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“El proceso” di Madrid. Le valutazioni degli osservatori internazionali

International Trial Watch (ITW) è una piattaforma formata da giuristi e associazioni per la tutela dei diritti civili nata per seguire il processo agli indipendentisti catalani accusati dei reati di sedizione, ribellione, malversazione, disobbedienza e associazione a delinquere. Nel corso delle 18 settimane in cui si sono protratte le udienze davanti al Tribunale Supremo, ITW ha coordinato i lavori di differenti osservatori internazionali recatisi appositamente a Madrid. Si tratta di accademici, avvocati e esperti del diritto provenienti da diversi paesi (Argentina, Gran Bretagna, Olanda, Canada, Svizzera, Francia, Stati Uniti, Palestina, Spagna, Italia…) che hanno sintetizzato le loro valutazioni in 13 relazioni autonome, ora finalmente raccolte e messe a disposizione dell’opinione pubblica.

Per l’Italia Patrizio Gonella e Susanna Marietti (Associazione Antigone) hanno presenziato alle udienze del 26 e 27 febbraio elaborando una relazione assai interessante, resa pubblica da tempo ma che può essere ora confrontata con le altre. Dopo aver premesso che le loro valutazioni si concentrano esclusivamente sul processo, prescindendo dalla questione dell’indipendenza, i due presentano cinque punti critici che consentono di farsi un’idea sul rispetto dei diritti degli imputati e sul procedimento penale in corso.

1) Il Tribunale non ha concesso un riconoscimento formale agli osservatori internazionali che, privati di un sia pur ridotto spazio fisico per seguire le udienze, sono stati costretti a mettersi in coda all’alba per ottenere uno dei 40 posti riservati al pubblico in sala. Evidentemente si tratta di condizioni che non hanno facilitato il lavoro degli esperti. Inoltre il riconoscimento formale degli osservatori “avrebbe costituito un segnale inequivoco di trasparenza e fiducia nella società civile. Segnale che è dunque mancato”.

2) Per quel che riguarda l’uso della custodia cautelare, la relazione dei due osservatori italiani sottolinea che gli imputati non hanno tentato di sottrarsi all’arresto, né vi si sono opposti resistendo, né erano in procinto di fuggire: tutti elementi in base ai quali il carcere preventivo non sembra una necessità oggettiva. Non solo, l’uso della custodia cautelare (ormai più di 500 giorni di detenzione per alcuni degli accusati) rischia così di trasformarsi in “uno strumento indebito di pressione”.

3) Gonella e Marietti sottolineano che il procedimento è del tutto conforme all’ordinamento giuridico spagnolo ma avvertono che, davanti alla richiesta di condanne cosí severe (25 anni richiesti per Oriol Junqueras, 17 per Jordi Cuixart e Jordi Sànchez), sarebbe stato opportuno prevedere almeno due gradi di processo, a garanzia dei diritti degli indagati. Il Tribunale Supremo emetterà invece una sentenza senza appello.

4) La riflessione più pungente della relazione degli osservatori italiani riguarda la presenza di Vox (il partito della destra radicale) tra gli avvocati dell’accusa popolare e merita di essere riportata per esteso: “al di là di ogni valutazione formale che potrebbe anche rendere legale la presenza nel processo degli avvocati di un partito politico, la loro presenza produce finanche visivamente l’effetto di trasformare il processo stesso in un processo politico, tanto più che tra gli imputati vi sono esponenti di partitti politici appartenenti a schieramenti opposti e non messi fuori legge rispetto a quelli dell’accusa popolare”.

5) Altrettanto nette e chiare le considerazioni che Gonella e Marietti svolgono riguardo alle accuse mosse a Jordi Cuixart e giudicate né più né meno come “fortemente lesive del legitimo diritto alla libertà di pensiero, di associazione, di riunione, di dissenso, di protesta”. Come è noto Jordi Cuixart è accusato di ribellione, uno dei reati più gravi previsti dall’ordinamento spagnolo, una fattispecie che si sostenta e si giustifica in base alla presenza di un comportamento violento. Ebbene, secondo gli osservatori di Antigone “le accuse nei suoi confronti prescindevano da prove minime intorno all’uso della violenza física o morale”. Tutt’al più si sarebbero potuti ravvedere gli estremi per un’accusa relativa all’organizzazione e partecipazione a una manifestazione non autorizzata, ossia un reato assai meno grave della ribellione. Secondo i due osservatori italiani però “pur dilatando al massimo la nozione di violenza non sembrava essercene traccia nei comportamenti sociali e processuali di Jordi Cuixart”, una constatazione che smonta tutto il teorema dei giudici del Supremo.

Scarsa trasparenza, uso della custodia cautelare come strumento di pressione sugli imputati, sentenza senza appello, Vox tra gli avvocati dell’accusa popolare, mancanza di prove…: ce n’è quanto basta per sollevare più di un dubbio sulla qualità del processo in corso, alla faccia del garantismo e dell’autonomia del potere giudiziario sbandierati prima dal governo del PP e oggi da quello del PSOE. E gli interrogativi sull’operato dei giudici spagnoli emergono anche dalla lettura degli altri rapporti coordinati da ITW: l’avvocato canadese John Philipot sostiene che il processo si basa fondamentalmente sulla criminalizzazione del diritto all’autodeterminazione e che pregiudica la libertà d’espressione e di associazione; il filosofo indiano Paul Newman afferma che “l’unica violenza del referendum del primo ottobre è stata quella della polizia spagnola e della Guardia Civil; lo svizzero Mathieu Cretenand ribadisce la natura politica del processo, che inquadra nello storico rifiuto opposto dallo stato spagnolo all’autodeterminazione dei Paesi Baschi e della Catalunya; Jelle Klaas del Comitato dei giuristi olandesi per i diritti umani considera che i giudici spagnoli hanno rsiposto alla protesta e alla disobbedienza civile e pacifica formulando accuse pensate invece per comportamenti violenti; Cécile Brandely e Claire Dujardin del Sindacato degli avvocati francesi definiscono il processo una farsa in cui “tutte le garanzie fondamentali proprie di uno stato democratico sono assenti”.

Il processo davanti al Supremo è però solo lo scenario più evidente della repressione: decine di militanti (dei Comitati di difesa della Repubblica, della CUP e di altre organizzazioni indipendentiste), cosí come decine di sindaci e di semplici cittadini sono indagati per la partecipazione al referendum del primo ottobre o per manifestazioni e blocchi stradali che si sono susseguiti nei mesi successivi. Minacciato dal movimento indipendentista e scosso nelle sue fondamenta, sembra che il sistema spagnolo (il cosiddetto regime del ’78) non esiti a rimangiarsi le garanzie e i diritti, anche solo formali, caratteristici dei sistemi liberaldemocratici. Quanto a questo però, nell’UE si trova in buona compagnia.

Tutte le relazioni si trovano alla pagina https://docs.google.com/viewerng/viewer?url=https://imatges.vilaweb.cat/nacional/wp-content/uploads/2019/08/International-Observers-Reports_ITW_compressed.pdf

 

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