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Lo Stato Islamico sconfitto anche nelle Filippine

“Signori e Signore, dichiaro ufficialmente che la città di Marawi è stata liberata dai terroristi dello Stato Islamico” ha annunciato il presidente filippino Duterte davanti alle truppe che hanno combattuto nell’isola meridionale di Mindanao.

Una lotta combattuta per cinque mesi, dal 23 Maggio scorso, quando i miliziani jihadisti hanno fatto il loro ingresso in città sventolando le bandiere nere dell’ISIS: una battaglia che ha causato oltre 1000 morti, 400mila sfollati e la distruzione quasi totale della principale città dell’isola.

La definitiva sconfitta dei miliziani è stata possibile grazie all’uccisione, nella notte  del 16, dei due leader ribelli Omar Maute, comandante dell’omonimo gruppo jihadista “Maute”, e soprattutto di Isnilon Hapilon leader incontrastato dell’organizzazione terroristica Abu Sayyaf, celebre per i numerosi attentati terroristici e per i rapimenti nei confronti anche di occidentali. Hapilon era iscritto nell’elenco dei terroristi internazionali più feroci ed era considerato da numerosi analisti come uno dei principali referenti della missione di Daesh (ISIS) per la creazione di  una nuova base operativa nel Sud-Est asiatico dopo le sconfitte nei territori del califfato in Iraq e Siria.

Una vittoria, quella del presidente Duterte che, però, mette in evidenza tutte le contraddizioni e le problematiche dello stato filippino. Se da un lato l’assedio di Marawi  ha contribuito ad aumentare il livello di collaborazione nella lotta all’estremismo jihadista tra le diverse intelligence indonesiane, malesi e filippine, in prima linea contro la progressiva ascesa  di  gruppi jihadisti nell’area,  dall’altra ha mostrato le carenze di tutto l’apparato militare  filippino ed il malcontento delle fasce più giovani della minoranza islamica del paese.

La principale ragione per cui l’esercito non ha avuto la meglio su un migliaio di terroristi è che non “aveva armamenti sufficienti e quelli di cui disponeva erano antiquati” secondo le parole del generale Padilla. Anche per questo motivo il presidente filippino ha progressivamente allentato i rapporti con lo storico alleato americano ed ha segnato un forte avvicinamento alla Cina. Duterte, infatti, è stato fortemente criticato dall’allora presidente degli USA, Barack Obama, per la violenta e sanguinosa lotta al narcotraffico che ha portato alla morte di oltre 10mila persone. La Cina, in cambio, ha stipulato in questi ultimi mesi numerosi accordi economici  ed ha fornito ingenti quantitativi di armamenti all’esercito di Manila proprio per avere la meglio sui miliziani dell’ISIS.

Bisognerà vedere quali saranno le prossime mosse del governo centrale filippino, visto che, durante il periodo di assedio, nello scorso luglio, il presidente aveva emanato la legge marziale in tutta l’isola di Mindanao fino alla fine del 2017. Decisione che ha spinto tutte le opposizioni politiche ad organizzare numerose manifestazioni per denunciare quello che ritengono essere un chiaro abuso di potere ed una palese forma di autoritarismo da parte del presidente. “La nostra principale preoccupazione” – hanno dichiarato numerosi esponenti politici – “è che queste azioni così arroganti ci riportino ai tempi della dittatura di  Marcos”.

Da parte sua Duterte ha promesso in parlamento di concedere la «Bangsamoro Basic Law», la legge che concede la possibilità di auto-governo alla popolazione musulmana del meridione ed ha promesso di riavviare i colloqui con il MILF (Moro Islamic Front) il cui intervento, a fianco delle truppe di Manila, è stato decisivo per la definitiva sconfitta delle milizie jihadiste. In questi ultimi anni la delusione del mancato accordo è stata utilizzata dai gruppi jihadisti per arruolare nuovi miliziani, grazie soprattutto alle nuove e cospicue risorse economiche provenienti dallo Stato Islamico dopo l’affiliazione dei gruppi all’Isis.

“La ricostruzione di Marawi” – come dichiarato da esponenti delle opposizioni di sinistra – “dovrà andare al di là dei lavori architettonici (in riferimento agli annunci  trionfali sulla ricostruzione da parte di Duterte, ndr) e dovrà puntare a ridurre le distanze sociali ed economiche per la popolazione del sud”.

 

Stefano Mauro

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