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Elezioni spagnole, rischio stallo. Al voto un paese in ginocchio

Trentasei milioni e mezzo di elettori sono chiamati di nuovo oggi alle urne, dopo che il Parlamento eletto il 20 dicembre del 2015, rivoluzionato dalla prepotente irruzione di due nuove forze politiche – Podemos e Ciudadanos – non è riuscito a formare una maggioranza di governo. Il rischio concreto è che la stessa situazione di stallo e di ingovernabilità si riproponga di nuovo oggi.

Il Partito Popolare (Pp) del premier di destra uscente Mariano Rajoy ha vinto le precedenti legislative con il 28,72% (il 44,63% nel 2011), perdendo però la maggioranza assoluta, e per questo scrutinio è dato comunque favorito, sempre ad un passo dal 30%. Il Partito Socialista (Psoe) a dicembre aveva registrato il peggiore risultato della sua storia, pur rimanendo la seconda forza politica del Paese, con il 22% dei voti (28,76% nel 2011) tallonato da Podemos in coalizione con alcune liste regionali associate (20.66%) mentre Ciudadanos si era affermato con il 13,93%.

Nonostante la coalizione tra Podemos e Izquierda Unida (e altre nove formazioni politiche statali e regionali), la mappa del nuovo parlamento non dovrebbe essere molto dissimile da quella delle Cortes sciolte qualche settimana fa, anche se i sondaggi prevedono un aumento del peso dei viola-rossi di Pablo Iglesias e Alberto Garzon. Tutta l’attenzione è puntata sul possibile sorpasso dei ‘morados’ nei confronti dei socialisti guidati da Pedro Sanchez, oltre che sull’effetto dello scandalo che ha coinvolto il ministro degli Interni del governo tuttora in carica e che potrebbe spostare voti dal Partito Popolare a Ciudadanos.

Ma a detta di tutti gli analisti – sempre che i sondaggi delle ultime settimane vengano confermati, e non è affatto detto visto il previsto aumento dell’astensione e il numero elevato di indecisi – una nuova impasse è dietro l’angolo. Se Podemos insiste nel chiedere ai socialisti di formare una coalizione di governo ‘per il cambiamento’, Sanchez, e i baroni locali del Psoe soprattutto, continuano a preferire un’ipotesi di governo che comprenda anche la nuova destra di Ciudadanos. Il partito di Albert Rivera, dato intorno al 12-14%, ha un programma e un’identità politica assai più simili a quelle de socialisti: centralista, liberista, attento ai ‘diritti civili’ ma fedelissimo all’Unione Europea e ai suo diktat.

Come negli ultimi sei mesi, gli ambienti dominanti dell’Unione Europea esercitano forti pressioni sui socialisti affinché un governo, dopo il voto di oggi, nasca a qualsiasi costo, per applicare piani draconiani troppo a lungo rimandati. L’ipotesi favorita a Bruxelles e Francoforte sembra quella di un governo di ‘unità nazionale’ tra socialisti e popolari, e se poi alla grande ammucchiata si aggiungesse anche Ciudadanos sarebbe ancora meglio per chi persegue la stabilità dell’austerity, delle privatizzazioni e del dogma del ripianamento del debito.

Ad andare alle urne oggi è un paese letteralmente in ginocchio, al di là dei dati sulla cosiddetta ‘ripresa’ snocciolati negli ultimi mesi dal capo del governo più autoritario e antipopolare che Madrid abbia subito negli ultimi decenni.

Il premier uscente insiste sull’efficacia delle sue politiche e promette di abbassare le tasse dopo anni di tagli allo stato sociale, ai salari e alle pensioni. E questo nonostante lo scontro con Bruxelles sul deficit pubblico arrivato al 5,1% e il debito ampiamente oltre il 100% del Pil. «Per la prima volta dal 2010 i disoccupati sono meno di quattro milioni. Il percorso che abbiamo scelto è quello giusto. Continuiamo così», ha ripetuto il leader della destra come un mantra.

Ma quattro milioni di disoccupati sono un numero altissimo, ai quali occorre aggiungere centinaia di migliaia di giovani che sono dovuti emigrare all’estero in cerca di un’occupazione.

Il tasso di disoccupazione resta altissimo, intorno al 21%, e in buona parte si tratta di disoccupazione a lungo termine. Un problema che del resto affligge tutti i paesi commissariati dalla Troika negli ultimi anni, ed altri dell’Europa orientale in cui l’ingresso nell’Unione Europea ha rappresentato un vero e proprio tsunami economico-sociale.

Sono le stesse fonti del governo di Madrid a descrivere l’entità dell’espulsione dal mondo del lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori, soprattutto dall’amministrazione pubblica. La cura di dimagrimento imposta dal governo del Pp ha ad esempio ridotto del 6,20% il numero dei dipendenti pubblici in soli quattro anni. I lavoratori dei diversi enti pubblici erano, al primo gennaio di quest’anno, 2.519.280, precisa l’ultimo Bollettino Statistico del Personale, 166.557 in meno rispetto al primo gennaio del 2012.

Il 51,39% dei dipendenti pubblici lavora attualmente nelle Comunità Autonome, le regioni, il 21,79% per gli enti locali, il 20,95% per l’amministrazione centrale e il 5,87% nelle università. Il calo maggiore (9,29%) è stato registrato dall’amministrazione dello stato, seguita da enti locali (8,08%), università (4,59%) e regioni (4,23%). I piani dell’Unione Europea prevedono per i prossimi anni un ulteriore dimagrimento dell’amministrazione pubblica, in particolare delle Comunità Autonome, e quindi la disoccupazione è destinata ad aumentare, non certo a diminuire. Per non parlare del fatto che l’economia spagnola, che dovrebbe crescere del 2,6% anche quest’anno, ha iniziato a rallentare dopo il recupero dell’anno scorso (da valutare comunque in maniera relativa dopo i ripetuti tonfi del Pil del periodo 2009-2014).

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1 Commento


  • Francisco

    Aspetterei stasera e vedere se i voti Izquierda Unida saranno sufficienti a Podemos Unidos per governare da soli… nel qual caso i mal di pancia verranno a un sacco di gente, non solo ai governi UE.

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