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Bilbao si riempie di solidarietà: “prigionieri a casa”

A distanza di poco più di un anno dalla precedente, ieri le strade di Bilbao si sono riempite di nuovo in occasione della manifestazione chiamata da Sare, rete cittadina che dal 2014 porta avanti in tutti i Paesi Baschi campagne a favore dei diritti di prigioniere e prigionieri politici, rifugiati e deportati baschi, oltre che iniziative di appoggio al cosiddetto “processo di pace”.

“Diritti umani, risoluzione e pace. Prigionieri politici baschi in Euskal Herria”: così si apriva il corteo, con uno striscione retto da varie personalità e volti noti della società basca, e a seguire alcuni dei furgoncini di Mirentxin Gidariak, guidati da volontari che ogni fine settimana accompagnano familiari e amici dei prigionieri in visita nelle varie carceri. Circa 80.000 persone, secondo il quotidiano Gara, sono scese in strada con il dito alzato simbolo della campagna “Salatzen dut/Yo denuncio/J’accuse”, che si concentra principalmente sulla situazione dei prigionieri con gravi malattie detenuti nonostante la legge preveda il contrario.

“La società basca esige il rispetto dei diritti dei prigionieri e delle prigioniere basche; esige nuovi passi verso la risoluzione del conflitto, e che una volta per tutte si arrivi a una pace giusta e definitiva, dove la politica basata sulla logica dei vincitori e dei vinti ceda il posto a un’altra politica, basata sulla convivenza e il rispetto”, hanno letto due giornalisti dell’emittente pubblica ETB. “Parliamo di diritti. Vogliamo porre fine alle violenze conseguenti all’applicazione del diritto penale e penitenziario del nemico, che è un non-diritto.”  dimostrazione di come il conflitto politico perduri, e che lo stato centrale continui a stare sul piede di guerra nonostante la cessazione della lotta armata di ETA nell’ottobre 2011, continuano ad essere rinchiusi in più di 135 istituti penitenziari diversi, principalmente in Francia e Spagna, 349 prigionieri (più 3 ai domiciliari), di cui 22 con malattie gravi, a una media di 500 km da casa, subendo trattamenti al di fuori di qualsiasi stato democratico di diritto, dopo essere stati giudicati secondo una legislazione penale molto più vicina a quella di un contesto bellico piuttosto che a quella di un paese democratico.

L’amplissima ed eterogenea partecipazione sociale è sicuramente il dato principale, che non accenna a desistere a partire dalla prima mobilitazione del 2012. Nessuna bandiera si agitava tra le teste della gente, se non quelle internazionaliste dei vari gruppi di Euskal Herriko Lagunak (“Amici del paese basco”), che in tutta Europa solidarizzano e appoggiano la causa basca. Questo non significa l’assenza di adesioni dal mondo politico e sindacale: hanno partecipato esponenti del gruppo parlamentare nel parlamento di Gasteiz-Vitoria di EHBildu e i principali sindacati ELA e LAB, erano presenti rappresentanti catalani della CUP e di ERC, e di moltissime altre associazioni e gruppi, baschi e non. Le dichiarazioni della sezione basca di Podemos dei giorni scorsi hanno indotto una certa perplessità, in quanto la deputata e segretaria Nagua Alba ha sottolineato come, nonostante fosse a favore della difesa dei diritti umani e avrebbe partecipato a titolo personale, non esistevano le condizioni affinché il partito potesse aderire ufficialmente a causa della non totale condivisione di alcuni contenuti, insistendo ancora una volta sull’esigenza che i prigionieri stessi riconoscano il danno causato.  Nemmeno il governo del Partito Nazionalista Basco ha inviato una delegazione, motivando la presa di posizione con la non ufficialità della marcia, nonostante il suo portavoce al parlamento basco abbia espresso, in maniera estremamente cauta, la volontà di promuovere iniziative concrete per l’avvicinamento dei prigionieri alla loro casa.

In una recente intervista rilasciata al quotidiano Gara da due portavoce di Sare, viene ribadito che l’obbiettivo sia il maggior ampliamento possibile, al di là delle sigle e delle ideologie, dell’appoggio rispetto ai tre pilastri attorno a cui ruota tutta l’azione della piattaforma: diritti umani, risoluzione e pace. Pilastri che devono essere il minimo comune denominatore tra tutte le forze politiche, nonostante se ne possano a priori escludere alcune, come quel Partido Popular che fa dire al suo dirigente che il proposito della dispersione penitenziaria sia non tanto quello di allontanare quanto quello di impedire che più prigionieri si trovino dietro le stesse sbarre. L’associazione spinge infatti per la redazione di un documento per arrivare a un accordo ampio per lo meno in seno al parlamento basco, incoraggiati anche dal potenziale e dalla visibilità che possono arrivare dalle istituzioni europee, dove nei giorni scorsi una delegazione dell’associazione Etxerat (“A casa”) ha incontrato alcuni esponenti e gruppi parlamentari, che si sono impegnati a portare avanti la discussione anche a livello europeo.

Uno spezzone più radicale della sinistra indipendentista critica questo atteggiamento remissivo, vede come una debolezza la scelta di concentrarsi da un punto di vista puramente umanitario sui diritti umani, senza porre al centro l’unica soluzione che sappia unire tutte queste questioni in un contesto preciso di lotta che dura da ormai cinquant’anni, e che presupponga il suo riconoscimento da parte dello stato centrale: l’amnistia. Anche per questo, sabato sera si è svolta sempre a Bilbao, una seconda manifestazione convocata dal gruppo Amnistia Ta Askatasuna (“Amnistia e libertà”), che si è mossa dalle strade della parte vecchia della città, alla quale hanno partecipato quasi un migliaio di persone, sempre con lo stesso grido: Presoak Kalera, Amnistia Osoa (“Prigionieri a casa, Amnistia per tutti”).

 

Da Bilbao, Clara Dal Pane

 

bilbo

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