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Turchia, suicida insegnante licenziato. Nel mirino altri 15 mila ‘filo Pkk’

I responsabili del fallito golpe del 15 luglio scorso in Turchia saranno processati in modo "equo e trasparente" e seguendo le linee guida della Convenzione europea per i diritti umani: lo ha affermato il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, in visita a Strasburgo dove ha incontrato il Segretario generale del Consiglio d'Europa, Thorbjoern Jagland. "Non abbiamo mai dimenticato i nostri impegni nei confronti del Consiglio d'Europa, anche in questo periodo così difficile per il popolo turco, non abbiano dimenticato che lo stato di diritto va rispettato", ha spiegato Cavusoglu ribadendo però che "tutti devono finire sotto processo, anche quelli che hanno cercato di assassinare il presidente" Recep Tayyip Erdogan.

La verità è che approfittando della legittimazione concessa dal maldestro tentativo di alcuni settori delle forze armate, probabilmente mal consigliati da Washington, il regime turco sta portando avanti da mesi una gigantesca opera di ripulitura degli apparati statali e dell’amministrazione pubblica da ogni elemento indesiderato. Finora sono state più di centomila le persone a finire nel mirino del ‘sultano’. Chi non finisce in galera o sotto processo perde il lavoro, o il passaporto.

E’ di queste ore la notizia che un insegnante licenziato in Turchia nell’ambito delle purghe condotte dal regime contro i presunti appartenenti alla rete capeggiata da Fethullah Gulen si è suicidato nella provincia nordoccidentale di Bilecik. Il 50enne Mustafa Guneyler era tra i 28.163 docenti cacciati venerdì scorso con un nuovo decreto emesso nell’ambito dello stato d'emergenza dichiarato subito dopo il fallito golpe di luglio.

Nei giorni scorsi il governo islamo-nazionalista ha emesso altri 150 mandati d'arresto nei confronti di altrettanti insegnanti accusati di aver usato un'applicazione di messaggistica criptata utilizzata, almeno questa è l’accusa del regime, dai simpatizzanti dell'imam riparato negli Stati Uniti. Circa 400 agenti di polizia hanno realizzato una maxi retata nella città di Kayseri, nel centro dell'Anatolia, volta ad arrestare 147 insegnanti accusati di usare la app ByLock. I docenti, già sospesi dal servizio in seguito al golpe prima di finire in manette, sono ora accusati di "violazione della Costituzione", "tentativo di rovesciare il governo turco" e "appartenenza a organizzazione terroristica armata".

Ma il regime, se finora ha preso di mira soprattutto la rete islamica e conservatrice legata alla confraternita Hizmet – fino a pochi anni fa sostenitrice di Erdogan e del partito al governo Akp – ha promesso di abbassare la sua scure anche sugli ambienti considerati vicini alle sinistre e a quelli che vengono definiti i ‘separatisti filo-Pkk’. Ad annunciarlo è stato il premier, Binali Yildirim, nel corso di una visita a Diyarbakir (la maggiore città curda, nel sud est della Turchia) secondo cui i servizi di intelligence avrebbero individuato ben 14 mila docenti vicini ai ribelli del Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Prima dell’inizio dell’anno scolastico, ha promesso Yildirim, gli insegnanti legati all’organizzazione ‘terrorista’ verranno espulsi e in alcuni casi arrestati.

Recentemente la magistratura turca ha anche deciso che la nota romanziera Asli Erdogan, imprigionata in agosto per aver pubblicato alcuni articoli su un giornale vicino al movimento curdo, dovrà restare in carcere in attesa di giudizio. La scrittrice, impegnata sul fronte della difesa della minoranze, era stata arrestata il 16 agosto scorso insieme ad una ventina di giornalisti.

La repressione nei confronti dei giornalisti ha contraddistinto l’operato di Erdogan ben da prima del fallito colpo di stato dello scorso luglio. Oltre ai circa 110 giornalisti e fotoreporter detenuti, stimati dall’osservatorio per la libertà di stampa P24 (altre fonti elevano il numero a 135), il regime ha revocato gli accrediti stampa ad altri 115 lavoratori dell’informazione, ovviamente tutti accusati di servire la causa di Gulen. In totale dal 15 luglio sono stati ben 620 gli accrediti stampa revocati dal governo; senza il documento in Turchia non è possibile svolgere legalmente la professione giornalistica.

La Turchia vive in questi giorni un giro di vite culturale e un clima di repressione politica senza precedenti. Il regime ha diffuso nei giorni scorsi addirittura una lista di proscrizione che proibisce la messa in scena nei teatri del paese delle opere dei maggiori esponenti della drammaturgia mondiale, da Shakespeare a Checkov, da Brecht a Dario Fo. Le rappresentazioni già in programma sono state cancellate d’autorità dalla Direzione delle imprese nazionali di teatro, che dipende dall’esecutivo. Da questo momento, ha promesso il regime, solo opere turche o comunque di autori che contribuiscono a preservare ‘l’integrità e l’unità della patria rafforzando i sentimenti nazionali’. Negli ultimi mesi decine di direttori, registi, attori, musicisti sono stati licenziati ed espulsi dalle istituzioni culturali pubbliche. Per non parlare di scuole e università: dopo il golpe 1577 tra rettori di facoltà e dirigenti accademici sono stati sostituiti da esponenti fedeli al regime; la stessa fine hanno fatto anche 4200 professori universitari “fuori linea”, compresi quelli che a gennaio avevano firmato una petizione che chiedeva la fine della repressione e dei bombardamenti dell’esercito di Ankara contro le città e i villaggi della regione curda.

Sulla Turchia è davvero calata una pesante cortina di oscurantismo reazionario e nazionalista.

 

Marco Santopadre

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