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I “nuovi bianchi” alla guida del Camerun

A Yaoundé, come in molte capitali dell’Africa occidentale, il centro città è costellato di edifici governativi, con ogni ministero, dipartimento o direzione delegata che mostra con orgoglio la sua ragion d’essere attraverso un cartello affisso davanti all’ingresso. I funzionari pubblici in giacca e cravatta, nonostante il caldo soffocante per gran parte dell’anno, si dirigono ogni mattina, a piedi o in taxi, tra le carreggiate e i venditori ambulanti. L’arteria principale del centro, il Boulevard du 20 Mai, come la maggior parte delle città camerunesi, comprende un’area di sfilata militare incorniciata da pedane per accogliere il Presidente e il suo governo.

Si potrebbe pensare che, con una tale profusione di apparati ufficiali, il Camerun sia un paese ben governato. Ci saremmo sbagliati. A meno che non si consideri che uno Stato governato da un fantasma sia una delle ipotesi previste dai costituzionalisti francesi e poi camerunesi, che hanno creato il regime nel 1960.

Paul Biya, 86 anni, è presidente dal 1982, il che non lo rende il capo di stato per più tempo in carica, ma quasi (Teodoro Obiang Nguema, in Guinea Equatoriale, detiene il triste primato attuale). In precedenza, è stato Primo Ministro per sette anni e Segretario Generale della Presidenza per sette anni. In altre parole, ha occupato i più alti livelli del potere camerunese da quando il generale De Gaulle non aveva ancora immaginato la rivolta studentesca del 1968.

Ma Paul Biya esiste ancora? L’uomo è sempre stato restio alle apparizioni pubbliche e ai viaggi nelle province (tranne che nel suo villaggio natale), ma la sua assenza e il suo silenzio nell’ultimo decennio sono diventati così notevoli che nessuno sa veramente chi gestisce il paese. E quando si degna di mostrarsi in pubblico, come nella festa nazionale del 20 maggio 2019, il suo atteggiamento solleva più domande che certezze: un video che lo ritrae stravolto, spinto dalla moglie ad alzare le braccia per salutare la folla, ha fatto il giro del paese, accompagnato da commenti in cui la disperazione mette in ombra la derisione.

Tuttavia, è difficile dire che in Camerun le cose funzionino da sole. Il paese è immerso in una guerra civile dissimulata ma sanguinosa nella sua parte anglofona, le incursioni del gruppo terroristico Boko Haram nel nord, la sua economia sta rallentando rispetto ai suoi vicini regionali, i suoi indici di competitività o corruzione sono in fondo alla classifica mondiale e, insulto supremo, il torneo di calcio della Coppa d’Africa 2019 è stato ritirato all’ultimo momento a causa della sua incapacità di organizzare correttamente l’evento.

Ma la cosa peggiore è che tutte queste battute d’arresto, tutti questi fallimenti, si svolgono in una forma di indifferenza generale, un taciturno menefreghismo condiviso sia dalle élite locali che da Parigi, l’ex potere tutelare.

La storia recente del Camerun, in sostanza, è una storia di decolonizzazione fallita. Un accesso all’indipendenza nel 1960, che non ha cambiato nulla e che, secondo molti camerunesi, ha contribuito, al contrario, a perpetuare e rafforzare il sistema istituito dai coloni.

Lo scopo di questa serie di articoli per Mediapart non è quello di valutare il grado di successo di un’impresa di decolonizzazione (in confronto a quali altri? gli sfortunati esempi britannici, portoghesi o belgi?), ma di esaminare come e attraverso quali meccanismi la Francia e i suoi affidatari in Camerun hanno fatto sì che un paese ricco di risorse umane, minerali, agricole, geografiche e persino linguistiche non possa camminare orgogliosamente sulle sue due gambe a sessant’anni dalla sua indipendenza.

Lo stato camerunese oggi è coloniale: è centralizzato e autoritario”, dice Patrick, un ex sindacalista studentesco che è diventato un attivista della società civile. Un esempio? Le 10 regioni e i 58 dipartimenti del paese sono guidati rispettivamente da governatori e prefetti nominati dalla presidenza; il 97% del bilancio dello Stato è gestito a livello nazionale e il 3% a livello comunale (l’unico organo eletto).

Presso l’École Nationale d’Administration et de Magistrature (Énam), l’istruzione universitaria privilegiata per diventare un alto funzionario, si insegna ancora il ‘comando’, non il servizio pubblico. Lo stesso vale per l’addestramento militare, dove ai soldati viene sempre insegnato a considerare il popolo come nemico, con corsi sui temi della ribellione, della sedizione, ecc.”, continua Patrick.

Il primo presidente del Camerun, Amadou Ahidjo, era stato scelto da Parigi al momento della concessione dell’indipendenza. Il secondo, Paul Biya, è stato addestrato e raccomandato ad Ahidjo dai francesi. E questo è tutto, visto che il Camerun ha avuto solo due capi di stato in sessant’anni (un record in Africa). “Biya non è ha mai fatto politica militante, non si è mai stato confrontato in un dibattito con contraddittorio, è un uomo dei record”, riferisce Christophe, un vecchio attivista dell’opposizione ribelle (in riferimento all’UPC, l’ex movimento per l’indipendenza).

Biya ha copiato il sistema dei coloni, sono gli stessi metodi di controllo, divisione e repressione”, continua Christophe. “Ha inventato divisioni etniche che non esistevano per creare disaccordi tra i cittadini. Ha creato un sistema elettorale controllato dalla A alla Z dal governo, con una commissione di controllo composta da persone da lui nominate e pagate profumatamente. Infine, in qualsiasi momento, si rischia di essere arrestati dalla polizia e rilasciati senza una decisione giudiziaria: questa è responsabilità del presidente”.

Maurice Kamto, per lungo tempo un uomo di palazzo, diventato oppositore e candidato alle elezioni presidenziali del 2018 (dove si è classificato al secondo posto con il 14% dei voti), è stato arrestato nel gennaio 2019 perché proclamava la sua vittoria elettorale. Questo è un destino frequente per gli oppositori o i gruppi di pressione che bramano più potere all’interno del regime. “Finché non si tradisce Paul Biya, puoi fare quello che vuoi”, dice Theophile Yimgaing Moyo, architetto e presidente del Movimento dei cittadini (MOCI).

Si parla molto di “democrazie illiberali” in questi giorni in Occidente”, dice Franck Essi, segretario generale del Partito popolare camerunese. “In Camerun viviamo sotto una dittatura liberale: Paul Biya tollera la protesta verbale, ma non quella che va oltre: manifestazioni, appelli amministrativi, contestazione dei risultati elettorali…”. Inoltre, molto spesso, se non sempre, la politica e la corruzione si intrecciano.

Questo risulta essere molto comodo per controllare i leader e incarcerarli se necessario. “Non tutte le persone che hanno rubato sono in prigione, ma coloro che sono in prigione hanno rubato”, afferma Théophile Yimgaing Moyo, che giudica crudelmente le élite del suo paese, a cui è vicino per la sua formazione e i legami familiari con i membri del governo Biya, passati e presenti.

Quando qualcuno viene nominato in una posizione di responsabilità, anche se molto piccola, ognuno va a casa sua per festeggiare, perché sappiamo che avrà le chiavi della cassa”, dice Pierre, un attivista ambientalista, rattristato. “La corruzione e i favoritismi sono diventati la norma nel paese e sarà molto difficile tornare indietro”. Poiché il paese è estremamente carente di lavoro, è facile comprare persone.

Quando qualcuno ti chiama al telefono per corromperti e tu rifiuti, le argomentazioni sono sempre le stesse: ‘Ma non vuoi aiutare la tua famiglia? Costruire la tua casa? Pagare per far studiare i vostri figli all’estero?’”, dice Franck Essi. “La corruzione in Africa è spesso presentata come una storia familiare o tribale, ma fondamentalmente è un’espressione dell’individualismo occidentale!” Io prima dei miei fratelli, la mia famiglia prima al mio paese, il mio benessere prima a quello dei miei concittadini.

La corruzione, le posizioni assegnate secondo i principi clientelari, la distanza tra i governanti e governati… non c’è da stupirsi che in Camerun i leader del paese siano chiamati “i nuovi bianchi”. Come se i volti pallidi degli amministratori coloniali fossero stati sostituiti da figure in ebano senza toccare nient’altro. E questo probabilmente era l’obiettivo.

Più della Costa d’Avorio, del Senegal o di altre ex dipendenze francesi più povere, il Camerun rimane una nazione sottomessa e amorfa. Poiché Parigi ha combattuto una guerra brutale e poco conosciuta prima e dopo l’indipendenza, perché serviva i suoi interessi all’epoca, la Francia ha contribuito a sradicare i desideri politici locali e a stabilire un regime in cui coloni e colonizzatori sono camerunesi.

Anche se l’influenza della Francia è diminuita, soprattutto perché gli interessi economici non sono più così forti come nel 1960, ciò non toglie che la Francia sia un fattore della situazione camerunese. Sostegno militare nella lotta contro gli islamisti di Boko Haram, porta d’accesso al pantano centroafricano, voce del Camerun assicurata all’ONU: “La Francia sostiene il regime di Biya in nome della stabilità”, conferma Franck Essi. Ma anche ciò che resta dei suoi interessi economici, anche se la Cina e la Turchia stanno diventando sempre più importanti. Nel paese operano poco più di 300 aziende francesi, molte delle quali nel commercio di legname particolarmente opaco.

L’ultimo esempio di questa continua complicità, di cui si è molto parlato, è la costruzione di un nuovo ponte a Douala per attraversare il fiume Wouri. L’Agence Française de Développement (AFD) aveva accettato di finanziarne gran parte con un prestito. Il resto lo racconta un conoscitore del dossier: “Quando sono state aperte le buste di gara, un’azienda cinese ha vinto con un costo di esecuzione molto più basso rispetto alla proposta della francese Sogea-Satom (una filiale del gruppo Vinci). Questo è ovviamente intollerabile per Parigi, che è intervenuta nei confronti del governo. Risultato: Sogea-Satom si è aggiudicata il contratto, ma ha subappaltato tutta l’esecuzione alla società cinese! Alla fine, la società francese ha intascato un notevole margine finanziario senza fare nulla e il Camerun paga un prezzo molto più alto per il suo ponte, compreso il rimborso del prestito a AFD”. Per completare l’indegnità, due mesi dopo la sua messa in servizio, la struttura è stata sommersa dall’acqua durante le prime forti piogge…

Nel frattempo, Paul Biya non dà alcun segno di voler lasciare, o addirittura promuovere un successore. Rimane spettrale, proprio come la mano della Francia. I fantasmi hanno continuato a tormentare il paese per sessant’anni, allontanando oppositori e riformatori.

 * Prima parte del reportage “Camerun. Storia di una decolonizzazione fallita” a cura di Thomas Cantaloube, scrittore e reporter per il quotidiano online Mediapart. Traduzione a cura di Andrea Mencarelli.

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1 Commento


  • Achille

    Buonasera, ho vissuto per cinque anni in Camerun ed ho avuto incarichi di discreta responsabilità, ho vissuto a stretto contatto della popolazione locale sia nella regione anglofona che in quella francofona. Ho deciso di commentare l’ articolo perchè mi trovo in perfetta sintonia con quanto descritto.. H avuto a che fare con le strutture amministrative, con la discussione di progetti assolutamente fattibili purtroppo sprofondati nella palude dell’ apparato statale e progetti invece realizzati nel sistema oserei dire parallelo delle missioni cattoliche operanti nel paese Ospedale di Shisong per togliere dubbi sulla concretezza delle mie affermazioni. Ho nutrito un breve apprezzamento per la candidatura di Kamto e la conseguente disillusione dopo l’ infelice ( a mio parere) troppo tempestiva dichiarazione di vittoria. Attendo con interesse i prossimi articoli. Un saluto, carzaniga Achille.

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