariati e stazioni dei carabinieri. Sarà bene ricordare che in Italia, per resistenza esplicita e minacciosa delle varie polizie, non si riesce neppure a indicare la tortura come un reato… Segno che si tratta di pratica quotidiana, non di eccezione saltuaria.

Ma la pratica della disinformazione in tempi di guerra è antica quanto l’umanità. E rappresenta il segno più ceto che una guerra è già in corso, anche se non viene dichiarata ufficialmente. Lo spiega nel modo migliore non un comunista militante, un trinariciuto filo-Putin, ma addirittura il vice direttore di Famiglia Cristiana!

Qui di seguito il suo ultimo articolo, sull’assedio di Aleppo.

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Assedio. Su Aleppo la fabbrica delle balle

 

L’assedio di Aleppo. Forse non lo sapevate ma in questi ultimi giorni, e solo in questi ultimi giorni, il mondo delle persone perbene, di coloro che hanno a cuore la libertà, è angosciato dall’assedio di Aleppo. Il che è un po’ curioso, perché Aleppo è sotto assedio da tre anni e mezzo. Guardate la cartina qui pubblicata: raffigura la situazione di Aleppo dal 2012 fino a un mese fa. Com’è facile notare, il verde circonda su tre lati il rosso. E il verde erano le forze dei ribelli. Che quindi per tre anni e mezzo hanno stretto la città in una morsa aperto solo verso Sud. Un assedio quasi perfetto.

 

Come hanno vissuto i siriani di Aleppo, quelli rimasti nei quartieri controllati dal Governo e dalle truppe di Assad? Le testimonianze non mancano. Bombe sulle scuole e sugli ospedali. Missili sui palazzi. Niente acqua. Niente elettricità. Pochissimo carburante, e a carissimo prezzo, per riscaldare le case d’inverno. Un sacco di morti civili, perché i missili cadevano dove cadevano. Insomma, le cose che succedono durante un assedio. Quando, nel 2014, lanciò l’appello “Salviamo Aleppo”, la Comunità di Sant’Egidio scrisse cose come questa: “La gente non può uscire dalla città accerchiata dall’opposizione, tra cui fondamentalisti intransigenti e sanguinari”. Oppure: “ C’è l’orribile ricatto dell’acqua che i gruppi jihadisti tolgono alla città. È una guerra terribile e la morte viene da ogni parte. Passando per tunnel sotterranei, si fanno esplodere  palazzi “nemici” “. E lo diceva Sant’Egidio, che non aveva mai lesinato le critiche anche verso Assad. Insomma, pochi dubbi: era un assedio.

Assedio o non assedio?

di Fulvio Scaglione

Riascoltiamo che cosa ha raccontato a Repubblica padre Rodrigo Miranda, cileno, missionario del Verbo Incarnato, parroco ad ALeppo dal 2011 al 2015: “”Era mezzogiorno, l’ora di punta, quando sono caduti i tre missili. L’università era piena e molte persone erano in strada. Quando è caduto il primo missile ho iniziato ad aiutare le persone che avevo davanti a me. Poi mentre stavo correndo verso l’università per aiutare gli altri, ho visto il secondo missile che arrivava. Ho cercato di rifugiarmi tra un muro e alcune auto. Ho sentito un rumore, uno strano silenzio, e poi il disastro. È stato un massacro”. Morirono centinaia di giovani, colpiti dai missili dei ribelli. Come spesso avviene quando si è sotto assedio.

Altre testimonianze, di quelle con nome e cognome e la foto, non quelle anonime (“mi dice il taxista”) che vanno di moda nei giornali, le ho raccolte per Famiglia Cristiana in un recente viaggio in Siria. Gli uomini e le donne morte perché colpite dai missili mentre andavano a raccogliere un po’ d’acqua dai camioncini che girano per distribuirla. La bomba, per fortuna inesplosa, sulla parrocchia mentre vengono celebrate le prime comunioni. I rapimenti. I cecchini. I morti. I feriti. Fino all’ultima voce, quella di fra Ibrahim Faltas, francescano, che si trova ad Aleppo il giorno in cui il quartiere cristiano è colpito da cinque missili a cui è agganciata una bombola di gas Gpl, per aumentare la forza esplosiva. Che dire? È un assedio.

A Natale fra Ibrahim Sabbagh, parroco della chiesa di San Francesco ad Aleppo, ancora mi diceva: “In pochi giorni sul solo quartiere di Khalidiya gli islamisti hanno sparato più di 500 razzi. Ci sono stati morti, feriti, case distrutte. Da trentacinque giorni siamo senz’acqua, l’elettricità va e viene, manca il riscaldamento. E quest’anno il freddo è arrivato anche prima del solito. Ero qui anche a Natale dell’anno scorso e devo ammettere che vedo crescere nei cuori l’amarezza, e la sofferenza farsi più profonda». Ma nessuno parlava di assedio.

E avanti così per tre anni e mezzo. Nel silenzio delle Merkel, dei Kerry e della quasi totalità dei politici di presunta buona volontà. E i profughi? È una pagina terribile, le colonne di gente disperata che muove verso la Turchia straziano l’anima. Ma non è una pagina inedita: dei 2 milioni di abitanti che aveva Aleppo prima della guerra, almeno la metà se n’è andata. Molti di loro verso Sud, verso Damasco, e magari di lì in Libano nella speranza di scappare poi anche più lontano, il più lontano possibile. Ma quei profughi, a quanto pare, colpivano meno, non facevano parlare di emergenza umanitaria come avviene adesso. D’altra parte, mica era un assedio, allora, quello di Aleppo.

I profughi di adesso scappano verso un confine, quello con la Turchia, che è improvvisamente diventato impenetrabile, a meno che l’Europa non molli altri miliardi a Erdogan e soci. Ma è impenetrabile solo per i profughi. Perché gli islamisti in fuga davanti a siriani, Hezbollah, iraniani e curdi, possono attraversarlo senza problemi. Così come per anni l’hanno attraversato in senso inverso i foreign fighters e i rifornimenti per i jihadisti che stringevano in una morsa Aleppo. Ma già, quello non era un assedio.

da http://www.fulvioscaglione.com/

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