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La Turchia vuol fare da sola. I curdi sono la vittima sacrificale

Dopo aver abilmente saputo prevenire e ribaltare a proprio favore il maldestro golpe tentato il 15 luglio da alcuni settori militari, Erdogan ha impresso al regime autoritario turco un’ennesima e sostanziale trasformazione. Ormai quella turca è una dittatura in piena regola. Dopo aver incarcerato e licenziato, grazie ad un contro-golpe feroce ed infinito, centinaia di migliaia tra militari e poliziotti, dipendenti pubblici e avvocati, magistrati e giornalisti, docenti universitari e professori di scuola, il regime è passato al fronte istituzionale.
Il contro-golpe è diventato, come era prevedibile, un vero e proprio golpe realizzato dal regime stesso.

E’ vero, per ora formalmente la Turchia rimane una repubblica pluripartitica, con un parlamento eletto dai cittadini. Ma l’arresto dei due portavoce e di una consistente pattuglia di deputati dell’ormai unica forza di opposizione di massa presente nel paese, il Partito Democratico dei Popoli, costituisce un salto di qualità irreversibile reso possibile grazie alla rimozione dell’immunità parlamentare varata dal docile parlamento di Ankara ancor prima che la proclamazione dello stato d’emergenza concedesse ad Erdogan un potere assoluto.

L’operazione di giovedì notte contro la direzione dell’Hdp, se ce ne fosse bisogno, rappresenta anche un inequivocabile segnale di avvertimento nei confronti della già timidissima opposizione kemalista, mentre il regime ha già abbondantemente comprato e cooptato l’estrema destra nazionalista degli ex Lupi Grigi.

Difficile dire se il colpo inferto da Erdogan all’opposizione di sinistra e curda debba essere letto come il risultato di un sostanziale via libera ricevuto da parte di Stati Uniti e Russia – che d’altronde hanno già abbondantemente mollato i propri ex alleati curdi finora utilizzati contro i jihadisti in Siria – o se invece non costituisca una ulteriore provocazione nei confronti di due potenze che il ‘sultano’ continua a sperare di poter piegare alla sua volontà sfruttando la posizione della Turchia nello scenario regionale.

Una ambizione, del resto, che per ora sembra trovare ampio spazio. Gli Stati Uniti, dopo la imbarazzante tolleranza dimostrata nei confronti dei golpisti, da mesi sono costretti a rincorrere la “politica del fatto compiuto” intrapresa da Ankara – l’invasione della Siria prima e dell’Iraq poi – tentando di frenare e governare le provocazioni erdoganiane senza mai contrastarle davvero. Temono che una rottura con Erdogan porti il paese fuori dalla Nato, perdendo così una postazione fondamentale in Medio Oriente insieme alle sue 23 basi militari e alle rampe di lancio delle sue armi nucleari tattiche.

La Russia, dopo una crisi politico-diplomatica che rischiava di sfociare in una contrapposizione anche militare, ha scelto di mettere da parte l’inimicizia con Ankara in cambio di uno strategico accordo energetico.

Da parte sua l’Unione Europea “campione dei diritti umani” bacchetta la Turchia senza però mettere in campo alcuna concreta sanzione nei confronti del regime islamo-nazionalista dell’Akp, temendo di perdere in Medio Oriente una sponda utile quanto impresentabile.

Alleanze momentanee, a geometria variabile, strumentali, che potrebbero cambiare in poche settimane. Ma che per ora stanno costando molto care al popolo turco e soprattutto a quei settori della popolazione che non si piegano ai progetti imperiali di Erdogan.

Che prevedono un’attiva e spericolata messa in discussione dei confini definiti dalla ripartizione coloniale, operata col Trattato di Sevres del 1920 da Gran Bretagna e Francia – le grandi potenze coloniali di allora – del territorio dell’Impero Ottomano uscito sconfitto dalla Prima Guerra Mondiale, in nome di un progetto neo-ottomano che l’ex sindaco di Istanbul non ha mai accantonato.

L’Occidente che a lungo ha assistito tollerante e compiaciuto al sostegno accordato ai jihadisti da parte del regime turco – salvo poi accorgersi che lo Stato Islamico era ben più di un utile ma docile strumento da utilizzare per stabilizzare regimi avversi come quello siriano o iraniano – contempla ora la svolta di Erdogan sperando che questa non leda ulteriormente le proprie mire sul Medio Oriente. Ma la Turchia è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.

C’è da giurare che dopo la decapitazione dell’Hdp – partito che riunisce i movimenti curdi ma anche buona parte della sinistra radicale e antagonista turca – Ankara intensificherà la già sanguinosissima guerra condotta contro la popolazione curda nel sud-est del paese, e che la guerriglia del Pkk non potrà fare altro che rispondere con la stessa moneta. 

Altro sangue verrà sparso, altro caos verrà seminato, altre sofferenze verranno inflitte ai popoli del Medio Oriente.

 

 

Marco Santopadre

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