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Papa Francesco cambia passo. Via gli ecclesiastici che invece dei deboli difendono chi li opprime

Nel giro di poche settimane Papa Francesco ha ottenuto le dimissioni dell’intero episcopato cileno: 34 vescovi, 5 dei quali sono stati già rimossi per non aver seguito la linea della tolleranza zero riguardo agli abusi sessuali del clero; ha allontanato da Bogotà il nunzio apostolico Ettore Balestrero apertamente favorevole alla destra contigua alle formazioni paramilitari; e dimesso, senza le consuete proroghe concesse ai cardinali, l’arcivescovo di Caracas Urosa Savino, che aveva assunto il ruolo improprio, per un ecclesiastico, di leader morale dell’opposizione al chavismo e soprattutto denigrato pubblicamente il Venezuela con informazioni quanto meno parziali che hanno di fatto giustificato il blocco economico che lo sta mettendo a dura prova.

Papa Francesco che si appresta a canonizzare Paolo VI nel prossimo ottobre e ha già dichiarato santo Giovanni Paolo II non intende dunque subire, come accadde loro nella seconda metà degli anni ’70, una sistematica manipolazione delle informazioni da parte delle nunziature e degli episcopati locali al fine di addomesticare l’atteggiamento della Santa Sede davanti a fatti gravissimi ai danni di vittime innocenti che la Chiesa avrebbe dovuto difendere (e in parte lo ha fatto grazie al sacrificio di vescovi come Enrique Angelelli che pagò con la vita il suo coraggio).

Il caso Pio Laghi

Ma in Argentina, dove oltre 30 mila uomini e donne, durante la dittatura militare (1976-1983), furono arrestati e fatti letteralmente sparire nel nulla, l’allora nunzio apostolico Pio Laghi era amico personale e avversario sui campi da tennis di Emilio Eduardo Massera a favore del quale si era esposto molto dicendo: “Il Paese ha un’ideologia tradizionale e quando qualcuno pretende di imporre altre idee diverse ed estranee, la Nazione reagisce come un organismo, con anticorpi che fronteggiano i germi: così nasce la violenza. I soldati adempiono al loro dovere primario di amare Dio e la Patria che si trova in pericolo. Non solo si può parlare di invasione di stranieri, ma anche di invasione di idee che mettono a repentaglio i valori fondamentali. Questo provoca una situazione di emergenza e, in queste circostanze, si può applicare il pensiero di san Tommaso d’Aquino, il quale insegna che in casi del genere l’amore per la Patria si equipara all’amore per Dio”.

Forte di queste convinzioni pubblicamente espresse (favorevoli al regime militare seguito all’estromissione dal potere della vedova Peron) lo stesso nunzio a Buenos Aires non avvertì il dovere di informare prima Montini e poi Wojtyla di quanto in effetti stava accadendo nel Paese. Laghi si è poi giustificato dichiarando di essersi adoperato per salvare il maggior numero possibile di persone e in particolare di aver raccolto 5 mila nomi di desaparecidos ma di non aver capito che fine facevano, nonostante ne avesse celebrato in alcune occasioni i funerali. E spiegò la “ragion di Stato” che gli impedì una pubblica denuncia dei massacri in atto con il ruolo di mediatore assunto dalla Santa Sede relativamente al contenzioso tra Argentina e Cile su Canale di Beagle.

Come potevo supporre che stavo trattando con dei mostri, capaci di buttare persone dagli aerei e altre atrocità simili? Mi si accusa di delitti spaventosi per omissione di aiuto e di denuncia, quando il mio unico peccato era l’ignoranza di ciò che veramente capitava …”, ha detto successivamente alle circostanziate denunce a suo carico per difendersi, anche se in realtà rivendicando l’impegno per salvare più vite possibile ha ammesso lui stesso di essere stato a conoscenza delle torture e delle brutali esecuzioni. Fatti che non compaiono nei suoi rapporti alla Santa Sede e che avrebbero almeno impedito che il sanguinario dittatore Videla fosse ricevuto con tutti gli onori da Paolo VI e venisse poi all’insediamento di Giovanni Paolo I.

La storia ricorrente delle false informative che si è ripetuta in Cile

Nunzio in Cile all’epoca della dittatura altrettanto sanguinaria di Pinochet è stato il cardinale Angelo Sodano, che non impedì il brutto spettacolo di Giovanni Paolo II affacciato dal balcone de La Moneta con il dittatore omicida.

Ma un inganno analogo lo ha subito a Santiago lo stesso Papa Francesco che lo scorso gennaio, sulla base di false informazioni trasmessegli dal nunzio Ivo Scapolo, nel corso del viaggio apostolico in Cile, che ne è risultato compromesso, ha preso pubblicamente le difese del vescovo di Osorno Csrlos Barros, che era invece amico e sodale di padre Fernando Karadima, i cui stupri sono stati provati, ma che grazie ad altissime protezioni non è mai stato ridotto allo stato laicale.

Come è noto a seguito dell’inchiesta svolta in loco dall’ex pg vaticano Charles Scicluna, il Papa ha cambiato idea sulla vicenda e ha incontrato personalmente a Santa Marta le vittime del sacerdote pedofilo che in gennaio, nei giorni del viaggio, non erano state ammesse alla sua presenza mentre risiedeva alla Nunziatura di Scapolo “Per circa 10 anni – hanno dichiarato le vittime – siamo stati trattati come nemici perché abbiamo combattuto contro l’abuso sessuale e l’occultamento nella Chiesa. In questi giorni abbiamo conosciuto un volto amichevole della Chiesa, totalmente diverso da quello che abbiamo incontrato in passato”.

“Tutto il processo di revisione e purificazione che stiamo vivendo – ha scritto Francesco in una lettera ai cattolici cileni – è possibile grazie allo sforzo e alla perseveranza di persone concrete, le quali anche contro ogni speranza o discredito, non si sono stancate di cercare la verità. Mi riferisco alle vittime degli abusi sessuali, di potere e d’autorità e a coloro che a suo tempo hanno creduto loro e le hanno accompagnate. Vittime il cui grido è arrivato al cielo”. “Vorrei ancora una volta – confida Bergoglio in questo documento di altissimo valore morale – ringraziare la perseveranza e il coraggio di tutte loro”.

L’arcivescovo che non può fregiarsi del titolo di emerito

Una decisione severa che, in proporzioni più limitate, mostra tuttavia la ferma volontà di Francesco di non accettare compromessi per il quieto vivere è stata l’anno scorso la rimozione dell’arcivescovo di Tucuman monsignor Alfredo Horacio Zecca, che non ha difeso nè da vivo nè da morto padre Juan , il sacerdote ucciso dai narco trafficanti e calunniato per far credere contro ogni evidenza alla tesi del suicidio. Papa Francesco gli ha assegnato infatti la sede titolare di Bolsena, togliendogli, caso senza precedenti, il titolo di arcivescovo emerito.

L’eroico padre Juan Viroche è stato ucciso dopo aver denunciato gli abusi compiuti sui minori della sua parrocchia dai trafficanti di droga ed aver ricevuto minacce. Il 5 ottobre 2016, quando padre Viroche fu trovato impiccato nella sua chiesa, con segni di percosse, mentre nella navata erano evidenti le tracce di una colluttazione, monsignor Zecca aveva promesso alla famiglia Viroche di provvedere a una sepoltura adeguata per padre Juan, e ai parrocchiani che si sarebbe presentato dal procuratore titolare della indagine penale sulla morte del sacerdote, per chiedere giustizia.

Il prelato non ha mai mantenuto queste promesse e sono emersi anche i collegamenti di Zecca con l’ex governatore José Alperovich, il mentore dei fratelli Soria, accusati da Viroche di traffico di droga e abusi a La Florida, che sono i mandanti dell’omicidio fatto passare per suicidio dalla magistratura locale.

La rimozione di Balestrero e Urosa Savino

In Colombia dove tanto si è speso a favore della riconciliazione nazionale, anche con la visita apostolica dello scorso settembre, Papa Francesco alla fine ha perso la pazienza. L’ex sottosegretario ai rapporti con gli Stati, Ettore Balestrero, allontanato nel 2012 da Benedetto XVI a causa del ruolo ambiguo avuto nella gestione dello Ior, non sarà più nunzio apostolico a Bogotà, dove ha esercitato la sua funzione favorendo di fatto prima il fallimento del referendum sulla pace (quando inspiegabilmente la Chiesa locale si espresse per la libertà di voto) e poi spingendo a favore della destra di Uribe, contigua ai gruppi paramilitari che terrorizzano i campesinos.

Appena 4 giorni dopo il provvedimento senza precedenti assunto dal Papa, è arrivata infine la decisione più clamorosa: Francesco ha accolto le dimissioni dell’arcivescovo di Caracas, Jorge Liberato Urosa Savino, che compirà 76 anni nel prossimo agosto e dunque non godrà della proroga generalmente concessa ai cardinali. Acerrimo oppositore del Chavismo, il porporato esce ora di scena e questo consentirà un nuovo dialogo nel Paese.

Il successore non è stato ancora nominato, segno che era urgente sgomberare il campo da una conduzione molto estremistica e non si poteva attendere ulteriormente. L’arcidiocesi sarà retta ora da un amministratore apostolico: il cardinale di Merida Baltazar Enrique Porras Cardozo. Nonostante gli osservatori internazionali abbiano certificato l’assoluta regolarità del voto dello scorso 20 maggio, il cardinale Urosa lo ha pubblicamente contestato, ponendo così un atto di fatto eversivo. Non è l’unico che può essergli contestato, in effetti.

Lo scorso ottobre, ad esempio, si rese protagonista del seguente proclama elettorale: “Si tratta di dimostrare che il popolo venezuelano, anche con gli ostacoli che vengono messi, è un popolo democratico che vuole un governo diverso da quello che ha ridotto il Venezuela a un Paese in rovina”. In questi modo il porporato ha trascinato la Chiesa Cattolica, nella quale tutti i venezuelani dovrebbero potersi riconoscere, ad essere identificata con una parte politica: la destra legata agli interessi economici (delle famiglie terriere e delle multinazionali petrolifere) che le riforme sociali chaviste hanno messo a rischio. Il cardinale si è anche schierato apertamente contro l’Assemblea Nazionale Costituente.

All’indomani della rielezione, il presidente Nicolàs Maduro potè esporre il suo disappunto ricevendo l’arcivescovo Aldo Giordano, nunzio a Caracas, al Palazzo Miraflores, nel quadro della richiesta di dialogo tra l’opposzione venezuelana e il governo. “L’incontro è servito per discutere questioni in campo politico e sociale e rafforzare le relazioni con il Vaticano”, ha fatto sapere lo staff del presidente. Il nunzio apostolico Giordano, aveva partecipato nel 2016, come mediatore al tavolo di dialogo tra governo e opposizione come rappresentante del Vaticano.

dal Blog “Il papa pop

 

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