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Usa. Lo stupro colonialista delle donne “pellirosse”

Mentre gli Stati Uniti in fibrillazione si dividono tra la vicenda di Brett Kavanaugh (nominato da Trump come giudice della Corte Suprema e finito al centro della bufera per un’accusa di violenza sessuale) e la querelle sul presunto stupro che Asia Argento avrebbe perpetrato a danno di Jimmy Bennett, fuori dai palazzi del potere e dagli studi televisivi la vita quotidiana degli USA continua a scorrere con tutte le sue contraddizioni, e le sue ingiustizie, puntualmente ignorate dal sistema informativo e, come stiamo per vedere, anche da quello giudiziario.

Che gli Stati Uniti non siano quel faro di giustizia e di libertà che ci viene continuamente raccontato, è di tutta evidenza. Così come evidenti sono le differenze (di possibilità, di condizioni di vita, di libertà..) che che dividono i vari gruppi sociali che animano la realtà statunitense: la dimostrazione plastica di questa differenziazione tra cittadini di serie A, di serie B e magari addirittura di serie C, arriva direttamente dal Dipartimento di Giustizia di Washington, che attraverso l’elaborazione di dati ufficiali afferma che le donne native americane sono vittime di violenze sessuali 2,5 volte in più rispetto a qualsiasi altro gruppo etnico presente sul territorio degli Stati Uniti.

Come se non bastasse, la possibilità di ottenere giustizia per la violenza subita è ridotta a un miraggio. Se non addirittura a una vera e propria utopia: se a commettere la violenza, infatti, è un bianco, un non-nativo, questo diventa praticamente impossibile da perseguire penalmente. Secondo la legge, infatti, i tribunali delle riserve (sì, le riserve: a proposito di cittadini di serie A e di serie B) sono autorizzati a giudicare per questi reati esclusivamente nativi americani, escludendo dalla possibilità di un processo gli uomini bianchi. E rendendoli, sostanzialmente, intoccabili. Chiaro che di fronte ad un quadro legislativo di questo tipo, che nei fatti legittima lo stupro, le violenze sulle native siano all’ordine del giorno.

Secondo quanto affermano le rappresentanti delle donne indiane, lo stupro è un fenomeno diffuso ormai da generazioni. Ciò nonostante, nessun tentativo è stato fatto fino a questo momento per contrastare questo stato di cose. E il meccanismo che si innesca, chiaramente, è quello del circolo vizioso: molte donne, infatti, per paura di ritorsioni (e questo purtroppo accade quasi ovunque, nel mondo) e a causa della non – perseguibilità dello stupratore, rinunciano a sporgere denuncia. In un’intervista al New York Times Chraon Asetoyer, consulente legale nella riserva Yankton Sioux del South Dakota, spiega come gran parte delle donne che si presentano nel suo ufficio, cerchino informazioni sulla pillola del giorno dopo (che definiscono “piano b”), data per scontata l’altissima probabilità che loro stesse, o le loro figlie, rimangano incinte successivamente ad una violenza sessuale.

D’altra parte, i numeri parlano da soli: nell’area che comprende Arizona, New Mexico e Utah (zona abitata da indiani Navajo), nel 2007 i casi di stupro denunciati sono stati 329. Gli arresti, invece, sono stati appena 17. Sempre attingendo ai dati del dipartimento di Giustizia, si scopre poi che in caso di denuncia di stupro avanzata da donne indiane, si arriva all’identificazione – e all’arresto – del colpevole soltanto nel 13% dei casi. E ancora: nonostante le popolazioni native siano, chiaramente, una piccola minoranza nei diversi stati americani, le donne indiane sono quelle che più frequentemente subiscono violenza. Il caso più eclatante è quello dell’Alaska, dove i nativi sono appena il 15% della popolazione totale ma le loro donne rappresentano addirittura il 61% delle vittime di violenze sessuali.

Periodicamente il tema torna alla ribalta, con l’ipotesi da parte del Congresso di modificare il sistema legislativo in modo da contrastare il fenomeno. Eppure, ancora nulla è stato fatto. Sia chiaro, non vogliamo sminuire l’importanza del caso Kavanaugh (o delle tematiche sollevate negli scorsi mesi dal movimento “me too”): qualsiasi violenza di questo genere è di una gravità sconcertante.

Il punto, però, è che continuare ad occuparsi solo dei casi più “glamour”, o di quelli che possono rientrare nel gossip, non fa che tenerci lontani da una seria azione di contrasto a quella che, non solo negli Stati Uniti, è una vera e propria piaga sociale. E non concede alcuna possibilità di riscatto – e di giustizia – a tutte quelle donne e quelle ragazze che, lontane dai riflettori, dopo aver subìto una violenza non possono contare su avvocati importanti o ribalte mediatiche.

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