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Venditori di sabbia a buon mercato nel Sahel

Assieme al vento è quanto ci rimane; e non è poco, a pensarci bene. Ci siamo messi a vendere sabbia. Pura sabbia che cresce giusto sulle strade di Niamey e in tutto il Sahel delle carte geografiche dai colori da aggiornare.

Da noi c’è pericolo ed è sconsigliato visitare, il bollino delle ambasciate è rosso da anni. Eppure venite a vedere cosa succede della sabbia. Vi accorgerete che gli alberi rimasti non bastano per fermare il deserto e neppure i barbari.

I terroristi danno un sacco di lavoro ai militari e sono il pretesto per infinite raccolte di promesse di soldi, armi, eserciti e sistemi di controllo all’ultimo grido. Si nascondono nella sabbia e lì scavano gallerie per cercare sabbia ancora più fine da commerciare coi giornalisti, sempre più numerosi, di passaggio.

Il Niger neppure esisteva fino a qualche tempo fa. Con caparbietà è emerso dal nulla e, proprio grazie alla sabbia, ha trovato un posto di rilievo nel nuovo mappamondo dei grandi. Non illudetevi, perderete l’unica battaglia che conta, quella che pensavate di vincere con i droni e le agenzie umanitarie che di voi sono immagine e somiglianza. Dalla sabbia venite e alla sabbia tornerete, come tutti.

Una sabbia fine che viaggia col vento che si invita in ogni stagione dell’anno. I venditori di sabbia hanno incominciato dalle parole che, assediate di polvere, hanno finito per essere seppellite dalla dimenticanza. Parole buttate via, sequestrate, prese in ostaggio, rivendute e infine rese irriconoscibili dal grembo che le ha generate. La medesima sabbia che riempie la bocca e gli occhi di chi non ha più nulla da raccontare. Storie antiche di schiavi che liberano la sabbia che i piedi carezzano.

Da tempo commerciamo sabbia ai pochi turisti di passaggio e agli uffici che registrano i passeggeri dell’unico volo poi cancellato. Si nasconde tra le pagine timbrate dei passaporti della libera circolazione nel Sahel. Passa la dogana, i pedaggi, le barriere, le frontiere, i reticolati e le striscie pedonali incustodite. Cresce tra le rotaie dell’unico treno mai partito finora dalla stazione. La sabbia cammina con le scarpe dei migranti consumate nell’attesa dei clienti in cerca di emozioni tropicali. I primi a comprare la sabbia sono i politici che hanno vinto le prossime elezioni.

Esportiamo sabbia per i contrabbandieri del mercato, gli avventurieri umanitari e le polizie di stato. Ci sarete riconoscenti per aver trasformato in sacchi di sabbia le vostre frontiere a pagamento. Le uscite, munite di porte girevoli, saranno come le rotonde di arena con vista sul mare. Le vostre bandiere sono tenute assieme dalla sabbia e non parliamo dei vostri eserciti: finiranno con la polvere del deserto dopo una tempesta.

Noi portiamo la sabbia fin dove arriva l’orizzonte del mare e quando capita anche più in là, nell’isola del tesoro rubato dai pirati. Tracciamo sentieri di sabbia che durano quanto basta per passare da un muro all’altro senza fare rumore. Siamo fatti di sabbia e della nostra identità solo rimarranno alcuni volti che il vento porta lontano. L’ultimo regime al potere è tutto costruito sulla sabbia. Scriviamo storie di sabbia che durano un’ eternità e che leggeranno i nostri figli quando passeranno per tornare nelle case nel frattempo sparite. Persino nei cimiteri che avete costruito sulla pietra i vostri fiori sono di sabbia.

Costruiamo città di sabbia senza fondamenta e piano regolatore. Città mobili come dune che si spostano di notte con la luna piena. Chiese, moschee e giardini pubblici hanno in dotazione sedili di sabbia numerati. Le preghiere così come il dio a cui si rivolgono sono mescolate di sabbia. I pochi viaggi di nozze sono del tutto gratuiti con carrozze di sabbia tirate da dromedari affittati per l’occasione. Persino le stelle che guidano il cammino di giorno domandano alla sabbia la direzione da prendere.

 

 Niamey, Marzo 218

 

 

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