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Assoluzione per la lotta di liberazione

Tribunale belga: il Partito dei Lavoratori del Kurdistan PKK non è terrorista. Ministero degli Esteri turco condanna la decisione

Con un’assoluzione per tutti i capi di imputazione venerdì scorso davanti alla Corte di Cassazione di Bruxelles, è finito un processo in corso da nove anni contro 37 politici curdi in esilio. La Corte ha constatato che la legge antiterrorismo belga non è applicabile nel processo, dato che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) non sarebbe un’organizzazione terroristica.

Le indagini contro istituzioni e personalità della diaspora curda in Belgio erano iniziate nel 2006. Nel marzo 2010 la polizia poi perquisì sedi di organizzazioni curde in diverse città e lo studio per le trasmissioni del canale satellitare Roj TV a Denderleeuw nei pressi di Bruxelles. Diversi rappresentanti del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) e del Congresso del Popolo del Kurdistan (Kongra-Gel), considerato una specie di Parlamento in esilio, all’epoca furono arrestati. Complessivamente furono imputate 40 persone, tra cui i rappresentanti del Kongra-Gel Remzi Kartal e Zübeyir Aydar e il Presidente del KNK Adem Uzun. Furono accusati di raccolte di fondi, propaganda e del reclutamento di giovani curdi per la guerriglia, come attività terroristiche. Un curdo siriano coimputato fu inoltre accusato di aver esportato tecnologia di comunicazione nel nord dell’Iraq, che secondo il parere del pubblico ministero era destinata alla guerriglia.

I difensori durante il processo avevano messo al centro della loro strategia la domanda se il PKK fosse effettivamente un’organizzazione »terroristica« ai sensi della legge anti-terrorismo. Perché nel 2003 questa legge è stata coordinata con gli accordi quadro europei sul terrorismo e limitata di conseguenza. Non è utilizzabile contro una parte in conflitto nell’ambito di un conflitto armato all’interno di uno Stato ai sensi della legislazione internazionale. Di conseguenza la difesa ha chiarito che il conflitto lungo decenni tra il PKK e l’esercito turco, che è costato oltre 40.000 vite umane, va considerata una guerra civile. Lo Stato starebbe combattendo contro un gruppo che si oppone con la violenza delle armi al fatto che i curdi vengono discriminati e oppressi.

La Corte aveva opinioni simili e già nel 2016 si era rifiutata di ammettere un’imputazione ai sensi della legge anti-terrorismo. Ma la Corte Suprema, che aveva di nuovo revocato questa decisione confermata dalla Corte di Cassazione, spingeva per un’accusa in modo che il processo venisse affrontato nuovamente.

Nella sua sentenza, la Corte di Cassazione ora ha reso chiaro che il PKK, compresa la sua guerriglia delle Forze di Difesa del Popolo (HPG), è un attore non statale in un intenso conflitto all’interno di uno Stato secondo la definizione della legislazione internazionale umanitaria. »Per questo il PKK/HPG non può essere considerato gruppo terroristico e la partecipazione ad attività o una posizione dirigente all’interno di questa organizzazione, secondo le legge belga non è punibile.« Come previsto, il Ministero degli Esteri turco ha condannato la decisione del tribunale di Bruxelles.

Il »Fondo per il Sostegno Legale per Curde e Curdi Azadi« con sede a Colonia, ha invece chiesto alla politica europea di »cambiare atteggiamento rispetto al movimento di liberazione curdo e ai suoi protagonisti dirigenti«. Il fondo per il sostegno legale ha ricordato la sentenza emanata nel novembre 2018 dalla Corte Europea, secondo la quale il PKK negli anni tra il 2014 e il 2017 è stato illegittimamente inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea. Se il governo belga dovesse seguire la giustizia del suo Paese, allora in futuro dovrebbe opporre il suo veto contro un’ulteriore inserimento del PKK nella lista. Ma questo è improbabile. La persecuzione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan in Europa è una strategia concordata dalla NATO sotto la guida degli USA, per sottrarre al movimento di liberazione risorse finanziarie e per far tacere il suo apparato mediatico.

Da junge Welt: Edizione del 12.3.2019

 * Tradotto e pubblicato da Rete Kurdistan

 

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    PARIGI: SCRITTE DELIRANTI CHE INVOCANO IL GENOCIDIO DEL POPOLO CURDO
    (Gianni Sartori)
    Come vi sentireste, in quanto curdi, scoprendo al mattino che durante la notte qualcuno, presumibilmente turco, ha imbrattato
    la facciata della vostra casa o della vostra bottega con scritte che apertamente invocano il genocidio per il popolo curdo? Presumo che potreste rimanerci male. Anche perché i precedenti non mancano, vedi il massacro degli Armeni per mano di Ataturk e soci. Nella notte tra il 12 e il 13 marzo, a Parigi, la facciata di un ristorante curdo (“Mala Bavo” al 173 di rue Saint Denis) è stata ricoperta di tags razziste e fasciste che invocavano un “génocide kurde total en Turquie, en Iran, en Irak et en Syrie” (testuale, penso non ci sia bisogno di traduzione).
    Non è questo il primo attacco anti curdo del mese di marzo. La settimana precedente, l’8 marzo, un incontro-dibattito sul Rojava e sulle lotte delle donne curde in Siria che si doveva tenere a Chatillon-sur-Chalaronne (Ain) era stato annullato a causa delle minacce di fascisti turchi.
    E naturalmente i curdi non hanno dimenticato la data del 9 gennaio 2013 quando tre femministe curde (Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez) vennero assassinate
    a Parigi in una operazione di “guerra sporca”.
    Tutti gli indizi portavano a identificare i mandanti in quel di Ankara, ma la giustizia francese sembra ormai aver rinunciato a fare piena luce sulla tragica vicenda.
    Per l’insegnante franco-curdo Ibrahim Seydo Aydoganha “il fascismo turco è in pieno sviluppo sul suolo francese” e di questo le autorità parigine sarebbero consapevoli. Anche se forse non agiscono in maniera adeguata per contrastarlo.
    Ricordando come i curdi intendano “vivere in pace con la gente che ci sta accanto quali che siano le loro origini etniche e religiose”, Ibrahim Seydo Aydoganha ha comunque ricordato la “nostra inquietudine, dovuta alle recrudescenze fasciste, all’operato di gruppi di individui di origine turca presenti in Europa”.
    Ovviamente i curdi non cadranno “nella trappola” (scopo evidente della vile provocazione), ma non per questo “resteremo con le mani in mano”.
    In perfetta sintonia con il tono delle scritte, qualche giorno fa Suleyman Soylu – ministro turco dell’Interno – aveva dato la sua interpretazione sulle cause che portarono ai massacri degli anni settanta. Ne sarebbero stati responsabili i curdi medesimi in quanto dissidenti e ribelli. Un modo esplicito per mettere in guardia i curdi odierni che osano opporsi alla politica nazionalista del governo turco. Medesimo linguaggio quello utilizzato dal “numero Uno” dei servizi segreti turchi. Hakan Fidan ha recentemente
    ricordato ai rappresentanti curdi di avere a disposizione oltre 5mila uomini nelle città europee.
    Senza dimenticare quelle che Seydo Aydoganha ha definito “cellule dormienti”. In futuro Ankara potrebbe utilizzarle per creare situazioni (provocazioni sostanzialmente) tali da venir poi utilizzate contro i curdi.
    Gianni Sartori

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