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Obama e Stoltenberg: falchi con le penne di colomba?

Difficile non credere che le ultimissime dichiarazioni di Barack Obama a proposito dei problemi causati dagli interventi militari USA in giro per il mondo portino essenzialmente obiettivi elettorali. La sempre meno marcata distanza, nei sondaggi, tra Hillary Clinton e Donald Trump, a favore di quest'ultimo, potrebbe aver suggerito agli opinion makers yankee di stemperare almeno a parole, con una mezza voce “pacifista” di Obama, le linee apertamente guerrafondaie e interventiste della Clinton.

Fatto sta che il presidente in carica ha dichiarato al canale HBO che gli interventi militari USA possono a volte volgere al meglio una data situazione, ma causano spesso grossi problemi. Secondo Obama, l'intervento militare è necessario per difendere i cittadini  (leggi: interessi imperiali) USA da organizzazioni quali Al-Qaeda o Stato Islamico; ma se si parla del “mantenimento delle basi dell'ordine mondiale, allora è importante puntare sulle alleanze e lavorare sull'arena internazionale”. Curioso, che appena due giorni fa, l'ex segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, avesse dichiarato a Sky News che gli USA dovrebbero intervenire maggiormente nei conflitti internazionali, dato che “il presidente Obama ha usato troppo di controvoglia la forza militare o la minaccia del suo impiego”; al contrario, il mondo ha bisogno degli USA quale “gendarme mondiale” e il prossimo presidente USA, a parere di Rasmussen, non avrà altra scelta che quella di intervenire nei conflitti internazionali.

D'altra parte, l'attuale segretario Nato, Jens Stoltenberg, ha dichiarato di non vedere “minacce dirette nei confronti di qualsivoglia stato membro della Nato”, anche se, poi, ha sottolineato la “crescente presenza russa” nella regione. La Tass rileva come, appena a inizio settembre, intervenendo a Tbilisi alla conferenza internazionale “I cambiamenti nel panorama europeo dopo il vertice di Varsavia”, Stoltenberg avesse rilasciato dichiarazioni diametralmente opposte, affermando che “la ragione del dispiegamento di quattro battaglioni Nato in Polonia e nei Paesi baltici sta nel fatto che noi vediamo le tendenze belliche della Russia, la sua volontà di usare la forza contro i suoi vicini ". Ancor prima del vertice Nato di luglio a Varsavia, Stoltenberg aveva determinato la linea d'azione della Nato nei confronti di Mosca come “forte difesa e dialogo costruttivo”. Confermando di voler mantenere rapporti normali con la Russia, Stoltenberg aveva detto al tempo stesso che la politica estera di Mosca, soprattutto in Europa, incute forti apprensioni, con “l'usare il suo crescente potenziale militare per minacciare i vicini, modificare le frontiere e destabilizzare l'Ucraina. Perciò la Nato basa i rapporti con la Russia sul principio: forte difesa e dialogo costruttivo”, che si estrinseca nel “rafforzamento del fianco orientale della Nato” e l'invio in Europa di un contingente militare aggiuntivo USA. Al vertice di Varsavia, poi, la Nato aveva messo tra le  insidie contro i “nostri valori comuni”, soprattutto “l'attività militare unilaterale della Russia in Ucraina e alle sue frontiere, che mina la pace, la sicurezza e la stabilità in tutta la regione” e aveva sintetizzato l'approccio con Mosca nello slogan “Russia in 3D”: dialogo, difesa, deterrenza”.

Ma le agenzie russe evidenziano oggi, insieme alla “svolta” di Obama e Stoltenberg, la presa di posizione del presidente bulgaro Rosen Plevneliev che, parlando alla BBC alla vigilia delle elezioni presidenziali (per cui non si ricandida) chiama a unirsi contro Mosca che, finanziando i movimenti populisti europei, la propaganda e gli attacchi informatici, mira a dividere l'Europa e privarla della sua indipendenza. Plevneliev ha detto anche di sperare che la UE, nei confronti del Cremlino, sappia assumere una posizione dura come quella della Nato e ha additato Mosca quale colpevole degli attacchi informatici che hanno colpito la Bulgaria (lo scorso anno), il Bundestag tedesco, il server del quartier generale Nato e che, a suo dire, colpiranno gli USA in occasione del voto di martedì prossimo. Il presidente bulgaro non crede che l'Europa sia tornata alla guerra fredda, bensì che sia coinvolta in un "pericoloso e imprevedibile" confronto, che egli definisce come "pace fredda". Oggi “l'obiettivo di oggi Putin in Europa non è quello di scatenare una guerra su vasta scala, ma di rendere i paesi europei dipendenti dal Cremlino” e “Mosca cerca di indebolire l'Europa e di dividerla”, ha detto Plevneliev. Appena pochi mesi fa, la leadership di Sofia, con in testa Rosen Plevneliev e il primo ministro Bojko Borisov, era sembrata volersi smarcare dai piani sulla nuova flottiglia Nato nel mar Nero, pur se nessuno aveva creduto a una reale volontà bulgara di disobbedire agli ordini di Washington e di Bruxelles.

A ogni buon conto, per controbilanciare ogni possibile sortita “pacifista”, da chiunque provenga, il vice presidente USA Joe Biden – che, a differenza di Obama, è in piena corsa per una nuova poltrona a fianco della potenziale vincitrice Hillary Clinton – è tornato ad attaccare Mosca, cogliendo l'occasione della ratifica da parte della Duma dell'accordo tra Mosca e Sukhumi sulla creazione di un “raggruppamento militare comune russo-abkhazo, per respingere attacchi armati e altre minacce di pericolo bellico contro ognuna delle parti”. Gli USA non possono accettare tale accordo, ha detto Biden in un colloquio telefonico col premier georgiano, Georgij Kvirikašvili, dato che Washington riconosce la sovranità e l'integrità territoriale della Georgia e considera l'Abkhazia come parte integrante di essa.

D'altronde, se Biden è di casa tanto a Kiev quanto a Tbilisi, non poteva farsi sfuggire l'occasione per ribadire quali siano i reali rapporti tra Washington e Mosca.

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