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Merkel affonda a Berlino, cresce l’Afd e risorge la Linke

Il voto di Berlino – città che fa “Stato” a sé, nella Repubblica Federale Tedesca – conferma la forte polarizzazione dell'elettorato davanti al procedere della crisi. E conferma dunque il rapido disfacimento delle Volksparteien, i partiti di massa tradizionali e centristi – Cdu e Spd – che avevano governato la capitale con la stessa formula adottata a livello nazionale: la grösse koalition.

Entrambi hanno perso tra i cinque e i sei punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti, che sommati determinano l'impossibilità di proseguire l'esperienza centrista. E si tratta di un risultato maturato su un massiccio aumento dell'affluenza al voto (dal 60 a oltre il 67%), in controtendenza rispetto al resto d'Europa e quindi non spiegabile col “rifiuto della politica”.

Il partito di Angela Merkel crolla al 17,6%, il peggior risultato mai registrato in città, ed evita per un soffio di ripetere il dramma vissuto qualche settimana fa in Meclemburgo, dove era stato scavalcato dall'Afd, partito nazionalista ed euroscettico che ha fatto il pieno sfruttando la paura dell'immigrazione. Il travaso tra le due formazioni non poteva essere più chiaro, guardando ai quartieri dell'ex Berlino Est, che hanno premiato per un verso i populisti di destra che la rediviva Linke – formazione nata dalla fusione tra l'ex sinistra Spd guidata da Oskar Lafontaine e l'ex Sed tedesco orientale. Nella parte occidentale, invece, il tracollo favorisce il reingresso dei liberali nel parlamentino cittadino, di nuovo oltre la soglia minima del 5%.
Per i socialdemocratici di Sigmar Gabriel il tracollo è anche maggiore – -6,7% – ma restano il primo partito, sia pure grandemente ridimensionati, al 21,6%. Più lievi le perdite per i Verdi, che scendono al 15,2%, superati di slancio dagli “ultrasinistri” (per il moderatismo germanico) della Linke, che raggiunge inaspettatamente il 15,6% (quasi il 4% in più), recependo quuasi integralmente – tenuto conto della maggiore affluenza al voto – le perdite dei socialdemocratici.

Al momento, l'ipotesi di governo locale matematicamente possibile è la formazione di una coalizione rosa-verde-rossa, tra Spd, Verdi e Linke. Ma è chiaro che il tracollo dell'Spd ne indebolisce il potere di ricatto, e quindi una coalizione del genere potrebbe nascere solo attraverso l'adozione di punti programmatici “radicali” – sostenuti, su temi diversi, da Verdi e Linke – che l'Spd nazionale considera una bestemmia.

Il pessimo risultato della Cdu indebolisce ancora di più Angela Merkel all'interno del suo stesso partito, visto che si tratta della quinta sconfitta elettorale consecutiva nel corso del 2016.

La polarizzazione elettorale segue quasi linearmente le rime di frattura del malessere sociale, con la destra ossessivamente concentrata sul tema dell'immigrazione e Die Linke che raccoglie la protesta per i salari congelati da oltre un decennio, la precarietà dilagante (grazie alle “leggi Hartz” varate a inizio secolo dal “socialdemocratico” Gerhard Schroeder, poi diventate un format da imporre a tutti i paesi tramite l'Unione Europea) e la storica identità di sinistra della capitale tedesca.

Non è insomma affatto vero che la crisi “spinga a destra”. La crisi disgrega la società e i suoi equilibri, lungo linee che sono molto materiali (redditi, prospettive occupazionali, welfare, servizi, ecc) e niente affatto ideologiche. Su queste linee si innestano certamente diverse ed opposte soluzioni politiche, anche di “governo”. E là dove c'è una sinistra socialmente e politicamente attiva, persino relativamente moderata come Die Linke, si forma un argine importante.

Quello stesso argine che, in Italia, si è voluto distruggere sposando sempre la scelta del “meno peggio”, del “accettiamo tutto pur di non far vincere la destra”. Fino a non avere più uno straccio qualsiasi di rappresentanza.

 

 

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